Caccia alla strega - [ Il Foglio.it › La giornata ]
16 febbraio 2006
Controriforme
Alla Pellicciari non si perdona di avere contestato, documenti alla mano, il mito risorgimentale
Angela Pellicciari è storica di grande valore: le sue tesi sull’Unità d’Italia, fondate sull’analisi delle fonti, appaiono, nel merito, difficilmente contestabili. Lo si è capito tra le righe, nei numerosi articoli su di lei di questi giorni su vari quotidiani, in mezzo a malizie e faziosità indecenti. Annichilire l’avversario, senza neppure discutere, con il marchio dell’infamia: questa la tecnica adottata per infangare una persona. Colpevole, in realtà, non certo di simpatie naziste, ma solo di aver messo in dubbio il mito risorgimentale in opere documentate come “Risorgimento da riscrivere” (Ares) e “L’altro Risorgimento” (Piemme). La Pellicciari, insieme a storici come Pucci Cipriani, Massimo de Leonardis e Massimo Viglione, ha semplicemente contribuito a portare all’attenzione degli storici una domanda ovvia, che ognuno dovrebbe porsi: “Risorgimento” di che? Chi doveva risorgere? Forse l’Italia di Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, di san Francesco e san Tommaso, dei Comuni e delle corti rinascimentali, del romanico e del barocco? La patria delle università, della medicina e della scienza moderne? Non scherziamo… E risurrezione come? Con le sconfitte di Custoza e di Lissa, o con il patto segreto tra un mezzo italiano, Cavour, e il francese Napoleone, seguito da quello, sempre nell’ombra, tra Sonnino e Londra, nel 1915? Oppure l’Italia risorta è quella delle ridicole imprese coloniali del proto-fascista Francesco Crispi, garibaldino e fucilatore di compatrioti siciliani, che reclamano quello che è stato loro promesso?
Ma si sa, il mito ha la sua importanza, e quello risorgimentale è ormai troppo gonfio: si nutre del disprezzo protestante per l’Italia, di sentimenti fortemente laicisti ed anticattolici, che rinfacciano sempre la mancata Riforma, la leggendaria arretratezza del nostro paese, causa il Vaticano (così che tutti vanno altrove, a sentir loro, per fare questo e quello)… Abbondano, insomma, i patrioti all’incontrario, che sputano nel piatto patrio, a ogni occasione, e si esaltano per gli eroi di piombo, in camicia rossa, come Giuseppe Garibaldi. Ma chi era costui? Come la fede, anche il suo culto è in leggera flessione. La Pellicciari ci viene in aiuto: non era il “figlio del dio della patria, mescolatosi in amore con una fata del settentrione”, come scriveva Carducci, ma un commerciante di schiavi, creatore, però, bontà sua, della Società per la protezione degli animali. Un po’ come Voltaire, insomma, profeta di buonismo e nel contempo dedito al traffico di carne umana, da cui trarre guadagno; o come il vecchio Adolf, che mai e poi mai avrebbe mangiato carne, e ucciso animali, lui, avverso alla vivisezione, e al cristianesimo perché “porta con sé l’intolleranza e la persecuzione”.
Il mito risorgimentale, occorre ricordarlo, ha nutrito anche il fascismo, e incendiato, sino al fumo, la giovane mente di Benito Mussolini, allorché alla scuola di Valafredo Carducci succhiava dalle opere del più celebre fratello Giosuè l’ideologia nazionalista e l’odio anticattolico: sino al punto di girare per le strade non solo con un lenzuolo in testa, qualche volta, per spaventare i passanti (e si può capire), ma anche per declamare a gran voce il celebre “Inno a Satana”. Era troppo sicuro, del resto, delle glorie risorgimentali, per non buttarsi nelle imprese coloniali e oltre ancora: avrebbe preso bastonate alle reni, perché anche militarmente quello risorgimentale è solo un mito di carta. L’Italia unitaria, infatti, porta sempre a casa sonore sconfitte: l’unica vittoria, quella dei Mille, avviene con i soldi dell’Inghilterra, tramite “la corruzione sistematica dei quadri dell’esercito borbonico”. I documenti di quelle imprese pecuniarie, non militari, affondano guarda caso insieme al loro possessore, il chiacchierato Vice Intendente dei Mille, Ippolito Nievo. Il quale, poco prima di morire, lascia ai posteri un opuscolo, “Storia filosofica dei secoli futuri”, in cui, oltre ad augurarsi che la navicella di Pietro si riduca, letteralmente, a una semplice barca nel mare, prevede “l’annullamento dell’Austria”, “una rivoluzione nella Russia”, una lega europea, e una società di “omuncoli” creati in laboratorio, caratterizzata dalla noia, dalla “peste apatica”, dal suicidio diffuso e dal consumo di droghe. Che intravedesse i mirabili splendori dell’Italia risorta, post-risorgimentale e post cattolica?
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