italialibri.net

I nipotini dell'ingegnere - Alberto Arbasino

  • ️NOUVALIS, Milano - www.nouvalis.it

Alberto Arbasino, I nipotini dell'ingegnere e il gatto di casa De Feo
«il Verri» I, 1960

el 1960 Arbasino si guarda intorno, alla ricerca di riferimenti che lo collochino in qualche modo all’interno o (più verosimilmente) all’esterno del panorama intellettuale italiano dominante. Mancano tre anni alla costituzione del Gruppo 63, la falange letteraria di cui l’autore diventerà lo scrittore più significativo, a fianco di poeti e critici, come Eco e Sanguineti, Giuliani, Balestrini, Guglielmi ecc. e molti altri scrittori di narrativa, che però, quasi subito, prenderanno per lo più altre strade.

L’astro di Carlo Emilio Gadda, l’ingegnere autore del Pasticciaccio, rifulge nel cielo letterario del dopoguerra e il suo linguaggio, un italiano acrobatico che attinge a man bassa dai coloriti idiomi regionali, è stato reso celebre sul grande schermo da un irresistibile Pietro Germi, nei panni del commissario Ingravallo (Un maledetto imbroglio, 1959).

Per introdurre la sua prospettiva, in un articolo pubblicato su «il Verri» agli inizi del 1960, Arbasino ricorre a una similirudine originale, che chiama in causa la dedizione del gatto di Sandro De Feo al suo padrone, il critico de «l’Espresso» che pubblicò tre romanzi tra il 1962 e il 1967, poco prima di scomparire prematuramente.

A differenza del cane, per sua natura abituato ad “appartenere” a un padrone o a un branco, il gatto è notoriamente un animale indipendente. Il suo attaccamento a una persona è un fenomeno raro e il risultato di un’attrazione inconsapevole e, allo stesso tempo, irresistibile. L’equazione di Arbasino è: la «devozione» dimostrata dagli scrittori Arbasino, Pasolini e Testori per un riluttante, imbarazzato maestro (l’ingegnere) è tale all’affetto dimostrato dal gatto «una volta che abbia stabilito di forzare la propria natura egoistica e indifferente, per dare, veramente “dare” qualche cosa di sé: e si tratta di un sentimento importante, che non pre-esiste, lì, disponibile, ma va suscitato caso per caso...»

Come dire: la relazione esiste ed è intensa, fermo restando l’indipendenza di tutti i soggetti interessati. Si sta parlando infatti di quattro assoluti outsider.

Giovanni Testori è uno scrittore cattolico, scomodo per la Chiesa che riunisce intorno a sé anche una grande massa di piccola borghesia reazionaria e bigotta, a causa del significato sociale che infonde nelle sue opere, e scomodo per i partiti socialisti, per lo spirito cristiano che scaturisce dalla sua narrativa.

Pier Paolo Pasolini è stato addirittura espulso dal Partito Comunista, il suo partito di riferimento, ed è considerato il nemico pubblico numero uno della borghesia reazionaria, quella che si raggruppa intorno ai partiti della destra e della destra estrema: per dei comportamenti privati che spesso degenerano scandalosamente nel pubblico, e per i suoi scritti, che mettono in evidenza contraddizioni tra le affermazioni rispettabili di facciata e i fatti che le smentiscono, da una parte e dall’altra della barricata.

In questa compagnia Alberto Arbasino vestirebbe la parte del bravo figliolo, diligente, pulito e di buona famiglia, se la sua prima opera importante, Anonimo Lombardo, non contravvenisse a tutti i canoni dell’estetica croce-gramsciana, talmente infarcito di citazioni e di riferimenti dotti, da mettere in imbarazzo, a sinistra gli intellettuali, per lo più allineati con lo status-quo, a destra i lettori più forbiti. Insomma, anche lui una pecora nera.

Quanto all’ingegner Gadda poi, nevrotico fin dall’infanzia, la sua ipocondria è una condizione in cui si pasce, che lo isola completamente dalle attenzioni del pubblico e dei critici, che per lo più ignora.

Le somiglianze tra i nipotini continuano, con dei distinguo. Arbasino analizza, accostandoli, i personaggi della periferia milanese ritratti da Testori ne Il ponte della Ghisolfa «naturaliter freddi, silenziosi, persino spenti; ma proprio per questo, quando si accendono per una grossa passione...» con i borgatari romani «mangiare, mangiare tanto, bere, parlare da bullo, il piccolo furto, la mania per i vestiti, la bravata, magari assurda, fare un po’ di marchette, ma subito dopo...» che in Una vita violenta Pasolini colloca nei sobborghi della Capitale, con in più il tempo atmosferico «i cieli tempestosi, le nuvole accese, alla Scipione, gli scirocchi, le tramontane, le afe, le ventate troppo fredde o troppo calde fuori stagione, sopra il fango degradante delle borgate». Mentre in Testori «il paesaggio della periferia milanese nel suo splendido esplodere attuale, edilizio, operaio, sessuale, di costume, di palestre sportive, cinematografi, bar luccicanti, e tantissimo neon dappertutto» è lasciato all’intuito del lettore.

Con un punto di assoluta convergenza: «L’unica caratteristica comune dei tre nipotini dell’ingegnere [è] una specie di vitalità frenetica e imprudente [...] come se davvero dovessero morire domani.»

Tutti passati dalle pagine di «Paragone» per l’intuito di Anna Banti e Roberto Longhi, Pasolini, scrittore, poeta, anche vernacolare, commentatore, saggista, si dedica al cinema, dove si mette in gioco al 100%.

Testori proviene dalla critica d’arte, scrive romanzi, poesie e sceneggiature teatrali e recita sul palcoscenico.

«Da parte mia — aggiunge Arbasino — ho il diritto e la politica internazionale, un po’ di saggistica, un po’ di giornalismo; e soprattutto ho intenzione di continuare a fare delle storie, non tante, ma piuttosto lunghe, di un respiro abbastanza ampio, ambientate nell’Italia d’oggi, senza fissarmi su una regione determinata (anche perché di solito parlano di gente che si muove abbastanza), però sociologicamente giuste fino ai fili d’erba, sempre con parecchi personaggi fortemente caratterizzati; e preferibilmente in prima persona...»

È un riferimento, in pochi tratti di penna, a Fratelli d’Italia che proprio in quei giorni girava da una redazione all’altra, in cerca di un editore. Come dire, Arbasino pro domo sua. L’autore ha scritto un romanzo di 700 pagine e si scontra con l’opposizione e le reticenze di una parte del mondo intellettuale. Forte è quindi la presa di posizione contro quei critici ignavi che, accostati ai loro omologhi britannici, si distinguono per insipienza.

L’articolo è apparso su «il Verri» nel 1960 ed è rimasto nella storiografia della nascente Neoavanguardia, oltre che per l'acuta e sintetica analisi dei "cugini", anche perché indica alcuni concetti poetici del romanzo neoavanguardista: l’uso della prima persona singolare, la saggistica, l’uso strumentale dei personaggi in favore di questioni tecniche costruttive non convenzionali: «... un tempo succedeva che si contrabbandassero contenuti libertini sotto apparenze filosofiche, mentre è chiaro che oggi questa operazione va svolgendosi rovesciata».

“Oggi” è oggi uno “ieri” di mezzo secolo fa e oggi Arbasino, ottantenne, ha pubblicato una doppietta di libri dai contenuti insospettabili, a ritmo di... rap (Rap, Feltrinelli 2002 e Rap II, 2003) che strizzano l’occhio a un pubblico più giovane dell’autore di mezzo secolo.

Oggi la lettura dell’articolo apparso su «il Verri» lascia trasparire uno “spirito” che, guardando avanti, vedeva nuove opportunità di fare e di esprimersi, a prescindere dalla forma, dalle consuetudini e dalle buone maniere.

Uno spirito che oggi, nella grigia alba del XXI secolo, sentiamo di desiderare anche per noi stessi, disperatamente.

Milano, 24 settembre 2003
© Copyright 2003 italialibri.net, Milano - Vietata la riproduzione, anche parziale, senza consenso di italialibri.net