Possiamo ritenere il linguaggio “metafora della realtà”?
Cioè: scientificamente parlando, possiamo ritenere che ciò che
l’uomo mette insieme esplicitamente come sua espressione, sia una relazione, e relazione analogica, con la natura?
Certo che, se è vero che nel creato si può avere anche come
effetto ciò che nell’Increato è causa (pensieri dal Pensiero e immagini dall’Immagine), e, prima ancora,
se è vero che nel creato si riceve in complessa analogia qualcosa che, Verbum/ Imago, nell’increata
Trinità è il perfetto tuttinsieme di una divina identità, non solo la tesi parrebbe plausibile, ma
si farebbe forse anche del tutto doverosa e necessaria.
Naturalmente, resta fermo che a noi i termini sono conoscibili quanto inconoscibili,
in quell’ormai assodato equilibrio tra chiarezza e mistero (corrispondente alla dicotomia bellezza/fascino), cui ci porta
necessariamente il possesso di non uno, ma ben due strumenti di intelligibilità delle cose: la ragione naturale
sul piano delle creature e la ragione soprannaturale sul piano della Grazia e dell’Increato. Più ancora: equilibrio
cui ci porta necessariamente il limite di essere creatura, però unito al suo superamento, somigliando essa al suo Creatore.
Infatti il possesso di due ragioni mostra di per sé che la prima ha
dei confini, altrimenti non si porrebbe la necessità di averne una seconda; e la seconda, basata com’è sulla
testimonianza di terzi (cioè di Dio e dei beati), evidenzia un secondo limite intrinseco alla natura, la quale non può
conoscere ciò che la precede (ma può soltanto giungere ad arguire che Qualcuno la precede), sicché
non può conoscere neanche la propria intimità, conosciuta solo da Dio.
Ora, posto che in Dio la rappresentazione ha un nome, Imago, e non
solo ha, ma è un nome di uguale estensione del suo corrispondente Logos (Pensiero), risulterà
certo molto interessante, specie per chi come noi si delizia di Kallologia, ricercare se si trovi nel creato qualche vestigio
di questa divina corrispondenza, e dove, ammesso che i dati offerti dalla Rivelazione e srotolati con insuperabile perizia
da san Tommaso d’Aquino non sono stati per noi finora certo deludenti.
In altre parole, sembra del tutto ragionevole ritenere che da quelli che ho
chiamato la fonte bioculare posta nella Seconda Persona della Trinità: i due Nomi sacri Verbum/Imago, possano
discendere in stretto, vincolante parallelismo, due prospettive che aprono nel creato i due grandi insiemi in cui si raccolgono
le cose: quello posto dal pensiero e quello posto dalla sua rappresentazione, realizzando così il sistema della sovranità
totale del Figlio, cioè dando alla Seconda Persona della Trinità lo scettro di tutto l’universo mondo del
reale, sia esso immaginario o invece vero; sia esso pensante o pensato; sia esso spirituale o materiale; sia esso invisibile
o visibile.
Sarà però prima necessario fare, come sempre, qualche precisazione
terminologica. Infatti sarà già stato notato che molti termini non vengono usati in queste pagine con un criterio
strettamente univoco, ma con un criterio – per certi versi anche più rigoroso – che mostra a volte l’uso
dell’accostamento semantico, come quando si propone la catena ‘faccia/aspetto/eikòn/espressione’,
dove il termine espressione è analogo ai tre precedenti anche se non li traduce letteralmente, ma appunto li recupera,
e acquista più ancora pregnanza semantica se la sua catena viene posta a fronte di una catena parallela, formata da ‘contenuto/sostanza/nous/
pensiero’: sviluppo da Imago la prima, da Verbum la seconda.
Altre volte l’accostamento segue [...].