L'INGANNO DI RE GYLFI - Viaggio nell'Ásgarðr
- ️progetto bifrost
1 - RE GYLFI INGANNATO
Costei era una donna della stirpe degli Æsir, e il suo nome era Gefjun. Óðinn, che all'epoca regnava sul Danmǫrk, l'aveva mandata nello Svíþjóð alla ricerca di nuovi territori. Non appena Gylfi le fece la sua promessa, Gefjun andò a nord, nello Jǫtunheimr, e là generò da un gigante quattro figli, li trasformò in buoi e li aggiogò all'aratro. Il vomere scavò con tanta forza e così profondamente che sciolse un enorme tratto di terra, che i buoi trascinarono a ovest, sul mare, collocandolo in uno stretto. Gefjun diede a quella terra il nome di Sjóland e lì si stabilì, dopo aver ingradito il Danmǫrk. E nel regno di re Gylfi, dove la terra era stata rivoltata dall'aratro, nello Svíþjóð, si formò il lago Lǫgrinn. Infatti ci sono tante baie in Lǫgrinn quanti promontori in Sjóland.
|
|||||||
2 - RE GYLFI NELL'ÁSGARÐR
Ma gli Æsir erano più saggi di lui, poiché avevano il dono della preveggenza. Seppero del suo viaggio prima ancora che egli arrivasse e prepararono sjónhverfingar per confonderlo. Quando Gylfi entrò nella cittadella, vide una costruzione tanto alta che a fatica se ne vedeva la cima. Il tetto era ricoperto di scudi dorati posti a mo' di tegole, proprio come i poeti dicevano che fosse fatta l'aula di Valhǫll. Nel vano della porta stava un uomo che faceva un gioco di destrezza con dei pugnali tenendone sette per aria contemporaneamente. Quello gli domandò come si chiamasse e Gylfi rispose che il suo nome era Gangleri e che, giunto da remote vie, chiedeva asilo per la notte. Domandò anche a chi appartenesse quella dimora, e l'uomo rispose che era del loro re e gli fece largo in modo che il viaggiatore potesse entrare nella skáli. Mentre varcava le porte, Gylfi ricordò a sé stesso l'antico detto:
—
Tutte le porte prima di varcarle
|
|||||||
3 - RE GYLFI INTERROGA I TRE SAGGI
In fondo alla skáli si stagliavano tre alti troni, l'uno sopra l'altro, e su ciascuno sedeva un uomo. Allora domandò che nome avessero quei capi e l'uomo che l'aveva condotto fin là gli disse che chi stava seduto sul seggio più basso era il re e si chiamava Hár «alto», quello vicino aveva nome Jafnhár «altrettanto alto», e quello assiso sul seggio più elevato era Þriði «terzo». Hár domandò al nuovo venuto se avesse molti impegni. In caso contrario era libero come tutti gli altri di mangiare e bere nella grande aula. Gylfi desiderava sapere se là fosse presente qualche saggio, e Hár gli rispose che non si sarebbe allontanato da lì se prima non fosse stato reso più sapiente, e disse: — Fatti pure avanti mentre domandi; sedere deve colui che parla. |
|||||||
4 - RE GYLFI ESAUDITO
Alla fine della lunga narrazione, Hár disse: — Ora, se vuoi sapere ancora qualcosa, io non so come tu possa fare, in quanto non ho udito nessuno dire di più sulla storia del mondo. Fai di tutto questo sapere l'uso che vuoi. Subito dopo, Gylfi sentì rombare un grande tuono, si guardò intorno e si accorse di trovarsi su un piano di terra battuta. Intorno a lui non vide più né la skáli né il grande palazzo in cui era entrato. Allora si mise in viaggio e tornò a casa nel suo regno e raccontò tutto quanto aveva visto e udito. E dopo di lui, queste storie furono tramandate di padre in figlio. |
|||||||
Fonti |
I - GEFJUN E DIDO: INGANNATRICI A CONFRONTO Il mito della nascita della Zelanda, l'attuale isola danese
di Sjælland [Sjóland], a opera dell'inganno ordito dalla dea
Gefjun, non è un'invenzione di Snorri,
che trae spunto da questi antichi versi della letteratura scaldica:
Questi versi, che Snorri cita sia in Gylfaginning [1] che in Ynglinga saga [5], sono dello scaldo Bragi Boddasonr (XI sec.) e appartengono alla Ragnarsdrápa. In esso Bragi descrive le immagini di dèi ed eroi raffigurate su uno scudo a lui dato da un certo Ragnarr Sigurðsson. Il testo, lambiccato e concettuoso come quasi tutta la poesia scaldica, è di difficile interpretazione. La maggior parte delle perplessità vertono sulla parola djúprǫðul, che è è stata variamente intesa dai traduttori. Elias Wessén intende «sole degli abissi», da cui la resa poetica «sole del mare» (Wessén 1964 | Isnardi 1975); Anne Holtsmark traduce «profonda ruota», intendendo l'aratro che penetra nei solchi della terra (Holtsmark 1970), interpretazione seguita da Ludovica Koch nella sua traduzione del poema (Koch 1984). Questi autori trascurano di considerare che il sostantivo rǫðull indica più propriamente l'aureola o la gloria regale, anche se viene usato nei costrutti poetici col significato di «sole» (Cleasby ~ Vigfússon 1874). Si tratta di un'idea-chiave del pensiero indoeuropeo con la quale veniva intesa l'aura di maestà che ammantava i legittimi sovrani; ne troviamo un perfetto parallelo in antico persiano, dove il concetto era indicato col termine xvarǝnāh, a cui corrispondeva il termine xvarǝ- «sole». Poiché djúpr vuol dire «profondo» (cfr. inglese deep), ci si può interrogare su quale tipo di profondità faccia riferimento il testo, se gli abissi marini da cui sorge il sole (come intendono Wessén e la Isnardi) o la profondità della terra scavata dall'aratro (come interpretano la Holtsmark e la Koch). Tuttavia djúprǫðul «gloria profonda» o «sole profondo» è forse solo una kenning per «oro», a sua volta riferita a ǫðla «dono, premio». Le otto «lune in fronte» sono forse gli occhi dei quattro buoi, o più verosimilmente le loro corna (cfr. l'immagine delle vacche dalle «corna lunate» evocata da Omero). Si ha motivo di credere che la vicenda di Gefjun abbia addentellati che affondano nella più remota antichità. Che la storia sia più antica dei personaggi che la interpretano sembra attestato dalle contraddizioni che si accentrano su Gefjun. Lo stesso Snorri, che aveva mostrato Gefjun accoppiarsi con un gigante, partorire quattro figli e trasformarli in buoi (Gylfaginning [1]), afferma poi, nel tracciare le caratteristiche degli dèi, che la dea Gefjun sia vergine e protettrice delle vergini (Gylfaginning [35]). Alcuni interpreti risolvono il dilemma distinguendo le due Gefjun, ma in realtà non vi sono ragioni per presumere che si tratti di due personaggi omonimi: molto più semplice ammettere la compresenza - come spessissimo accade - di tradizioni contraddittorie. L'inganno con cui Gefjun porta via a Gylfi una parte considerevole del suo territorio, ricorda l'analoga impresa compiuta dalla regina Dido, narrata da Virgilius nell'Æneis. Giunta con i suoi uomini sulle coste dell'Africa, Dido chiese al potente Iarbas, re dei Getuli, un tratto di terra per potervi costruire la sua sede. Il re, in segno di scherno, gliene concesse tanta quanta ne poteva contenere una pelle di bue. Dido allora tagliò la pelle in strisce sottilissime che, congiunte insieme a formare un'unica linea continua, circondarono un zona di territorio abbastanza ampia perché ella poté costruire la città di Byrsa (nome che significa «pelle»), la futura Qartḥadašt/Carthago. |
||||||
II - HÁR, JAFNHÁR E ÞRIÐI: TRINITÀ PAGANA O METAFORA CRISTIANA? L'accorgimento che Snorri Sturluson usa per condurci, con la sua Prose Edda, nel mondo affascinante della mitologia norrena è quello di introdurre l'intera storia degli dèi in una cornice: il viaggio del re svedese Gylfi nell'Ásgarðr. Giunto, sotto il falso nome di Gangleri, al mitico luogo che costituisce il cuore della tradizione nordica, Gylfi si trova di fronte a tre troni, sui quali siede una triade di misteriosi personaggi, i quali gli metteranno a disposizione tutto il loro sapere, l'intera sapienza nordica. Ma rivediamo la scena con le parole di Snorri, al fine di
esaminarne gli strani dettagli:
I loro nomi sono dunque Hár, Jafnhár e Þriði, cioè «alto», «altrettanto alto» e «terzo». Siedono su tre troni rialzati in fondo alla sala, dettaglio che li evidenzia quali signori del luogo in cui è giunto Gylfi. Snorri aggiunge che i loro troni sono posti a tre altezze diverse: Hár siede in quello più basso, Jafnhár in quello mediano e Þriði in quello più elevato. Già salta all'occhio la prima difficoltà. Dovrebbe infatti avere il rango maggiore colui che siede più in alto. Invece, l'uomo che introduce Gylfi nella sala, gli dice che il re è quello seduto nel trono più in basso, cioè Hár. Ma rileggendo con attenzione il brano citato, ecco che la posizione dei tre troni non appare più così ben definita. Snorri dice inizialmente che Gylfi vide tre troni «l'uno sopra l'altro» [hvært upp frá ǫðru], ma subito dopo, la sua guida, nel presentare i tre personaggi dice che «chi stava seduto sul trono più basso era il re e si chiamava Hár, quello vicino Jafnhár e quello più in alto Þriði». Pare di capire che Jafnhár non sia collocato più in alto di Hár, bensì gli stia seduto «accanto» [næst]; d'altronde questo doveva già essere implicito nei nomi dei due personaggi, in quanto, se Hár significa «alto», Jafnhár è «altrettanto alto». Secondo quanto detto, dunque, la disposizione dei tre troni dovrebbe essere triangolare. Abbiamo dunque due diverse disposizioni, una dove i troni sono posti l'uno di sopra all'altro, la seconda in cui invece sono disposti a triangolo e che ha buone probabilità di essere quella indicata da Snorri. Ma Hár, Jafnhár e Þriði non sono soltanto i tre sovrani dell'Ásgarðr, ma anche grandi sapienti esperti in cose primordiali, capaci di rispondere alle più difficili domande che Gylfi porrà loro sui misteri della creazione, sulla natura degli dèi e sul futuro dell'universo. Non c'è dubbio che i tre misteriosi interlocutori di Gylfi siano essi stessi delle divinità. La difficoltà è che nessun'altra fonte in nostro possesso ricorda questa triade divina. Hár, Jafnhár e Þriði compaiono, almeno in forma triadica, unicamente nel racconto di Gylfi. Questa strana triade della Valhǫll sembra essere stata appositamente inventata da Snorri come cornice al racconto della sua Prose Edda. Le triadi divine non sono sconosciute alla tradizione nordica. Vi è innanzitutto quella formata da Óðinn ~ Vili ~ Vé, che compare nel mito della creazione del mondo. E vi è la triade formata da Óðinn ÷ Hǿnir ÷ Lóðurr, che interviene nella versione della creazione degli uomini riferita da Voluspá [17-18] e che ritroviamo in un episodio dello Skáldskaparmál [1] con sostituzione di Lóðurr con Loki. Entrambe le triadi hanno Óðinn quale primo dei tre elementi. Ma la triade Hár ~ Jafnhár ~ Þriði non può essere omologata con nessuna delle due triadi suddette. Innanzitutto perché manca qualsiasi elemento di connessione tra questa e quelle. E poi, per quanto la triade di Snorri sia totalmente sconosciuta alla tradizione nordica, i tre nomi, presi singolarmente, sono invece ben noti. E ora iniziano le sorprese. Hár «alto» è un epiteto di Óðinn (Voluspá [21], Hávamál [109 | 111 | 164]). Ma anche Jafnhár «altrettanto alto» è un epiteto di Óðinn (Grímnismál [49]). E Þriði «terzo», parimenti, è altro epiteto di Óðinn (Grímnismál [46]). Dunque, la triade incontrata da Gylfi nell'Ásgarðr è formata da tre personaggi, che sono tutti e tre Óðinn! Ma del resto, anche il nome con cui re Gylfi si presenta in Ásgarðr, Gangleri «stanco del cammino», è un altro epiteto di Óðinn (Grímnismál [26] | Gylfaginning [20]). Cos'abbiamo dunque? Un singolo Óðinn che pone domande a un triplice Óðinn. Come va interpretata questa strana scena? La divinità pagana che si abbevera alla sapienza di una superiore «trinità»? S'indovina nella scena la presenza di chiavi di lettura non facili da definire. Perché Snorri abbia operato una scelta così particolare, non lo sappiamo. Molti autori pensano che egli abbia voluto significare, seppur metaforicamente e in un contesto pagano, un indizio che rivelasse la presenza della Trinità cristiana. Ai tempi in cui Snorri scrisse la sua Prose Edda, l'Islanda era cristianizzata da circa due secoli e più di una volta Snorri si premura di spiegare al lettore che, per quanto non fosse giusto dimenticare gli antichi miti pagani, cari alla tradizione nazionale, nondimeno i cristiani non erano tenuti a prestarvi fede. Snorri vedeva il mito pagano come elemento irrinunciabile alla cultura del suo paese, ma subordinato alla fede cristiana. Forse è questa la ragione per cui, nella cornice della Prose Edda, il pagano viene trasfigurato in metafora cristiana. La disposizione triangolare dei troni, che abbiamo prima suggerito, potrebbe anche essere un indizio di questa possibilità, il triplice Óðinn che rimanda alla Trinità cristiana. È comunque evidente che con Snorri usciamo dai territori del mito per entrare in quelli della letteratura. |
||||||
Bibliografia
|
||||||
BIBLIOGRAFIA ► |