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Licenziamento discriminatorio - Wikipedia

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Il licenziamento discriminatorio, nel diritto del lavoro italiano, è un atto di risoluzione del rapporto di lavoro, quando esso sia dovuto alla attività e alle idee del dipendente espresse dentro o al di fuori dell'ambiente di lavoro.

Il datore può motivare esplicitamente il licenziamento con una di queste cause o adottare altre giustificazioni più legittime. Nella giurisprudenza del lavoro, sono numerosi i casi di licenziamenti discriminatori mascherarti con motivi economici.

Il divieto di discriminazione non è formalmente previsto dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori, ma è un diritto previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana e tutelato dal codice civile italiano.

È disciplinato, nell'ambito del licenziamento individuale, dall'art. 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604[1] e dall'art. 3 della legge 11 maggio 1990, n.108.[2]

Secondo l'art. 15 dello Statuto dei Lavoratori è nullo qualsiasi atto o patto diretto a "licenziare un lavoratore […] a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero", nonché la nullità dei licenziamenti attuati "a fini discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua e di sesso".

La legge prevede la nullità del licenziamento qualunque sia la motivazione adottata[3] e la dimensione dell'azienda, e vale anche per i dirigenti. Al lavoratore si applica la tutela reale, per cui l'interessato può scegliere fra il risarcimento del danno o la reintegra nel posto di lavoro. Nelle aziende che hanno meno di 15 dipendenti, il licenziamento discriminatorio rappresenta l'unico caso in cui il datore di lavoro è comunque obbligato alla reintegra del dipendente.

Viceversa, le categorie di lavoratori assunti a tempo indeterminato, per i quali è ipotizzabile una forma di licenziamento discriminatorio, sono quelli che beneficiano di una stabilità del posto di lavoro, nelle aziende che hanno meno di 15 dipendenti. Se il licenziamento non fosse nullo, in modo indipendente dalla causa adottata, il datore potrebbe reintegrare il dipendente e, a distanza di tempo, licenziarlo legittimamente con un motivo non riconducibile a fenomeni discriminatori.

  1. ^ Testo dell'art. 4, legge n. 604 del 1966: "Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacale è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata”
  2. ^ Testo dell'art. 3, legge n. 108 del 1990: "Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell'art. 4 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell'art. 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge. Tali disposizioni si applicano anche ai dirigenti"
  3. ^ Il D. Lgs. n. 216 del 2003, art. 4 comma 1 modicia l'art. 15 dello Statuto dei Lavoratori aggiungendo ai fattori di discriminazione handicap, età, orientamento sessuale o convinzioni personali

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