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La Repubblica/cronaca: Marta Russo, l'appello bis si cerca l'ultima veritÃ

Parte oggi il rifacimento del processo di secondo grado
sul delitto della Sapienza, dopo la sentenza di Cassazione
Marta Russo, l'appello bis
si cerca l'ultima verità
E la difesa gioca la carta della "pista trascurata"
di GOVANNI VALENTINI

Se non sono stati loro, chi è stato? Se non è stato Giovanni Scattone a sparare, e il suo collega Salvatore Ferraro a coprirlo, chi ha tirato il grilletto? E se il colpo non è partito dalla Sala 6 al primo piano dell'Istituto di Filosofia del Diritto, da dove può essere partito?

Il nuovo processo d'appello che inizia oggi contro i due assistenti universitari, già condannati in primo grado per l'uccisione Marta Russo, non dovrà rispondere direttamente a questi interrogativi. La Corte, dopo l'annullamento della sentenza d'appello da parte della Cassazione, è chiamata piuttosto a stabilire se Scattone e Ferraro sono responsabili rispettivamente di omicidio e di favoreggiamento. O meglio, a valutare se le testimonianze sono sufficienti per considerarli colpevoli. Ma, proprio per raggiungere questo risultato, i giudici dovranno superare ogni ragionevole dubbio e maturare il libero convincimento che i fatti si sono svolti esattamente in questo modo.

Questa volta, perciò, il collegio di difesa giocherà tutte le sue carte sulle incertezze, sulle contraddizioni, sulle ombre che gravano ancora sul "mistero della Sapienza". E in particolare, sulle piste alternative che pure gli inquirenti scandagliarono, senza arrivare però ad alcun risultato apprezzabile.

Fu proprio uno dei legali di Scattone, l'avvocato Francesco Petrelli, a rilanciare l'ipotesi più suggestiva e inquietante nella sua arringa conclusiva del processo d'appello, rivelando a sorpresa un particolare inedito. Il 9 maggio del '97, quando fu uccisa la povera Marta Russo, era giorno di paga alla "Pul.tra", la ditta che ha in appalto le pulizie all'interno dell'Università e il cui magazzino affaccia proprio sul vialetto dove la studentessa venne ferita a morte.

"Il killer - incalzò Petrelli - potrebbe aver colpito per sbaglio Marta, dopo essersi appostato nel bagno disabili al pianterreno, di fronte alla porta della "Pul.tra", per mirare a qualcuno che quel giorno doveva sicuramente uscirne". In realtà, a fare per prima quell'ipotesi era stata la stessa Digos, tre giorni dopo il delitto, in un'informativa del 12 maggio registrata agli atti del processo. A pagina 4 si legge fra l'altro che "il più accreditabile luogo da cui è stato esploso il colpo" è proprio il bagno per handicappati della Facoltà di Scienze Statistiche. Ma il dato ancora più significativo è un altro. Dallo stesso documento, firmato dal dirigente della Squadra mobile D'Angelo e controfirmato dal dirigente della Digos Vulpiani, risulta che in quel vialetto qualcuno aveva già usato in passato armi da fuoco: "Due scalfitture di proiettile sul muro a pochi metri di distanza dalla medesima porta dimostrano e confermano che anche in precedenza all'evento delittuoso, e probabilmente dallo stesso punto di fuoco, sono stati sparati dei colpi".

A distanza di molto tempo, durante il processo di primo grado, l'intuizione iniziale della polizia fu confortata dalla perizia collegiale commissionata dalla Corte d'Assise. In base agli esami balistici, ai prelievi seguiti e alle testimonianze raccolte, i periti affermarono innanzitutto di non avere "elementi tecnici che indichino il coinvolgimento degli imputati in quello sparo". E fra le diverse finestre compatibili con la traiettoria del proiettile, attribuirono "una più accentuata probabilità" proprio a quella del bagno disabili al pianterreno di Statistica, di fronte al magazzino della "Pul.tra". A parte i riscontri delle indagini che all'epoca non fornirono esiti positivi, c'è un elemento fra gli altri che ha indotto la Corte d'Appello a escludere la prima ricostruzione suggerita dalla Digos subito dopo il delitto: "La presenza, nel locale a piano terra, di un'inferriata a maglie di 12,5 centimetri ciascuna rendeva l'ipotesi che si fosse sparato dalla relativa finestra difficilmente realizzabile".

Al di là del fatto che in questo caso la presunta difficoltà del tiro non ne implica necessariamente l'impossibilità, vale al contrario l'osservazione contenuta nella lucida requisitoria con cui il sostituto procuratore generale, Vincenzo Geraci, chiese e ottenne l'annullamento di quella sentenza: "Sul piano logico, anzi, non è incongruo ritenere che l'esistenza della grata avrebbe potuto perfino offrire un ausilio a chi - per tener ferma la mano - avesse inteso sparare appoggiando l'arma su una delle sbarre della finestra".

Un altro dato a favore di questa pista alternativa è emersa dalle perizie chimiche: la presenza di "fibre di lana di vetro" sul proiettile che uccise Marta Russo, analoghe a quelle rinvenute poi nel bagno di Statistica, nei pannelli del soffitto. E' stato lo stesso perito nominato dalla Corte d'Appello, Ezio Zernar, a escludere che queste fibre potessero risalire alla finestra della Sala Assistenti, rilevandone invece "una presenza notevole" nella toilette al piano terra e attribuendone la provenienza a "materiale per coibentazioni". Agli atti del processo, c'è poi una documentazione fotografica che smonta in proposito una tesi dell'accusa.

Secondo i pubblici ministeri, quel bagno - essendo riservato ai disabili e quindi dotato di un maniglione antipanico, non si può chiudere a chiave dall'interno e perciò nessuno avrebbe pensato di appostarsi proprio lì per sparare, con il rischio di essere scoperto facilmente. A smentire però questa affermazione sono due foto scattate dalla polizia scientifica e debitamente registrate con i numeri 64-65. Mostrano il tubo flessibile della doccia annodato intorno alla maniglia, per bloccare dall'interno la porta: il 9 maggio del '97, un'ora dopo il ferimento di Marta Russo, fu trovato fuori posto, a penzoloni nel vuoto, in una posizione ritenuta dagli investigatori anomala e sospetta.

Quanto ai testimoni presenti in quel vialetto dell'Università al momento del delitto, non c'è nessuno che abbia visto lo sparatore: né alla finestra della Sala Assistenti né a quella del bagno disabili al pianterreno. Poco prima dello sparo, intorno alle 11,20 di quel venerdi maledetto, lo studente Adriano Leoni entrò nel bagno per handicappati perché tutti gli altri erano occupati, trovò la finestra aperta e istintivamente la chiuse. Ma un altro studente, Andrea Ditta, che camminava nel vialetto in direzione opposta a Marta Russo e alla sua amica Iolanda Ricci, ha affermato che subito dopo aver udito il colpo la sua attenzione si concentrò sulla finestra del bagno di Statistica: "Le imposte mi sembra che fossero aperte, non proprio spalancate; mi sembra che fosse socchiusa, non proprio chiusa".

Qual è, dunque, la verità? Quale fu esattamente la dinamica del delitto? E infine, chi ha ucciso la povera studentessa? Forse neppure questo secondo processo d'appello riuscirà a risolvere il "mistero della Sapienza". Ma se la Corte si convincerà, oltre ogni ragionevole dubbio, che Scattone ha effettivamente commesso il delitto e Ferraro l'ha coperto, gli imputati saranno chiamati a rispondere delle loro rispettive responsabilità e dovranno di conseguenza scontare la pena. Altrimenti, non si farà giustizia mandando in carcere due imputati senza la certezza che siano colpevoli.

(15 ottobre 2002)