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Il ballo della povera donna (Dove comincia l'Appennino)

Dove comincia l'Appennino. Musica

ballo della povera donna : Cosola : 2003.07 / Stefano Valla: piffero; Daniele Scurati: fisarmonica Documentato nelle valli Staffora, Curone e Borbera, vale a dire sui versanti pavese e alessandrino delle Quattro Province, la "Povera donna" è un ballo arcaico tuttora frequentemente eseguito in occasione delle numerose feste tradizionali "da piffero" che si svolgono nei paesi. Tuttavia, solo a Cegni, nell'alta val Staffora, il ballo ha conservato la sua cornice rituale di carattere carnevalesco. Il 16 agosto, il ballo viene eseguito durante il cosiddetto "Carnevale bianco", in un contesto rappresentativo e folcloristico, mentre, da oltre vent'anni, ha recuperato una dimensione funzionale attraverso la sua ricollocazione in periodo invernale (il sabato grasso), per iniziativa delle nuove generazioni di suonatori e ballerini e con significativo seguito da parte degli abitanti di Cegni come pure di appassionati e cultori della tradizione locale provenienti da altri luoghi.

Il ballo della povera donna si colloca sull'orizzonte dei riti funebri pre-cristiani confluiti nella cultura carnevalesca, e presenta significative analogie con analoghe raffigurazioni coreutiche tuttora viventi. In Liguria, a Taggia sulla riviera di Ponente, nel mese di luglio in occasione della festa della Maddalena, u mas-ciu e a Lena inscenano il Ballo della morte dei Maddalenanti. Nella bolognese val Savena, il violino di Melchiade Benni suscitava il Barabein, come lo Scuciòl ballo di rinascita carnevalesca. Nucleo coreutico e simbolico è, in entrambi i casi, una danza di corteggiamento, la morte apparente della maschera maschile, nel caso del Barabein, femminile nel caso del Ballo della Morte, con il conseguente lamento del compagno attorno alla figura inerte del defunto coniuge, lamento accompagnato da una gestualità ambigua, tra il compianto e lo scherno; segue il repentino ritorno in vita del finto morto, ed il prosieguo della danza interrotta. Ancora, in tempo di carnevale, ballano il viei e la vieio della beò di Blins (Bellino), in provincia di Cuneo, e qui sarà la vecchia a stramazzare al suolo interrompendo la danza con il vecchio patriarca della famiglia carnevalesca, per poi tornare in vita dopo l'intervento di un grottesco medico, e riprendere l'interrotta danza suggellando il passaggio armonizzante di barriere di legno frapposte al cammino della comunità. Nella trentina valle dei Mòcheni, etnìa germanica, il bècio e la bècia intervallano il loro percorso di visita augurale alle case del paese con la danza che vede le due maschere alternarsi nell'inscenare morte e resurrezione, ogni volta lasciando scaturire dalle vesti un grottesco testamento, topos tipicamente carnevalesco.

ballo della povera donna : Cegni : Carnevale 2001? / PF

Le ascendenze storiche

Nella sua "Storia della danza" (Milano: 1966), Curt Sachs riporta la seguente testimonianza:

    Una volta vidi, durante un funerale, in una città ungherese, una strana danza. Una persona giaceva in mezzo alla stanza con mani e piedi allargati. La sua faccia era coperta con un fazzoletto. Egli giaceva lì senza muoversi minimamente, poi venne chiamato quello che guida la danza funebre con la cornamusa. Appena si cominciò, uomini e donne cominciarono a girare cantando e mezzo piangenti, intorno a colui che giaceva a terra, gli ponevano le mani sul petto, gli riunivano i piedi, lo rivoltavano ora sul ventre, ora sul dorso e facevano con lui ogni sorta di cose. Finalmente lo sollevavano piano piano e danzavano con lui, cosa spaventosa a vedersi poiché questi non si muoveva affatto, ma lasciava che gli altri gli muovessero le membra per lui. Io rimasi sbalordito e anche in occasione di un matrimonio vidi eseguire tale orribile rappresentazione come un divertimento o un gioco carnevalesco e mi fu riferito che una volta Dio punì colui che l'aveva messo in scena: quello che doveva fare il morto morì veramente e morto rimase a giacere.

Quest'antico testimone ci parla di una danza inserita in un contesto di morte e resurrezione, con quelle manifestazioni di ambivalenza tra ilarità e pianto, allegrezza e lutto, che ritroviamo in numerosi carnevali ancora vivi in forme tradizionali, come quello di Schignano, borgo della val d'Intelvi, in provincia di Como, che ha al centro del suo svolgimento il pupazzo-uomo detto Carlisèp, il quale sorprende i presenti con le sue fughe prima d'essere arso sul consueto rogo catartico. Ernesto De Martino riporta due esempi di danza di morte e resurrezione all'interno del suo discorso sul Pianto antico ("La terra del rimorso" -- Milano: 1994). Il primo di questi esempi è tratto dall'opera di Antonio Bresciani, "Dei costumi di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali". Bresciani così descrive il momento culminante del ballo da lui osservato nella tenuta di Geremas, "luogo solitario ed ermo sul mare":

    Allora fu il girare più avvivato, ché passò ben presto a concitazione; ed ecco un giovinetto scagliarsi improvviso nel mezzo del cerchio, ed ivi contendersi, divincolarsi, balenare e cadere tutto lungo in terra: e i danzatori battere il suolo rinforzati, e tragittar le braccia, e percuotersi con le proprie mani e colle mani de' compagni la fronte; attorno al caduto s'inginocchiano, s'accerchiano, s'ingroppano, fan viluppo; indi si sbaragliano, s'attraversano, si confondono con simulata baruffa a legge, e colla maggior grazia che mai, dando mostra d'un cruccio disperatissimo. In questo mezzo la lionedda spicca un suono allegro, e spiritoso, e il morto giovinetto guizza in pié, batte le mani, leva e trincia una caprioletta leggera, mentre tutta la brigata, dato già quel furore, ricompone il passo, assesta il cerchio, e rapidissima galoppa, e scambietta, e si diguazza in un tripudio fiorito. Poi rimettono la carola a tondo, e diveltisi dalla corona a due a tre, danzano in atto carezzevole dinanzi al risorto donzello, il quale ballonzola e porge le mani a questo, e a quello. E così i primi, dato un salto indietro, si ricongiungono con gli accerchiati, ed altri muovono a misura in mezzo a rinchinare e riverire il giovine ravvivato.

La seconda descrizione, poco dopo riferita dallo stesso De Martino, ci riporta in ambito funerario:

    Un tempo in Westfalia durante i funerali una persona si collocava al centro dela stanza mortuaria, e mentre i presenti danzavano si lasciava cadere a terra simulando la rigidità della morte. A questo punto seguiva il lamento funebre e il bacio rituale al finto morto: se chi sosteneva le parti era un uomo, le donne si recavano a turno a baciarlo, se era donna l'atto spettava agli uomini. Esaurita la cerimonia dei baci veniva eseguito un ballo tondo finché il finto morto al centro del cerchio si rialzava, mescolandosi alle danze.

Giraldo Cambrense ("Itinerarium Cambriae": sec. XII) ci lascia una descrizione di quegli "obscoeni motus", "saltationes seu choreae" che avevano abitualmente luogo nei cimiteri e contro i quali si scagliarono ripetutamente le condanne dei concili:

    Si possono vedere uomini e donne che danzano in circolo, ora in chiesa, ora dentro la cinta del cimitero, ora fuori tutt'intorno ad esso. Improvvisamente, essi si gettano a terra come in preda all'estasi e rimangono immobili. Poi saltano su come presi da furore e si mettono a rappresentare con i piedi e le mani i lavori proibiti nei giorni festivi.

Ugualmente ben rappresentato nelle antiche danze è il tema del corteggiamento, centrale nel ballo della povera donna, come pure nel Barabein e nel ballo del morto dei Maddalenanti di Taggia. Sachs riporta la descrizione di una danza associata al saltarello romano e alla tresca toscana:

    Questa descrizione ci mostra il danzatore inginocchiato in adorazione della sua compagna e poi, come se non ne potesse più, allontanarsene; con mille giravolte e scherzi la tiene ora a distanza, ora invece si slancia su di lei. I suoi salti e le sue capriole sono grotteschi e per affascinarla pieni di leggerezza e di flessuosità. Il suo modo di fare è fiero e risoluto, contrariato e seducente. Gambe e braccia, perfino le dita che tambureggiano, rafforzano le sue espressioni, ma soprattutto lo sguardo diviene ardente, languido, insolente e sfacciato. La fanciulla viene fuori dal suo angolo ora ritrosa, ora docile. Il suo sorriso è eloquente, i suoi occhi ebbri; fa oscillare la gonna come un'altalena, ne afferra un lembo come volesse raccogliervi qualcosa, oppure solleva il braccio in modo che la mano penda sciolta sul capo, come se fosse attaccata a un uncino, mentre l'altra è premuta sul cuore. Così la fanciulla è l'asse attorno al quale ruota il danzatore.

Il carnevale di Cegni

ballo della povera donna : Cegni : Carnevale 2003? / PF Oggi il carnevale di Cegni offre, come si è accennato, un duplice svolgimento, nella collocazione folcloristica e spettacolare in periodo estivo (16 agosto), e in quella, che potremmo definire "funzionale", in periodo invernale. Nel primo caso si ha una spettacolarizzazione intenzionale dell'evento carnevalesco, "rappresentato" piuttosto che agito; nel secondo caso un vero e proprio rito, interno alla comunità, sebbene meno completo del primo, nel suo svolgimento, rispetto alle modalità tradizionali. Al "Carnevale bianco", evento che richiama centinaia di persone ogni estate e che, a dispetto della veste formale, si discioglie poi nelle modalità di un'autentica festa tradizionale, va sicuramente il merito di aver tenuta viva l'immagine e la memoria dell'antico rito carnevalesco; è però il carnevale d'inverno, pur nella sua forma semplificata, a restituire significato culturale e pregnanza simbolica all'evento. Il sabato grasso, a metà pomeriggio, ha inizio il percorso della famiglia carnevalesca, davanti alla casa della povera donna, grottesca sposa protagonista principale, con l'altrettanto inquietante marito, del rito.

ballo della povera donna : Cegni : Carnevale 2001? / PF

La famiglia carnevalesca svolge il suo percorso rituale preceduta dai suonatori che si confermano così protagonisti essenziali della vicenda narrata dal carnevale. A Cegni come in numerosi altri eventi carnevaleschi, il corteo carnevalesco appare diretta parodia del corteo nuziale. Fanno cornice variopinta le maschere degli arlecchini. Destituiti dell'energia molesta che caratterizza i loro omologhi in numerosi carnevali alpini, ne conservano invece la funzione armonizzante nei confronti del procedere del corteo carnevalesco. Il rito carnevalesco si presenta, nella sua versione attuale, con i caratteri dinamici propri di un fenomeno folclorico radicato nella tradizione e al contempo in via di riconfigurazione, da un lato, per adattamento alle mutate condizioni del tessuto sociale, dall'altro nella tensione verso un recupero di forme espressive proprie del rito originario, conosciuto dai più giovani solo nel ricordo o nel racconto degli anziani. Il tutto avviene tuttavia in forma del tutto spontanea, come risposta ad un bisogno profondo, piuttosto che ad adempimento di un dovere filologico. l'uscita di casa della povera donna : Cegni : carnevale bianco 2001? / Paolo Ferrari: foto Può accadere che il "marito" (o "brutto"), introduca la famiglia carnevalesca: marito e moglie, che saranno protagonisti del ballo arcaico, la madre di lui con il rispettivo coniuge sulla cui paternità però si sollevano dubbi ("i secondi brutti"), secondo una logica di dissacrazione del rito matrimoniale che è certo uno dei temi sostanziali del carnevale. In una delle ultime edizioni, i suonatori, Stefano Valla (piffero) e Daniele Scurati (fisarmonica), hanno chiamato all'uscita la povera donna e il coniuge eseguendo lo stranôt del ciclo matrimoniale con il quale la sposa veniva invitata ad uscire di casa per dare inizio al corteo nuziale. Inoltre, la lacera sposa è stata trasportata per le vie del paese su di una carriola riprendendo così il tema tradizionale del trasporto sulla treggia per letame presente nel carnevale del passato.

Oh pôvra dôna mi, che mi è morto il me Tugnin...

Nella gran parte delle versioni documentate, il ballo della povera donna, diversamente dagli altri esempi di balli carnevaleschi di morte e resurrezione di cui abbiamo parlato, non prevede propriamente un momento di totale inerzia del ballerino, un giacere a terra a guisa di cadavere; sembra invece prevalere un simbolismo di tipo erotico, la simulazione dell'abbraccio amoroso, una morte allegorizzata dalla rappresentazione del suo eterno opposto, oppure un'azione di rigenerazione di un principio declinante ad opera di un apporto vitalistico. L'aspetto di coreutica funebre, che lo assimila al barabein della val Savena e al ballo dei Maddalenanti di Taggia, era invece ben evidente nella versione eseguita un tempo in val Grue, a Garbagna, stando alla testimonianza di Egidio Rovelli. Secondo tale testimonianza il "marito", stramazzato al suolo, "tira gli stinchi, si allunga lì, e la moglie disperata gli gira intorno tirandosi i capelli e dice (cantato a tempo di monferrina):

    Oh pôvra mi
    che mi è morto il me Tugnin,
    oh pôvra dôna mi
    che mi è morto il me Tugnin..."

ballo della povera donna : Cegni : Carnevale 2001? / PF

Al termine del lamento e del corrispondente passaggio lento di piffero, il marito salta in piedi e riprende il ballo. Siamo dunque assai più vicini, per modalità di svolgimento e anche per contenuti simbolici ai suddetti balli della val Savena e di Taggia piuttosto che alle versioni della povera donna eseguite a Cegni o in val Borbera, ove prevale la simulazione dell'accoppiamento sessuale che giunge a livelli particolarmente osceni in alcune versioni "di gruppo" documentate a San Nazzaro in val Borbera. Non si può escludere l'ipotesi che due diversi balli, l'uno di carattere più spiccatamente funebre ed uno a sfondo sessuale, si siano rivestiti dello stesso motivo musicale, anche se è più probabile che il tema erotico abbia prevalso su quello dichiaratamente funebre, per un naturale processo di sdrammatizzazione o defunzionalizzazione del rito. Nel caso di Garbagna, le movenze erotiche che caratterizzano il ballo a Cegni e in val Borbera appaiono sfumate a favore della gestualità propria della simulazione della morte, da parte dell'uomo, e del lamento funebre da parte della donna. A questo proposito va notato altresì che il canto che accompagnava il ballo nel momento riconoscibile come "lamento funebre" si prestava propriamente all'esecuzione nelle modalità di Garbagna, ricordate da Egidio Rovelli, e in particolare nel momento in cui la "povera donna" si dispera attorno alla figura supina del marito giacente nell'apparente stato di morte. Lo stesso vale per l'analogo frammento ricordato dalla figlia del pifferaio Fiorentin:

    Oh i me du sôld,
    o pôvra dôna,
    è morto 'l me Tognin
    che gh'l âva csì de bzôgna.

L'interpretazione: dall'aneddoto al simbolo vissuto

ballo della povera donna : Cegni : Carnevale 2001? / PF

L'esegesi popolare traduce come di consueto in termini aneddotici il simbolo rappresentato. Siamo naturalmente nell'ambito di quelle risposte che la cultura popolare fornisce a interrogativi inessenziali alla propria sensibilità, provenienti dall'esterno. E tuttavia l'evento aneddotico diffuso, accettato e tramandato, rivela nuclei di senso che non mancano di gettare luce sui significati originari dell'esperienza rituale. Andrea Sala "Driôtto", anziano fisarmonicista di Cegni e cultore della tradizione locale, richiama il consueto tema storico-leggendario del signorotto bramoso delle grazie di una bella contadina, la quale, non osando i genitori opporsi alle voglie del potente, per sottrarvisi "ha preso i sentieri del monte non l'hanno più vista" (A. Sala). Si tratta di un tema assai diffuso, spesso portato a spiegazione di eventi folclorici defunzionalizzati, e che riflette i non rari moti di resistenza delle comunità contadine nei confronti dell'arroganza dei potenti; ma nel contempo, e ad un livello di interpretazione più profondo, l'episodio richiama in chiave storica il tema simbolico dell'inselvatichimento, dell'allontanamento dalla civiltà, tema sotteso alle numerose fughe dei carnevali alpini arcaici, e ben evidente nella fuga della povera donna, come pure nel suo celarsi animalesco tra lo strame della stalla.

Una seconda testimonianza, dovuta alla figlia del pifferaio Fiorentin, può, dietro al velo dell'interpetazione aneddotica, introdurci ulteriormente nel nucleo di senso del ballo della povera donna:

    Mio padre la suonava sempre la povera donna, e ce lo diceva: è una donna che ci hanno ucciso suo figlio, allora lei piange... e si inginocchia per terra così, si dispera... e poi canta "Oh i me du sôld, oh pôvra dôna, è morto 'l me Tognin che gh'l ava csì de bzôgna", e poi si alzano in piedi e ballano...

      (La tradizione del piffero della montagna pavese / Aurelio Citelli, Giuliano Grasso (( Pavia e il suo territorio -- Silvana editoriale: Milano: 1990)

Quei "du sôld" esprimono nei modi spicci del dire popolare il dramma di una mancanza, un venir meno esiziale, un declino cosmologico, sia esso scandito da ritmi solari o lunari, da cicli vegetativi, ma comunque al centro del quale, ineluttabilmente, dimora l'uomo con il suo destino. Ed è un destino sociale, quello dell'incontro amoroso, cantato quassù dagli arcaici stranôt del rito matrimoniale, e quindi parodiato, per necessario contrappeso, nell'accoppiamento grottesco, umoroso fino all'oscenità, del ballo carnevalesco. Ma è anche un destino cosmico, quello di incontri di principi vitali, polarità di cielo e terra, avvicendarsi di stagioni, vissuti con la stessa sensibilità fatale dalle genti contadine di tutto il mondo. Nella fuga e cattura della "povera donna" traluce l'antico rifiuto della fanciulla strappata al grembo famigliare, il "ratto" degli antichi miti di fondazione, come pure istintivi moti di ripulsa verso necessitanti convenzioni sociali e destini di quotidiane oppressioni. Questo rifiuto è poi tutt'uno con uno slancio negativo che ha proporzioni cosmiche; una coazione a resistere all'ineluttabile, alla consunzione come pure al rinnovamento e alla rinascita, disciolta infine nella danza armonizzante.

Nel ballo della povera donna troveremo confusi i temi del corteggiamento, della seduzione e della ripulsa, di eros e thanatos, il risorgere ad un nuovo status sociale e la rinascita della natura, in un inestricabile gioco di rimandi che infine ne dissolve la distinta coerenza.

basato sull'articolo
Il ballo della povera donna / Paolo Ferrari
(World music magazine. 54: maggio-giugno 2002).


La povera donna [...] è generalmente suddivisa in tre parti coreutiche: una prima parte (in 6/8) di spostamenti nello spazio dove i ballerini paiono inseguirsi e "studiarsi", una seconda parte detta "lamento", accompagnata da una musica lenta, nella quale si abbracciano e scendono piegandosi sulle ginocchia fino a toccare terra e a volte fino a rotolarvisi, una terza parte (in 6/8), in cui i ballerini si rialzano di scatto ed eseguono il balletto. [...]

Tutte le versioni del ballo finora conosciute contengono, in modo più o meno marcato, chiare allusioni al corteggiamento e all'atto sessuale unite a una mimica di morte. Si tratta con evidenza di una danza che si inserisce a pieno titolo nell'arcaico filone dei balli rituali simboleggianti la morte e la resurrezione del Carnevale, personificazione della morte e rinascita della natura, dicui abbiamo altri esempi in Italia come il ballo del Baraben e lo Scuciòl nell'Appennino Bolognese e il ballo della Morte di Taggia. Ne ritroviamo ampie testimonianze anche in tutto il folklore europeo: nella figura della morte e resurrezione del buffone nella Schwerttanz (danza della spada) tedesca, nelle danze funebri citate da Sachs ecc. [...]

ballo della povera donna : Cegni : carnevale bianco 2001? / PF

Il tema del legame tra morte e atto sessuale su cui la povera donna è costruita, oltre che appartenere al patrimonio simbolico rituale delle società agrarie, è ben radicato nel subconscio individuale e collettivo. Nel ballo della povera donna, come in analoghe danze esistenti nei patrimoni coreutici europei, i due motivi sono collegati da una struttura narrativa che prevede: fase introduttiva: corteggiamento mimato senza contatto; fase centrale: corteggiamento o azione sull'elemento "maschile" con fasi di contatto; fase centrale il ballo "vero e proprio" (fase attiva). [...] Morte e pianto rituale ricompaiono man mano che il ballo si "ripulisce" del contenuto sessuale esplicito. Altresì interessante è notare come l'elemento sessuale sia più esplicito nelle danze ad esecuzione collettiva o di gruppo, mentre prenda il sopravvento il motivo della morte-resurrezione nelle esecuzioni pantomimiche svolte da coppie di fronte alla comunità che vi assiste.

(Osservazioni sui balli "da piffero" / A Scarsellini, P Staro, M Zacchi
(( Pavia e il suo territorio / R Leydi, B Pianta, A Stella : cura
-- Silvana : Milano: 1990)

Il ballo della povera donna (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori -- <https://www.appennino4p.it/poveradonna.htm> : 2004.01 - 2004.03 -