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Piombino città di eroi - la Repubblica.it

  • ️Sun Oct 08 2000

lorenza pampaloni Piombino. 10 settembre 1943. L'euforia del «tutti a casa che la guerra è finita», fallace interpretazione dell'annuncio dell'armistizio diramato due giorni prima per radio dal maresciallo Badoglio, si volatilizza quando davanti al porto compaiono minacciosi due cacciatorperdiniere tedeschi. Prima la TA9 e la TA11, agli ordini del capitano Albrand, cercano di spacciarsi per un convoglio italiano, poi chiedono di attraccare per rifornirsi di acqua e carbone. Il comandante della Marina Piombino, Amedeo Capuano, nega l'accesso. Ma viene esautorato dal comandante della divisione costiera De Vecchi che dà ordine di aprire gli sbarramenti del porto e di consentire l'accesso alle navi nemiche. Il comandante del presidio Perni aveva da parte sua autorizzato la presenza al semaforo di alcuni segnalatori tedeschi disarmati. E' l'inizio di una giornata storica per Piombino. Quella che vede coinvolta un'intera città - nel vuoto di potere post8 settembre un ruolo fondamentale di guida viene svolto dal comitato di concentrazione antifascista - prima nella protesta e poi nella battaglia per fermare e accerchiare le truppe tedesche ormai sbarcate. «Lo spirito pubblico della città era decisamente e fortemente contrario ai tedeschi per il fondato timore di un eventuale ripristino del fascismo» scriverà nella sua relazione sugli avvenimenti il capopresidio. E sono proprio i civili che spronano alla lotta e in parte affiancano alle batterie, dopo aver fatto incetta di armi alla casa del fascio, marinai, soldati e ufficiali subalterni. Alcuni, nella stazione di Campiglia Marittima, riescono persino a riconvogliare su Piombino numerosi militari sbandati e in borghese che stanno cercando di tornare a casa. Un impegno coraggioso e efficace che però il giorno successivo sarà vanificato dall'ordine di liberare i 400 prigionieri tedeschi e di restituire loro le armi. E ancora una volta ad emanarlo fu il generale De Vecchi, quadrumviro della marcia su Roma. Il giorno 12 settembre una pesante mitragliata tedesca su Piombino chiuderà temporaneamente la vicenda. Fino alla liberazione e all'arrivo degli alleati il 25 giugno del 1944. Una pagina emblematica ma poco nota della storia della seconda guerra mondiale e della resistenza che proprio oggi, dopo un'altra lunga battaglia, torna agli onori delle cronache. La battaglia è quella per l'ottenimento della medaglia d'oro al valor militare nella Resistenza che stamani verrà consegnata alla città di Piombino da parte del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ventuno anni fa Nilde Jotti aveva appuntato sul gonfalone cittadino la medaglia d'argento. Ma per tutto il periodo della guerra fredda, nonostante l'interessamento di Palmiro Togliatti e di Ferruccio Parri e l'apprezzamento di Saragat e Nenni, era stato negato ai piombinesi qualsiasi riconoscimento. «Anche se i testi di storia le assegnano solo qualche riga, o nel migliore dei casi una mezza pagina, la battaglia di Piombino, insurrezione popolare contro i tedeschi nel caos del dopoarmistizio, è stata un evento di grande rilievo, degno di essere ricordato accanto alle quattro giornate di Napoli o ai fatti di Porta San Paolo e di Cefalonia. E degno soprattutto del massimo riconoscimento da parte dello stato». Ad affermarlo è lo storico Ivan Tognarini (all'anagrafe, che quando nacque nel 1944 non riconobbe quella dizione straniera e pericolosa nelle sue allusioni, risulta però Ivano), che per più di trent'anni si è occupato di questa vicenda che ha visto tra i protagonisti anche suo padre Federigo, oggi novantaduenne. «La mia è stata una lunga ricerca della verità - confessa il docente di origini piombinesi che insegna archeologia industriale a Arezzo e storia moderna a Siena - E' per questo che non ho smesso di cercare nuove fonti che supportassero la versione fornita dai tanti protagonisti e testimoni diretti dell'evento, tutti concordi nel sottolineare l'importanza bellica dell'episodio, l'opposizione determinante della gente di Piombino, e l'ambiguità delle alte gerarchie militari, responsabili oltretutto di avere abbandonato a un destino di deportazione in Germania e Polonia tutti i soldati italiani di stanza all'Elba». Sull'episodio hanno prevalso all'inizio altre versioni. «La rivolta popolare fu fatta passare come una opposizione del Regio esercito contro i tedeschi - spiega Tognarini - Basta pensare che i meriti della lotta contro gli exalleati del fascismo in quella giornata drammatica se li era ascritti, davanti al tribunale che lo processò nel 1947 per le sue responsabilità di gerarca fascista (e che gli condonò per questo cinque anni di carcere), il generale De Vecchi. Proprio lui che aveva permesso agli invasori di entrare in porto senza colpo ferire e che della battaglia, trovandosi a Massa Marittima, era praticamente rimasto all'oscuro fino alla conclusione». Tra i membri della commissione ministeriale che si era opposta alla assegnazione della medaglia d'oro aveva poi trovato credito la lettura dei fatti fornita dal generale Perni, che la mattina del 10 settembre aveva fatto sparare sui civili che protestavano appena si era sparsa la notizia dello sbarco di truppe tedesche. La sua relazione - a cui Tognarini ha avuto accesso solo allo scadere dei 50 anni dagli eventi - piena di rancore e di odio per i piombinesi, «sovversivi e comunisti», che lo avevano pesantemente insultato, sputandogli in faccia e accusandolo di tradimento, ha fornito alcuni degli argomenti più forti per la messa a fuoco e la giusta valutazione della battaglia di Piombino. «La svolta nelle ricerche fu però nel 1986 - racconta ancora lo storico - Nell'archivio militare di Friburgo riuscii a individuare il diario di bordo e alcuni fonogrammi del comandante tedesco che occupò Piombino. E' da lì che sono arrivate le prime conferme ufficiali della partecipazione popolare allo scontro che si svolse prima tra le batterie contrapposte, e poi sia lungo le strade del porto sia dentro le fabbriche, con un bilancio di morti molto pesante tra le fila tedesche e l'affondamento di una delle due navi». Il giorno dopo, mentre il comando di divisione italiano concorda la resa ai nazisti, gran parte degli operai, dei militari, e dei civili protagonisti della battaglia si sono già dati alla macchia. Sta per formarsi la banda di Poggio alla Marruca che poi confluirà nella Terza Brigata Garibaldi.