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Le donne della
Resistenza per la pace. Il tema rimanda alla scelta delle donne.
Io non
credo nel determinismo biologico, non credo che le donne siano dalla parte
della pace per natura, semplicemente in quanto donne, ma che lo siano in
quanto donne democratiche.
Le donne sono dalla parte della pace (e della storia) per scelta, una scelta che riguarda donne e uomini, nellItalia del 1943, una scelta determinante non solo per il presente, ma anche, soprattutto, per il futuro, per chi, incolpevole, subirà non le intenzioni, ma gli effetti delle azioni compiute.
Allora cè la storia scrive Italo Calvino nel Sentiero dei nidi di ragno - Cè che noi, la storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dallaltra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, mintendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire unumanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. Laltra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quellodio, finché dopo oltre venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.
La scelta per la storia, per unumanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi, è la scelta per la pace.
La guerra delle donne inizia l8 settembre del 43: non è guerra di aggressione (o umanitaria, o preventiva) ma di resistenza, resistenza civile e resistenza partigiana, senza armi e con le armi. Parlerò di entrambe.
Non che prima le donne non conoscessero la guerra: dal 40, da oltre tre anni, conoscono fame e stenti, dolore e lutti. Per le donne ebree, poi, la guerra è iniziata ancora prima, nel 38, con le leggi razziali.
Speravo che malgrado tutto le cose sarebbero andate bene, che la guerra sarebbe finita presto [ ] che, dissipato lincubo, la vita avrebbe ripreso un ritmo di pace scrive Giuliana Gadola Beltrami: è lillusione seguita al 25 luglio, alla caduta del fascismo, è soprattutto la speranza e lattesa della fine della guerra, e della pace, che si coniuga a una volontà di lavorare, di far qualcosa, qualunque cosa, meglio che mai.
L8 settembre,
rifiutando la legalità fascista in nome di ben altra idea di legittimità
(perché è immorale far pagare alle popolazioni prezzi così alti in termini
di rischi e sofferenze) le donne danno vita a una grandissima operazione
di salvataggio, il salvataggio dei soldati italiani sbandati. Quanto vale
la vita di un ufficiale, di un soldato, in divisa grigia? Ecco, allora,
che le donne svestono e rivestono i giovani uomini di ritorno dai fronti,
occultano divise militari e reperiscono, confezionano, fanno indossare
abiti civili ai ragazzi, figli reali e simbolici, figli che non si fanno
per darli al fascismo, per mandarli a morire in guerra
Ricordo che la mamma diede abiti civili a un soldato inglese:
Le donne portano a compimento una gigantesca opera di travestimento,
maternale, che esalta il loro ruolo di madri, che curano e consolano (così
è, per esempio, per Mamma Agnese, la protagonista dellAgnese va a
morire di Renata Viganò). Ed è una maternità collettiva,
portatrice di pace, di cui gli uomini sono ben consapevoli: Le donne
pareva che volessero coprirci con le sottane: qualcuna più o meno ci
provò scrive Luigi Meneghello nei Piccoli maestri.
Da subito la Resistenza delle donne si articola nelle due modalità, senza armi e con le armi. Scrive Anna Bravo che è resistenza civile quando si tenta di impedire la distruzione di cose e beni ritenuti essenziali per il dopo, o ci si sforza di contenere la violenza intercedendo presso i tedeschi, ammonendo i resistenti perché Non bisogna ridursi come loro, quando si dà assistenza in varie forme a partigiani, militanti in clandestinità, popolazioni, o si agisce per isolare moralmente il nemico; quando si sciopera per la pace o si rallenta la produzione per ostacolare lo sfruttamento delle risorse nazionali da parte delloccupante; quando ci si fa carico del destino di estranei e sconosciuti, sfamando, proteggendo, nascondendo qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra.
Privilegiando questa
lettura (Resistenza civile e Resistenza armata), le donne contribuiscono
alla Liberazione in numero elevato. Certo come sappiamo - le donne
scompaiono quando nella lingua italiana si declina al maschile: e già
negli scioperi del marzo 43, dietro al termine operai arrestati e
condannati si scopre che ci sono, anche in maggioranza, donne.
Ne sono consapevoli i Gruppi di difesa della donna, che non mancano
di rivendicare la titolarità delle azioni e la presenza pubblica delle
donne, che non sono soltanto mogli, madri, sorelle di partigiani: sono le
prime a scendere in piazza, sono quelle che urlano più forte: per
laumento del salario, per il ritorno dei figli dal fronte, per dire
basta guerra. Le parole dordine dei grandi scioperi di cui abbiamo
ricordato da pochi giorni il cinquantennale sono pace, pane, libertà.
Pace, prima di tutto, come condizione necessaria a instaurare benessere e
democrazia.
Se gli uomini danno vita a due eserciti, uno in parte volontario, laltro frutto della più grande diserzione di massa, altrettanto fanno le donne. Le donne non hanno il problema di sfuggire allarruolamento forzato di Salò: tanto le partigiane quanto le ausiliarie compiono una scelta incondizionata, gratuita: le une per unumanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi, le altre per ripetere e perpetuare quel furore e quellodio. Le donne della Resistenza per la pace, le donne di Salò per le città in macerie, le macellerie coloniali, i campi di sterminio.
Vi è grande consapevolezza nella scelta, anche se talvolta essa appare dissimulata nella casualità, nella noncuranza. L8 settembre, a Roma, alla madre che le chiede Ma che ci va a fare una donna?, Carla Capponi risponde che Donne e uomini sono tutti utili.
Per le donne la scelta
delle armi è sempre dolorosa (alcune non la compiono), ma talvolta
ineludibile. Il rapporto con le armi passa attraverso un sentimento di
rivolta: è quel quando è troppo è troppo che leggiamo in più di una
memoria, è lingiustizia divenuta intollerabile, è lurgenza di porre fine
al fascismo e alla guerra.
Utilizzando le armi, le donne invadono il ruolo maschile (perché le armi
sono pensate dagli uomini per gli uomini), ma non ne fanno un oggetto di
presunzione, bensì di estrema necessità, in una contingenza storica
eccezionale. Non mi è mai piaciuto vedere gli altri cadere, anche se
erano il nemico, scrive Laura Perseghettini, e Non è per odio per
nessuno che si deve fare, dice Filippo Beltrami a Giuliana, che
nellimmaginario popolare diviene leggendaria quanto il marito: con una
raffica di mitra la Signora ha ucciso sei tedeschi sente dire di sé, in
treno, dopo la morte di lui.
La contingenza storica è eccezionale: non è in gioco la sensatezza e la
necessità delluso delle armi e neppure stupisce il contributo di donne in
armi.
Con alcuni distinguo: lassenza di odio, per esempio, che è un tratto importantissimo, così come la partecipazione al dolore delle vittime incolpevoli.
Nellagosto del 43
Carla Capponi incontra un giovane soldato nazista a Ostia: lui le mostra
le foto di famiglia e tra queste la propria foto in posa con un partigiano
russo impiccato: lei ricorderà sempre la sensazione di orrore che fa
soffrire indicibilmente, alla quale si aggiungono altri ricordi
intollerabili, come quello del rastrellamento degli ebrei del ghetto
romano, nellottobre
Fu alla stazione Tiburtina che il diciassette alle cinque del pomeriggio,
partirono diciotto vagoni piombati dentro ai quali era anche una bimba,
nata durante la notte
Pensare a quella madre giovanissima con la sua
piccola creatura nuda, nel lungo viaggio verso le camere a gas, divenne
per me un assillo che mi tormentò ogni qualvolta dovevo intraprendere
unazione contro gli aguzzini tedeschi e i loro alleati fascisti; o la
memoria di Teresa Gullace, la donna romana uccisa davanti alla
caserma di viale Giulio Cesare, dove si trovava il marito in attesa della
deportazione, che ha ispirato il memorabile personaggio di Nina in
Roma città aperta; o ancora il ricordo delle dieci donne dei
quartieri Ostiense, Portuense e Garbatella abbattute come si ammazzano le
bestie al mattatoio perché avevano preso pane e farina da un forno, per
sfamare i figli.
Ebbene, a che pensa Carla Capponi (che è, evidentemente, una partigiana in armi esemplare) prima dellattentato di via Rasella? Avevo bisogno di ritrovare tutte le ragioni che mi portavano a compiere quellattacco Malgrado questi pensieri il mio animo era distante, e nel pensare a quei soldati non riuscivo a provare odio Mi tornava alla mente la disperata difesa della donna ebrea a cui avevano saccheggiato il negozio e che avrebbero ucciso; mi sentivo parte di quella tragedia come se avessi vissuto in prima persona lo sterminio. Per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi. Usare le armi, sì, ma per porre fine alla guerra, per avere finalmente la pace.
Altro distinguo forte e significativo è la pietas: Ada Gobetti cerca il turbamento sul viso del figlio davanti alla morte del nemico (guai, se non ci fosse) e Vitalina Lassandro, a proposito delle uccisioni, afferma che non avere disgusto di queste cose significherebbe non avere sensibilità neanche per il bene.
La Resistenza delle donne si declina, dunque, sia senza armi sia con le armi: due modalità che non sono separabili, che sono concepite allinterno di una scelta comune, che rendono ragione - tra laltro - della vittoria della Resistenza. Due modalità che hanno per unico fine la libertà e la pace.
Dopo la guerra le donne hanno mantenuto la memoria, molti uomini, invece, sono ammutoliti (Mio nonno taceva e piangeva, mia nonna parlava e raccontava, quasi fossero Francesca e Paolo, scrive la giovane Emilia Rancati): lindicibile, spesso, è stato detto dalle donne.
Non è casuale che siano le donne dellANPI a chiedere pace in questo 8 marzo: chi ha conosciuto la guerra teme troppo il suo ripetersi, non soltanto per sé, ma per gli altri uomini e donne.
L8 marzo del 45, nellItalia occupata, i Gruppi di difesa della donna rivendicavano il diritto non alla festa della donna, ma alla Giornata internazionale delle donne, che era celebrata in tutti i paesi liberi, e che invece nella parte dItalia oppressa dalloccupante nazifascista era commemorata ancora illegalmente (linterruzione durava, di fatto, dal primo dopoguerra, per la lunga frattura del fascismo): sapremo però ugualmente, come abbiamo dimostrato in molte altre occasioni, affermare la nostra volontà di farla finita con la guerra, dichiaravano le donne nel volantino distribuito clandestinamente quel giorno.
Che sia di buon augurio, e che a noi pure, figlie di quelle madri simboliche, vostre figlie, sia dato di farla finita con la guerra, di affermare le ragioni della pace.
partigiane modenesi
Lago di Montefiorino (Modena)
Forlì, ottobre 1944
Comizio del medico Anna Marengo a Lessona (Biella), aprile
1945
ascolto di Radio Londra
Emilia, inverno 1944-45
una partigiana piemontese
Le immagini sono
tratte da:
Adolfo Mignemi (a cura di), Storia fotografica della Resistenza,
Bollati Boringhieri, 2003