Sulla tomba di Rilke – di Dario Borso
- ️@m_damaggio
- ️Thu Jan 21 2021
(Rainer Maria Rilke – Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926)
SULLA TOMBA DI RILKE
Le 29 sept. 56
Cher Monsieur,
pardonnez moi ce papier d’un carnet d’esquisses.
Merci beaucoup de Votre aimable lettre à laquelle je reponds aux quelques questions que vous me posez. Le cachet de RMR était en cuivre ou peut-etre plus tard en argent; il n’avait pas de couleurs et il ne m’a jamais parlé qu’il a été en couleurs.
D’après ce cachet j’ai fait faire les armoiries sur la pierre tombale par le sculpteur Van Dongen qui habitait à ce temps à Etang La Ville-Marly. Pendant le trajet la pierre s’est brisée, j’ai été malheureuse – mais pendant les années cette brisure s’est cicatrisée comme une plaie qui se cicatrise.
Baladine Klossowska
P.S.
Je sais par mon amie Madame Wunderly Volkart qui a été dernièrement à Raron sur la tombe et qui s’occupe de l’Entretien continuellement, que l’état de la tombe était satisfaisant. Mais le grand vent qui règne là haut ne rend pas facile les soins. Elle a toujours l’air comme si personne ne s’occupait, hélas!
La lettera fu inviata dalla Klossowska (Merline, come la chiamava Rilke) all’allora sindaco di Sierre Elie Zwissig, che incontrerà la mittente dieci anni dopo acquisendo ulteriori elementi: “Cette pierre tombale, découverte par Merline, provient d’un vieux cimitière de Longchamp, de la tombe d’une nonne, dont l’inscription a donc été effacée par le sculpteur Van Dongen, frère du peintre Cornelius Kees Van Dongen”(1).
Se guardiamo il testamento che Rilke stilò la sera del 27 ottobre 1925 a Muzot, colpisce la fedeltà assoluta con cui Merline si attiene alle ultime volontà. Scrive infatti il poeta:
Aborro lo stile geometrico degli scalpellini d’oggi; forse sarà possibile acquistare una vecchia lapide (empire, ad es.), come successe a Vienna per la tomba di mio cugino. Si cancellino le iscrizioni precedenti e si faccia scolpire: lo stemma, il nome e, un po’ staccati, i versi:
Rosa, contraddizione pura!
Voglia
d’essere il sonno di nessuno
sotto sì tante
palpebre.(2)
Due giorni dopo, Rilke consegnerà in busta chiusa il testamento a Nanny Wunderly (la stessa che trent’anni dopo si occupa ancora fedelmente della tomba). Morirà il 29 dicembre 1926, e verrà tumulato di lì a quattro giorni nel cimitero attiguo alla chiesetta di Raron. Una croce in legno attenderà per qualche mese la lapide, che le si affiancherà sino ad oggi.
La prima versione dell’epigrafe risale a metà ottobre 1925: diversa solo per un ˂:˃ dopo ˂Widerspruch˃, è preceduta nel medesimo taccuino dalla prosa “Cimitière”, che ne costituisce dunque l’avantesto:
Y a-t-il d’arrière-goût de la vie dans ces tombes? Et les abeilles, trouvent-elles dans la bouche des fleurs un presque-mot qui se tait? O fleurs, prisonnières de nos instincts de bonheur, revenez-vous vers nous avec nos morts dans les veines? Comment échapper à notre emprise, fleurs? Comment ne pas être nos fleurs? Est-ce de tous ses pétales que la rose s’éloigne de nous? Veut-elle être rose-seule, rien-que-rose? Sommeil de personne sous tant de paupières?
Qui il messaggio è chiaro: la rosa vuol essere lasciata in pace, non coltivata, non colta, non coinvolta nel commercio dei segni (merce-simbolo-allegoria). Inevitabilmente però lo stesso contenuto, rifuso in un’epigrafe, si coniuga altrimenti: ora è il defunto che vuole stare in pace (reiner/Rainer), è il suo corpus poetico (Lidern/Liedern) che rifiuta l’emprise interpretativa, che vuole sottrarsi alla metempsicosi ermeneutica, alle mille vite del senso. E a partire dal Lied che esprime questo gran rifiuto, ossia dall’epigrafe stessa.
Quanto alla forma dell’epigrafe, essa richiama quella canonica dell’haiku. Poche settimane prima, da Parigi Rilke aveva recato un libro di Paul-Louis Couchoud, Sages et poètes d’Asie, uscito nel 1916 presso Calmann-Levy. Il cap. II, “Les épigrammes lyriques du Japon”, contiene appunto un florilegio di haiku: Rilke ne trascrive ventinove, e il 26 novembre li invia in dono a Sophy Giauque. Come gli acquarelli dell’amica, l’haiku esprime l’autarchia delle cose, il loro riposare su se stesse, il loro sottrarsi all’uso e all’usura: come le amate mele di Cézanne, come la rosa dell’epigrafe…
Resta invero una crepa, una brisure traverso cui l’haiku si apre ancora al mondo degli umani: secondo le parole di Couchoud riprese da Rilke, esso provoca “un bref étonnement fait cepandant pour arrêter longtemps celui qui le rencontre”. Ora, questo varrà a maggior ragione per l’epigrafe, la quale istituzionalmente è volta a colpire l’attenzione del passante imprimendosi nella sua memoria: la rosa vuol essere dimenticata, ma l’epigrafe vuol essere ricordata, vuole che la rosa sia ricordata.
Così dunque il tutto si presenta come “contraddizione pura”, come doppio legame che respinge e attrae, che invita a passar via e costringe a restare, che rifiuta gli usi e supplica una cura. Ma non è questo forse il paradosso di ogni dialogo coi morti? E non conterrà mai quel “sonno di nessuno” il sogno di una filo-logia?
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(1) Comunicazione all’autore. La lettera di Merline, inedita, è alla Fondation Rilke di Sierre.
(2) Rose, oh reiner Widerspruch. / Lust, / Niemandes Schlaf zu sein / unter soviel /Lidern.
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