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L’età medievale – Terre Marsicane

Testi a cura del prof. Giuseppe Grosssi maggiori info autore

La prepositura cassinese di Sancta Maria de Luco.

L’inizio del medioevo è indubbiamente segnato per la Marsica dall’arrivo dei Longobardi nella provincia Valeria nel 571-574 con la definitiva conquista nel 591 ad opera di Ariulfo, secondo Duca di Spoleto. Della primitiva conquista della “Valeria provincia” abbiamo l’accorata descrizione del papa Gregorio Magno che evidenzia l’uccisione per impiccagione di due monaci e la crudele decapitazione di un ” venerabilis diaconus … in Marsorum provincia ” (Gregorii Magni, IV, 262).
Da queste notizie si evidenzia la mancanza, per quel periodo, di un vescovo nel territorio marso, ma soprattutto la presenza di monaci probabilmente ancora addetti alla conversione dei gruppi pagani che sopravvivevano nell’interno degli insediamenti rurali appenninici.
Agli inizi del successivo VII secolo la Valeria è inserita nel Ducato di Spoleto con la nascita nella Marsica di una gastaldia locale retta da un gastaldius Marsorun residente nella Civitas Marsicana (S. Benedetto dei Marsi) e nella ” curte comitale ” (sic.) di Apinianicum di Pescina. Nello stesso secolo, nel 608, un prete nativo dalla Marsica diventa papa col nome di Bonifacio IV: “Bonifatius natione Marsorum de civitate [leggi: provincia] Valeria” (Liber Pontificalis, I, 317). Alla metà del secolo i Longobardi si cristianizzano ed iniziano a costellare il territorio di chiese dedicate a S. Angelo, come la Sancti Angeli in Transaquas del “Pozzo di S. Angelo” di Luco, santo armato e protettore del guerriero longobardo (Arimanno).

Pur tuttavia la conquista longobarda mette fine alle strutture amministrative romane ed anche alle primitive diocesi cristiane attestate in territorio albense e marruvino a partire dal VI secolo a.C. Dei vecchi municipia di Alba, Anxa e Marruvio non rimane traccia alcuna come ben descritto dallo storico longobardo Paolo Diacono, vissuto nel 720-799: trad. ital. = ” La tredicesima regione è la Valeria, …., Le sue città più importanti sono Tivoli, Carsoli, Rieti, Forcona e Amiterno; vi si trova pure il territorio dei Marsi con il Lago Fucino ” (Hist.Long., II, 20). Dalle prime notizie dell’area fucense in età longobarda e prima età franca sappiamo che i fundi documentati in piena età imperiale romana sono in gran parte riutilizzati dalle ecclesie e curtes di età longobarda: dai ritrovamenti ceramici e dalle sepolture potrebbe essere attestata una frequentazione di età longobarda nelle località di “Agguachiata” e “S. Angelo” (GROSSI 1998, 28-31).
Nel 774 la gastaldia dei Marsi ” in finibus Spoletii ” viene conquistata da Carlo Magno e nuovamente inserita nell’ormai franco-longobardo Ducato di Spoleto. Da questo momento iniziano le prime testimonianze sulle chiese e monasteri benedettini del territorio luchese.
La prima notizia della presenza di Benedettini nel territorio fra Luco e Trasacco si ha fra il 789 e l’822 con la citazione della chiesa di ” Sancta Maria Transaquam, cum suis pertinensis ” citata come possesso del monastero di Farfa (RI) sotto il Duca di Spoleto Guinigio (Chron.Farf., I, 258, n.1; Reg.Farf., V, doc.1280).
Si tratta di una curtis monastica (“villa rustica ad economia chiusa”) posta nelle vicinanze delle rive del lago con al centro la chiesa con terreni attorno, probabilmente tenuta da una famiglia dipendente dai Farfensi e ricalcante un vecchio fundus (“fondo agricolo”) tardo-antico, probabilmente riconoscibile nella località detta “Passarano”.

Quasi del tutto assenti le testimonianze del primo medioevo fino al X secolo nell’area della città di Anxa-Angitia, ma certamente la vita continuò, anche se in tono decisamente minore, data la presenza di fregi scultorei cultuali cristiani e ceramiche acrome ed invetriate di VII-IX secolo. È di recente la conoscenza nell’area del tempio del “Tesoro” di sepolture alto medievali con fosse rivestite e coperte dalle lastre di spoglio del rivestimento del tempio e del vicino porticato.
È, inoltre, attestata la riutilizzazione di parte del tempio, fra la parete rocciosa sud e il podio, come civile abitazione a due livelli con camino ricavato sulle murature antiche; si notano infatti dei fori sulla roccia per alloggiamento delle travature. Appare possibile che una primitiva chiesa cristiana sia stata edificata intorno al VII-VIII secolo sul sito basso del santuario della dea fucense, probabilmente distrutto dai Cristiani nel corso del IV-V secolo, come confermato da capitelli floreali e frammenti ceramici di questo periodo rinvenuti nel luogo. Solo a partire della metà del X secolo abbiamo la prima attestazione dell’esistenza nel luogo, in alto e sul margine sud della città antica, di un piccolo abitato testimoniato dalla citazione della chiesa di Santa Maria, probabilmente un piccolo Oratorium, nei documenti cassinesi del X secolo.
È infatti solo intorno al 950 che una nobile longobarda dal nome Doda, moglie del primo Conte dei Marsi Berardo I detto ” il Francisco “, cede a Montecassino, tramite il monaco-sacerdote Gualtiero, la piccola chiesa di Sancta Maria in Luco con seicento moggia di terreno vicino (circa 150 ettari). Poco dopo, intorno al 957, tre uomini liberi marsicani, Bettone Rattruda di Avezzano, Apico di Paterno e Pietro Mainone di Auritino (Celano) concedono per eredità altre terre al nascente monastero benedettino (Chron.Mon.Casin., II, 7, 182-183). Infatti dopo la cessione di Doda, fu dai monaci affiancato alla chiesa il monastero-torre benedettino, monastero che divenne una delle più prestigiose prepositure cassinesi della Marsica dal X al XIV secolo e da cui dipesero ben 29 monasteri e chiese benedettine della Marsica (CROCENZI 1992).

Altra località citata in questi anni della seconda metà del X secolo è quella di Aquitino (l’attuale “Agguachiata-Piedimura”), un’area occupata da una palude durante gli innalzamenti del lago Fucino e dominata dal balzo roccioso su cui nel 978 si vedevano ancora i ruderi della antica chiesa di S. Sebastiano dotata di atrio (ora chiesa annessa al Convento dei Frati). Sono infatti due fratelli marsicani abitanti in Calluco (vicino Casali d’Aschi) Adelberto e Ildebrando che, nel luglio del 978, riconsegnano all’Abate Aligerno di Montecassino un terreno di 20 moggi (circa 10 ettari) posto nella Valle Transaquana in località Aquitino dove sul colle era la “… ecclesia beati sancti Sebastiani in antea edificata fuit, quomodo a diem presentem deserta esse videtur, “, mentre parte dei confini erano compresi ” … ab uno latere secus ipsa via que descendit in ipsa valle sancti Sebastiani, uno capite posita est fine radice montis qui vocatur Longania …” (AABM, 1; GROSSI 1981, 44-47)
L’importanza della chiesa e dei suoi fertili terreni agrari fu avvertita dal Conte dei Marsi Rainaldo II, figlio di Doda e Berardo I che, dopo aver ripreso possesso della stessa, fra il 970 e il 985 riconcesse a livello per ventinove anni ad Aligerno, famoso abate di Montecassino, la chiesa con i suoi possedimenti (Chron.Mon.Casin., II, 7, 182-183). Finito il contratto a livello, intorno al 997 e il 1000, lo stesso conte Rainaldo si riappropriava della chiesa insieme alle vicine di S. Erasmo, S. Sebastiano e S. Angelo, attraverso un concambio di due corti in territorio di Alife e Teano. “…sancta Maria in Luco et de sancto Herasmo et sancto Sebastiano et sancto Angelo. ” (Chron.Mon.Casin., II, 25-26, 211).
Nel frattempo la franca famiglia dei Conti dei Marsi era preoccupata visto l’avvicinarsi dei primi gruppi di cavalieri normanni sui loro possessi della media valle del Liri. Infatti le iniziative dei Conti dei Marsi successive al 1059, creazioni di chiese e concessioni a Montecassino e Farfa, sono improntate al salvataggio dei loro possedimenti dall’arrivo dei temibili “uomini del nord”, i Normanni che dal 1064 avevano iniziato la conquista delle terre abruzzesi. La conquista normanna avviene dal sud è precisamente dall’ex Ducato longobardo di Benevento ora diviso in Ducato di Puglia e Principato di Capua: mentre i Normanni pugliesi si mossero già dal 1064 in direzione dell’Adriatico condotti da Roberto di Loritello, quelli capuani raggiunsero i limiti dei possessi marsicani solo nel 1076 utilizzando le vie di ingresso alla Marsica rappresentate dalla Val di Comino e la media valle del Liri con la sua porta di Sora (CLEMENTI 1994, 175).

È in questa ottica di conservazione del loro potere, minacciato dalla nuova politica “statale” dei Normanni, che vanno viste le ampie donazioni a Montecassino dei Conti dei Marsi, Berardo III, Gentile con i suoi nipoti ed altri “nobili marsicani”.
Con Berardo III, nel novembre del 1070, la concessione a Montecassino di S. Maria di Luco, le sue pertinenze con il Monastero e ” la Rocca che si vede sopra il Monastero “, diventa definitiva e crea l’ampio feudale territorio fucense dei Cassinesi, controllato dalla nullius Dioecesis prepositura di S. Maria di Luco, e riconoscibile fra i limiti segnati dalla Valle Canale di Collelongo a sud, le rive del lago Fucino ad est, l’Incile claudiano a nord e la Valle Roveto ad ovest: “… monasterium sanctae dei Genitrici et Verginis Mariae que dicitur Lucus, cum ipsa Rocca quae supra ipsum monasterium videtur. “; “… una parte habet finem aquam de Fucino et ascendit per ipsam Pignam et vadit in Spinazzolam et ascendit in montem dicitur Termine, demum vadit per ipsam Serram de Longamine, deinde descendit per ipsum locum qui dicitur Canali et venit medietatem de valle Transaquarum et revertitur in aquam de Fucino. ” (Chron.Mon.Casin., III, 17, 383; Reg.Mon.Casin., II, n.28).
Sebbene parte dei toponimi citati siano ormai quasi del tutto scomparsi, i ricordi dei vecchi del paese, i documenti dell’Archivio Comunale ed una pianta del 1752, permettono di ricostruire il confine: dall’imbocco dell’Incile claudiano fino all’attuale altura della “Pennerina” (quota 963: per Pigna è da intendere un cippo di confine romano) per poi proseguire per la località detta ora “Cunicella”, lungo il “Piano del Termine” (Spinazzola), ed ascendere per l’altura detta “Tritermini”; successivamente proseguire per le alture dei Prati Santi e Monte La Ciocca (mons Terminus), per poi raggiungere la Serram Longamine, composta ora dai monti Orbetta, Bello, Romanella, Alto e Longagna; scendere poi per la valle Canale di Collelongo ed attraversare, in discesa, a metà la Vallelonga fino a raggiungere il Fucino in località Padule in comune di Trasacco. Sono questi i limiti definitivi delle proprietà della chiesa luchese e tali rimasero fino al 1811 quando furono, in gran parte, assegnati al Comune di Luco data la fine del Feudalesimo ad opera di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Con questa donazione l’abbate cassinese di Luco era di fatto un vero e proprio Barone, possessore di un ampio feudo dominato dalla “Rocca” che Rainaldo II aveva probabilmente edificato sul finire del X secolo (SENNIS 1994, 62 ).

Nel settembre 1072 una nuova donazione a Montecassino accresce la prepositura luchese con la cessione da parte di “nobili marsicani” del castello di Meta posto nella Valle Roveto, la chiesa di S. Padre del luogo che è detto Forme, la chiesa di S. Donato posta sopra le stesse Forme, i possessi della stessa località e della vicina Valle Fredda: ” … et ecclesia sancti Patris in loco, ubi Forme vocantur, et ecclesia sancti Donati supra ipsas Formas cum omnibus, que ad easdem ecclesias pertinent, insuper et universis, que ad prefatos nobiles iure hereditario pertinebant tam in ipsius Formis quam et in Valle frigida.” (Chron.Mon.Casin., III, 39, 416). Le località citate sono riconoscibili nella discenderia maggiore dell’Emissario romano del Fucino del Nucleo Industriale di Avezzano (“S. Padre”), nel territorio posto fra l’Emissario e l’inghiottitoio della Petogna (“Forme”), nella sovrastante montagna della “Pennerina”, sul valico a quota 927 (“S. Donato”) e nella sottostante “Valle Fredda” di Capistrello, posta all’imbocco del Piano del Termine al confine con Luco. Nel XIII secolo l’area descritta cambiò il toponimo di ” ad Formas ” assumendo quello di Penna (GROSSI 1995b, 30).
Nel frattempo i Normanni erano entrati nei possessi lirini dei Conti dei Marsi nel 1076 con Giordano, figlio di Riccardo Principe di Capua, che riceve però prontamente l’omaggio di Berardo III Conte dei Marsi: trad. ital. = ” [Giordano] annientò il conte Berardo, ricevendone omaggio. E’ Berardo contava grandemente in Celano con la sua gente “; lo stesso conte marso, arrestò il Vescovo dei Marsi Pandolfo (suo fratello, ma troppo vicino ai Normanni) nel castello di Oretino (Celano), provocando un nuovo intervento di Riccardo di Capua ” poiché costui non serbava fede ai suoi parenti né temeva Dio, la vittoria toccò ai Normanni ” (AMATO, L. VII, c. XXXIII, 330-332; c. XXV, 334-336). Altro intervento normanno nei problemi marsicani si ebbe fra il 1067 e il 1073 con il normanno Guglielmo di Pontchanfré che si preoccupò di evitare che Teodino, figlio di Berardo III, trasportasse le proprietà del monastero cassinese di S. Maria di Rosciolo a quello di Sancta Maria de Luco (PDR, 461).
Pur tuttavia l’omaggio di Berardo III ed il suo grande potere militare nella Marsica, dovette scoraggiare una penetrazione in profondità dei Normanni che riuscirono a conquistare la contea marsicana solo verso la metà del secolo successivo. Ma sostanzialmente il pericolo di un accorpamento del comitato marsicano al Principato normanno di Capua rimase vivo nei successori di Berardo III e di Baldovino (Conte della Valle Sorana e fratello di Berardo III) che tentarono di legarsi al mondo normanno attraverso il matrimonio di Rainaldo IV con Aldegrina, figlia di Pandolfo Principe normanno di Capua; quindi il processo di donazioni verso Montecassino continua, agevolato anche dal fatto che due esponenti della famiglia comitale dei Berardi diventano abbati a Montecassino.
È di nuovo nel novembre del 1084 che da Carsoli Rainaldo IV, figlio di Berardo III, dava a S. Maria di Luco un molino ” in Capistrello ” posto lungo il corso del Liri, visto che l’abbazia fucense era allora sprovvista di una mola per le granaglie (AABM, 2). Il 1 maggio del 1089 il Conte dei Marsi Gentile, figlio di Baldovino, dona nuovamente a Montecassino, retto dall’abate Oderisio, il monastero di S. Maria di Luco e la chiesa di S. Nicola di Balsorano (Reg.Mon.Casin., II, n.6); nello stesso mese, insieme ai nipoti Trasmondo, Berardo e la matrigna Altruda, conferma la donazione precedente aggiungendo le chiese di S. Stefano di Roccavivi (” Rigo vivo “), S. Maria, S. Restituta in Morrea e S. Maria in Collelongo, chiese che, insieme a S. Nicola di Balsorano, entrano a far parte della prepositura di Luco (Chron.Mon.Casin., IV, 6-8, 471; Reg.Mon.Casin., II, nn. 6 e 14).
Il finire dell’XI secolo vede il termine delle donazioni a Montecassino che incrementarono i possessi di S. Maria di Luco che in quel periodo, come afferma il cronista cassinese Leone Marsicano vissuto a cavallo fra l’XI e il XII secolo, furono ” …Ecclesia sancte Marie in Passarano [Trasacco] et sancti Sebastiani ibidem [Luco], monasterium sancti Martini in Trans aquas [Trasacco], ecclesia sancte Marie de Colle longo, sancte Restitute in Morrei, sancti Stephani et sancti Nicolai et sancti Donati in valle Sorana [Balsorano e Roccavivi], sancte Crucis in valle Ortuccle [Ortucchio], sancti Laurentii in Vico [Avezzano], sancti Iohannis in Besenie [Bisegna], sancti Cypriani in civitate Marsicana [S. Benedetto dei Marsi], sancti Salvatoris in giro eiusdem civitatis, sancte Barbare ibidem [Pescina], sancti Ambrosii in Secunzano [Paterno], monasterium sancte Marie in Cesis [Cese di Avezzano], sancti Leuci in Marano, sancti Blasii in Moscusi [Magliano dei Marsi], sancti Herasmi in Pomperano [Poggio Filippo], sancti Silvestri in Pireto [Pereto], sancti Salvatoris in Camerata [Camerata Vecchia, vicino Rocca di Botte], sancti Germani in Petrella Romani [Valle dell’Aniene]. ” (Chron.Mon.Casin., II, 7, 182-183). A queste chiese sono da aggiungere altre, probabilmente erette dagli stessi monaci di Luco o avute in donazione da privati cittadini, come: S. Leonardo in Luco realizzata sulla rupe della omonima Fonte, sui resti di un santuarietto italico-romano; S. Patre ad Formas o in Penna, già citato in precedenza; S. Erasmo in Luco, già citata, riconoscibile sul “Corno della Penna”; S. Angelo in Transaquas, già citata e individuabile al “Pozzo di S. Angelo”; S. Agnese in Capistrello, sul luogo del Molino ceduto da Rainaldo IV; S. Angelo de Pesclum canalis, attribuita alla prepositura luchese sul finire dell’XI secolo e citata nella porta bronzea di Montecassino del 1058-1087 (ANTINORI, Ann., VII/340).
Dall’XI secolo abbiamo quindi la presenza nella vecchia e dimenticata città di Anxa di un castello-recinto sul costone roccioso, detto attualmente “la Rocca”, che sovrasta la chiesa di S. Maria delle Grazie, sul margine sud della città antica, mentre una torre di avvistamento è posizionata a nord sul Corno della Penna sulla sommità detta ora “Torricella”. Le mura della Rocca di Luco disegnavano una pianta triangolare con sul vertice la torre-cintata a pianta quadrata con piccolo recinto sul davanti ed alla base l’alto monastero-torre benedettino e la contigua chiesa con relativi annessi. L’abitato interno, strutturato a terrazze sul declivio roccioso, è ora quasi del tutto scomparso ad esclusione della parte bassa dove si notano resti di alcune abitazioni legate al monastero ed alla chiesa. Quindi nell’interno della città antica si sviluppa il centro medioevale di Luco dominato dall’Abate benedettino cassinese che riteneva anche il titolo di Barone e ne riscuoteva le tasse relative. La chiesa cassinese di Luco è nuovamente confermata a Montecassino dai Papi dell’XI-XII secolo con numerose bolle: Urbano II nel 1097, Pasquale II nel 1105 e nel 1112, Callisto II nel 1123 e Alessandro III del 1159 (ANTINORI, Ann., VI, 618; VII, 42-43, 94, 234, 564).
Nel frattempo gli ultimi Conti dei Marsi Berardo V e Rainaldo V, figli di Crescenzio, si sottomettono definitivamente ai Normanni nel 1143, direttamente al re Ruggero II d’Altavilla tramite i suoi figli Anfuso e Ruggero (Ann.Ceccanenses, 276-302; 283). Con questo atto la Marsica entra a far parte del Regno normanno di Sicilia è precisamente delle terre settentrionali di confine del regno verso i domini pontifici con l’assegnazione delle contee marse al Principatus Capuae. Ruggero II divide il comitato marsicano in tre tronconi principali ed altre consorterie familiari: la contea di Carsoli fu affidata ai figli di Oderisio, la contea di Albe a Berardo V ed infine la Contea di Celano a Rainaldo V (SENNIS 1994, 64-65).

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Il potere normanno si amplia a dismisura nella Marsica potenziando lo sviluppo della Diocesi dei Marsi, ma rispettando i possessi della prepositura cassinese di Luco che nel 1137 aveva visto, per la conferma dell’imperatore tedesco Lotario III all’Abate Guibaldo di Montecassino, sostanzialmente rimasti intatti i possessi acquisiti nel X-XI secolo e la sua Rocca de Luco (ANTINORI, Ann., VII, 312-316). Nel 1110 il Preposto cassinese di Luco era Senioretto (” Seniorectus prepositus S. Marie in Luco “), un colto ed abile religioso, istruito ed educato da giovane nel monastero luchese, successivamente Preposto di S. Giovanni in Pica, poi Decano di Montecassino e Preposto del Monastero di Capua, che nel 1126 divenne Abbate di Montecassino (Chron.Mon.Casin., 550, 20; 554, 10). La sua presenza giovanile a Luco, dimostra l’importanza e il prestigio del locale Scriptorium monasteriale nella formazione dei quadri dirigenziali cassinesi.
Ma nuvole nere si addensavano nel futuro di S. Maria di Luco con il tentativo dei Vescovi dei Marsi e dei Conti di Albe di appropriarsi della consistente prepositura fucense. Le prime avvisaglie si hanno nel Catalogus Baronum, redatto dal 1115 al 1169, in cui parte del territorio del castellum di Luco è posseduto dal Conte di Albe Rogerio: ” …et Trasacco et hoc tenet in Luco sunt pheudum VI militum.” (JAMISON 1933, 215 ). Quindi una parte del territorio luchese, probabilmente piccola e situabile nella Valle Transaquana, era inserita nella Contea di Albe e sottoposta al potere comitale. A tale proposito va ricordato che nel paese erano presenti nobili, uomini liberi non soggetti al potere monacale, infatti nel 1187, sotto gli Svevi, nel Registro dei prigionieri lombardi del 1187 si legge: ” I signori di Luco custodiscono Iacopo Pregno” (BROGI 1900, 241).

Con la bolle papali di Pasquale II del 25 Febbraio del 1115 e Clemente III del 2 giugno 1188, appare nel territorio della prepositura luchese la grande chiesa “pieve” di ” Sancti Vincentii in Formis cum titulis suis “, appartenente alla Diocesi dei Marsi; una spina nel fianco per il preposto benedettino di Luco (PHOEBONIUS 1668, II, Catalogus, 14; DI PIETRO 1869, 315). Attualmente completamente distrutta dai lavori di una cava, era situata su un balzo roccioso della località detta ora “Salita di S. Vincenzo” posta sopra l’attuale frazione di “La Petogna” di Luco dei Marsi, in direzione di Avezzano. Essa prese il nome dalle vicinanze dell’Emissario romano, dell’inghiottitoio naturale del Fucino della Petogna e dai canali realizzati nelle sue vicinanze per facilitarne l’afflusso delle acque lacustri. Costruita sui resti di un precedente santuario dedicato al dio Fucino, divenne nel XII secolo la più importante chiesa diocesana, posta nell’interno dell’enclave cassinese di S. Maria di Luco.

Ma le ricchezze del monastero di Luco dovevano ancora sostanzialmente permettere al preposto benedettino di ampliare le difese del territorio con l’erezione di una serie di torri e piccoli castelli-recinti nel suo territorio a protezione delle curtis, chiese e monasteri ivi esistenti, di cui ancora rimangono testimonianze: nella Valle Canale sulle alture di “Castelluccio-Torricelle” di Collelongo con il piccolo incastellamento di Canale sovrapposto su un centro-fortificato antico (GROSSI 1995a, tav. VI); Sul “Colle di S. Martino ” con la edificazione del monastero-torre di sancti Martini in Trans aquas sul fianco della chiesa (GROSSI 1996, 83); sul “Colle Torrazzo” di Trasacco a quota 930 con un grande torrione a “cassa da morto” con edifici affiancati e cisterne, incastellamento dominante la sottostante villa di Panzano (GROSSI 1996, 83); la torre di passo, a pianta quadrata, su un poggio roccioso posto lungo la “Strada dei Centopozzi” che dalla chiesa di S. Leonardo risale per Longagna e le famose neviere medievali delle Centopucze; sull’altura del Corno della Penna detta “la Torricella” con il potenziamento della torre di avvistamento a pianta quadrata, posta a difesa del fianco settentrionale dell’insediamento di Luco (GROSSI 1195b, 41); infine sul poggio roccioso dell’attuale “Piazza delle Campane”, dove sorgerà il medievale ” Casale Luci “, con una torre-cintata con recinto a puntone rivolto verso la viabilità costiera del Lago (GROSSI 1992, 22).
Nello stesso secolo, probabilmente nel 1154, la vecchia chiesa di S. Maria fu ricostruita in forme grandiose in puro stile romanico con l’interno diviso in tre navate, presbiterio rialzato con abside semicircolare nel fondo e con facciata esterna a capanna decorata da tre portali e campanile incorporato sulla sinistra. Probabilmente la ricostruzione della chiesa di S. Maria delle Grazie di Luco della metà del XII secolo deve essere messa in relazione ai danni provocati da un terremoto che interessò la Marsica dopo il 1019, probabilmente intorno al 1119-1125, come documentato dalla faglia di Ovindoli-Pezza, datata fra il 1019 ed il 1349 (SISMA 1992). Ma dal 1154 e nel decennio successivo, una o più probabili inondazioni del Lago e nuove esigenze economiche legate alla coltivazione dei campi della Valle Transaquana, aveva portato la gente luchese a trasferirsi presso la torre-cintata del poggio roccioso dove dopo si svilupperà il Casale de Luco, l’abitato moderno (ANTINORI, Ann., VII, 505/506).

L’abbandono del vecchio nucleo insediativo medievale a causa dell’innalzamento delle acque del lago è possibile, giacché è documentato che nella seconda metà del XII secolo il clima divenne più freddo causando nel 1167 la completa gelata del lago Fucino. Lo stesso fenomeno si verificò nel 1226 (con l’attraversamento degli uomini con carri pieni di legno sulla superficie gelata), nel 1726, 1835 ed infine nel 1864 ” quando dei giovinotti di Luco vollero azzardare sovresso un pranzo con portare un carretto carico del tavolo, delle sedie, delle stoviglie, vivande e quant’altro occorre per imbandire una mensa ” (GATTINARA 1894, 21).
Naturalmente ad ogni gelata o annata particolarmente nevosa, corrispondeva, in primavera, una regolare e disastrosa inondazione delle acque come quelle più famose del 137 a.C., descritta da Giulio Ossequente (24, 83) e quella più recenti del 1816/17 e 1862 che demolirono gran parte dell’abitato rinascimentale basso di Luco.
Il secolo XIII si apre con un aumento di conflitti fra il preposto di Luco con la Curia imperiale ed i Vescovi dei Marsi per il controllo degli ” homines de Luco “, mentre la proprietà cassinese su Luco viene confermata nuovamente dai pontefici Innocenzo III, nel 1208, e Onorio III nel 1216 (ANTINORI, Ann., VII, 349 e 407). Nel marzo del 1223 a Celano (con conferma a Catania nel maggio del 1224), Federico II arrivato nel Fucino per la resa di Tommaso Conte di Celano e Molise, prende sotto la sua protezione il monastero di S. Maria di Luco che ha come preposto fra Tommaso (Reg.Mon.Casin., II, nn. 11 e 42).

L’intervento dell’imperatore svevo era dovuto ai tentativi delle Curia imperiale di prendere possesso del nuovo ” Casali Luci “: nel documento di Catania ed in quello di Montecassino vengono citati i precedenti preposti benedettini (Rainaldo di Foche, Bonomo, Teodino di S. Michele), i Baiuli, cioè i rappresentanti degli angariati homines de Luco (Giovanni di Rachisio e Giovanni di Majano), ed otto testimoni luchesi; fra questi (il primo ad essere sentito) Giovanni di Simone che sostenne le ragioni della prepositura affermando che ” i servigi e i redditi che si corrispondevano alla chiesa erano di arare, zappare, mietere, triturare, murare, andare al molino ed alla selva per utile della chiesa e i redditi erano di pani, di carni, di vettovaglie, e di denari in certi tempi”, mentre alla Corte erano dovuti soltanto ” due girati, quali avevano i Grimoneschi e gli Sclavi nel Fucino, per i quali percepiva la Corte secolare da quando si preparavano fino alla festa di S. Pietro nel giugno, venti pesci per settimana. Percepiva pure da ventidue altre famiglie un paio di lunghe, si dicevano così i pezzi di lardo per ciascuna di esse, ma solamente quando avessero porci ” (ANTINORI, Ann., VIII, 507-510).
Quindi con questo documento si evince un controllo di parte della pesca da parte della Curia imperiale, mentre il possesso del Casale, dei terreni agrari, il taglio dei boschi e di gran parte della pesca erano nelle mani della chiesa di S. Maria.
Ma la chiesa di Luco fa gola anche ad un suo concittadino, il Vescovo dei Marsi Giovanni, che nel 1230 aveva visitato il monastero di Luco per potervi esercitare le sue funzioni vescovili, ma, date le rimostranze cassinesi, per intervento papale fu costretto a desistere (ANTINORI, Ann., VIII, 590).

Con il 1268 e la famosa Battaglia dei Piani Palentini (o “di Tagliacozzo”), la successiva morte di Corradino di Svevia, il Regno normanno-svevo di Sicilia era passato nelle mani del francese Carlo I d’Angiò che, scegliendo come capitale Napoli, aveva dato avvio al dominio angioino durato fino al1443. Il nuovo re, il 5 ottobre del 1273 ad Alife in Terra di Lavoro (CE), con un diploma aveva diviso lo Giustizierato svevo dell’Aprutium in due parti, ” citra ” ed ” ultra ” il fiume Pescara con le catene montuose del Gran Sasso e la Maiella che dividevano l’Abruzzo adriatico (Citra) da quello montano (Ultra): la Marsica ed il feudo di Luco con a capo il Preposto-Barone cassinese, erano quindi parte dello Justitiariatus Aprutii ultra flumen Piscarie. Nel documento angioino per la prima volta compare il termine di Penna ad indicare l’insediamento sparso sorto dai ruderi di Angizia fino all’Emissario romano dell’Incile: ” Alba cum Cappella. Avezzanum. La Penna. Lucis. Trasaque.” (FARAGLIA 1892, 76).
Quindi è dalla seconda metà del ‘200 che il vecchio insediamento di Luco inizia a prendere il nome di Penna con la nascita delle leggende sul suo abbandono a causa di serpenti e terremoti ed anche alla definizione delle mura della città antica come ” le Muraglie dirute della Città di Penna “. Anche le vecchie chiese dell’antico tenimento detto ” ad Formas ” sono ora dette ” in Penna “.
Il potere angioino è però strettamente legato alle sorti dell’abitato del nuovo Casale di Luco che è interessato dalla presenza alla base del paese di una delle due Stanghe dei monaci Cistercensi dell’Abbazia di S. Maria della Vittoria di Scurcola Marsicana, ambienti in cui con un bilancione, appeso ad una stanga lignea, si pesava il pesce pescato nel Fucino dai pescatori luchesi che erano tenuti a pagare la tassa sulla terza parte del pescato.

La concessione della pesca sul Fucino era stata attribuita ai francesi monaci Cistercensi da Carlo I° d’Angiò nel 1277 che, dopo la Battaglia di Tagliacozzo, li aveva insediati nell’area con la costruzione della grande chiesa, ora distrutta (BROGI 1900, 224). La appartenenza di parte dei pescatori di Luco a S. Maria della Vittoria, aveva creato agli stessi dei problemi seri con i Conti di Albe, soprattutto con la contessa Filippa che, sul finire del ‘200, armato un galeone (una piccola nave) perseguitava i pescatori per tutte le girate del Lago: solo dietro un duro intervento di Carlo II° d’Angiò fu costretta a desistere dalla sua violenza (BROGI 1900, 254-255).
Pur tuttavia i preposti cassinesi di Luco riescono nel corso del XIII secolo a ricostruire nuovamente la chiesa a cui lavorarono dotte maestranze marsicane, le stesse che realizzarono la facciata di S. Giusta di Bazzano – AQ (GAVINI 1927, 335-341). La ricchezza del Monastero luchese, che permise le ricostruzioni architettoniche del XII-XIII, non era solo legata al mondo agricolo, ma anche alla pesca, come risulta da documenti cassinesi (citati nel 1778 dal ” regio governatore della Pesca ” Don Domenico Feliceantonio De Angelis) del 1238 ed altro del 1422, dai quali sappiamo che i monaci di Luco avevano diritto alla decima sul pescato da parte dei pescatori del paese (CLEMENTI 1994, 189).

Il ‘300 è il secolo in cui iniziano i primi conflitti fra Avezzano e la chiesa di Luco con il suo Casale per il possesso del territorio di Penna, ex ager del municipio marso di Anxa e della Luco altomedievale. Avezzano nella seconda metà del ‘300 era diventata sede della Contea di Albe, si era trasformata quindi da semplice villa quale era ancora in età sveva, in un castrum con castello sui margini (ex torre di avvistamento nel XII e XII secolo) e recinto murario dotato di torrette rompitratta.
L’acquisita importanza aveva accentuato l’appetito territoriale degli abitanti di un centro in espansione che cercavano di ottenere, in vario modo, terreni dai feudi vicini, soprattutto con Albe e Luco.
È del 1360 il primo tentativo di ottenere l’esenzione delle tasse feudali sulle terre di Penna (” castrum quod dicitur, la Penna “) dalla contessa di Albe Giovanna di Durazzo, dichiarando che, per causa di miasmi d’aria, allagamenti del Lago e la presenza numerosa dei serpenti, Penna era stata abbandonata e le sue tasse e quelle di S. Maria di Luco erano pagate dagli Avezzanesi (PHOEBONIUS 1668, III, 135-136).
L’esenzione fu concessa, ma nuovamente e più decisamente l’Università di Avezzano tornò alla carica nel 1372 chiedendo a Margherita regina d’Ungheria, nuova Contessa di Albe, che il territorio di Penna fosse assegnato ad Avezzano: Margherita assegnò la proprietà ad Avezzano, ma lasciò gli usi civici (legnare, pascolare ed utilizzare l’acqua per gli animali) ai Luchesi su tutto il territorio fino al monte “Tarentino” (sic. = Termine) (PHOEBONIUS 1668, III, 135-136). La concessione, però, non ebbe valore legale perché non ratificata dai reali di Napoli, per cui nuovamente la chiesa di Luco riprese possesso della Terra di Penna fino all’Incile.
Nello stesso secolo abbiamo informazioni sulle decime che la chiesa pagava al Vaticano negli anni 1308 e 1324: nel 1308 la decima consta nel pagamento di una oncia d’oro ” Monasterium S. Marie de Luco solvit unc. I “; nel 1324 il Preposto Nicola di S. Marie pagava per le Chiesa luchese, i conventi e le cappelle dipendenti, la decima consistente in due carlini d’oro o, in alternativa, quindici tarini d’oro ” Eadem die et loco frater Nicolaus de Alto S. Marie prepositus S. Marie de Luco solvit dictus subcollectoribus pero se, dicata ecclesia, conventu et cappellis sibi subiectis pro decima huis anni VII° indictionis de auro carlenis duobus per tarenum computatis tar. quindecim in auro. ” (SELLA 1936, 21, n. 356; 31, n. 602; 34, n. 634; 48, n. 798).
Negli stessi anni la famosa pieve di S. Vincenzo di Penna, dipendente dal Vescovo dei Marsi, pagava per la decima del 1308 nove tarini ” Ecclesia S. Vincentii de Penna solvit tar. VIIII. “, mentre nel 1324 il suo Abate Pietro, dava per la stessa e la cappella dipendente di S. Maria in Vico ( nel “Vivaio della Forestale” del Nucleo Industriale di Avezzano), la somma due carlini d’argento, o tarini nove in argento ” Die VIe mensis predicti Petrus abbas S. Vincentii pro se, ecclesia predicta, dependentiis et cappella sua S. Maria de Vico et clericis predictarun ecclesia solvit dictis subcolectoribus pro decima hius anni VIIe indictionis in argento carlenis duobus per tarenum camputatis tar. novem.” (SELLA 1936, 21 n. 366; 35, n. 643).

Della stessa S.Vincenzo, citata nel Codice delle Decime della Diocesi dei Marsi del XIV secolo, sappiamo che la sua economia era legata esclusivamente all’agricoltura: si parla di decime pagate in natura al Vescovo dei Marsi, con maiali, pizze, “tortule” (ostie), un agnello e diverse coppe di grano (ADM, A2, ff. 7v., 8r., 8v., 9r., 9v., 11r., 12r); dalla stessa chiesa viene la bella pala d’altare quattrocentesca della “Madonna di Vico” (rubata dagli Avezzanesi nel ‘500), che in passato presentava ai lati S. Benedetto e S. Vincenzo, ora conservata nella chiesa di S. Francesco di Avezzano. Nel cinquecento passò nei possessi della Collegiata di S. Maria delle Grazie di Luco (FABRETTI1683, 392-393; Di Pietro 1869, 178-180).
L’intraprendenza dei potenti Conti di Celano nei confronti dei preposti benedettini di Luco si fa sentire sul finire del XIV secolo con il conte Nicolò, Maestro Giustiziere del Regno di Napoli, che pretendeva di far pagare ai benedettini marsicani (dei monasteri di Luco, Carsoli e Tagliacozzo), le decime, da lui dovute, al Vescovo dei Marsi: il ricorso del preposto luchese Pietro d’Ungheria al Re di Napoli Ladislao nel 1398, fece si che l’azione del conte celanese non sortisse l’effetto desiderato (ANTINORI, Ann., XIII, 359). Ma la ricchezza accumulata nei secoli dal monastero è ancora evidente e viene confermata anche dall’arredo ecclesiastico per il culto: sappiamo da quattro inventari del XIV e XV secolo che la chiesa era dotata di cinque calici indorati e smaltati, una croce processionale in argento dorato con immagine del Crocifisso da una parte e quella del Salvatore e dei quattro evangelisti nell’altra (di scuola sulmonese del trecento), una corona in argento decorata da pietre preziose e un rotolo dell’Exultet decorato da miniature ” carta benedictionis cerei isturiata ” (INGUANEZ 1916).

L’importanza del Casale Luci è accresciuta nel ‘300 dalla nascita di personaggi importanti come il Maestro Camerario dell’Aula Pontificia nell’anno 1386 Guillelmo de Luco (MORELLI 1973). Nel secolo XIV sono nominati, negli Annali del Monaldeschi, come famiglia importante gli Evangelisti o Vangelisti, la cui casa venne frequentata nel 1333 dal nobile napoletano Ianni Caffariello dopo che questi era fuggito da Napoli per aver ucciso Ianni delli Iudici (DE SANCTIS 1976, 82). Dell’importanza degli Evangelista Corsi, probabili governatori di Luco nella prima metà del ‘600, rimane memoria in una tarda citazione a Roma nei fasti Consolari del Campidoglio Romano in cui ancora nel 1658 un Berardo Evangelista Corsi si definisce ” iam ex dominis Luci Marsorum, et Avezzani ” (CORSIGNANI 1738, Ia, 409-410).
Nella seconda metà del secolo, il Casale di Luco ha l’ampliamento del burgo con una espansione verso le rive del Lago. La torre quadrata del XII-XIII secolo viene ricostruita, come per gli esempi di Aielli, S. Iona, Collarmelle e Sperone, in forma cilindrica ed ornata di apparato a sporgere, mentre un più ampio recinto, dotato di torrette-rompitratta “a scudo” segna le difese dell’abitato. I limiti del borgo fortificato sono segnati: a monte dalla torre-mastio sulla Piazza delle Campane con il suo recinto attorno su via Conte Berardo; in basso dalla linea delle mura segnato dall’attuale via Duca degli Abruzzi, mura distrutte dalle inondazioni lacustri del ‘600-‘800; a settentrione da via dei Balzi e via Guglielmo Marconi con l’unica porta, detta “Capraia” presso l’attuale Palazzo Granata; a meridione da un tratto di via Fantuzzi e dalla via della Chiesa fino ad attraversare la Piazza in direzione del Palazzo dove è ora la Farmacia, per poi scendere verso via Duca degli Abruzzi. Di questa prima fase delle mura c’è ricordo nella descrizione del Corsignani nel 1738 (Ia, 408).

Dalla fine del ‘300 e metà del secolo successivo, si ha una serie di preposti monaci, nominati dall’Abbate di Montecassino: Nicolò di S. Angelo in Iodicio (1999), Bernardo di Sicilia (1400-1406), Giovanni da Napoli (1407-1411), il tedesco Mauro di Colonia (1412-1445), Giovanni Battista da Rimini (1446-1453), Gentile di S. Sebastiano (1454-?) che fu l’ultimo monaco, Preposto di S. Maria di Luco, inviato dall’Abate di Montecassino (ANTINORI, Ann., XXI, 399; XXII, 27-28; XXIII, 364. PIETRANTONIO 1988, 210).
Di questi ultimi importante appare il monaco tedesco Mauro di Colonia che il 9 novembre del 1412 compilò l’inventario dei diritti del monastero di Luco nell’orto del luchese Stefano Massari, posto sulla via pubblica davanti alla porta (“Capraia”?) dello stesso castello: ” In Luci ante portam ipsius castri, propre hortum Stephani Massari de Luco, in via pubblica “, alla presenza di un rappresentante della comunità luchese, l’analfabeta “giudice” Giacomo di Cerro ” Jacobus de Cerro de Luco praedicto Annalis ispisus castri illiteratus judex ” (GATTOLA 1733, II, 247-251).
L’Instrumentum inventariale, redatto dal notaio Alessandro Giordano di Collelongo, contiene numerose notizie sullo stato di vessazione degli homines de Luco, ligi al monastero, che pagavano annualmente all’abbate dodici ducati per la sua ricognizione del dominio. Erano tenuti a versare allo stesso, in caso di vendita dei terreni, il Laudemio, cioè la decima parte del prezzo e il Preposito, con la dura superbia teutonica ” Espresse finalmente vari altri diritti giurisdizionali, come d’avere l’utile dominio al pari degli altri Baroni del Reame, di ordinare un suo Vicario per amministrare giustizia di locare al maggiore oblatore la gabella della Bajulazione, di devolvere al Monistero i beni di chi moriva senza figli, di esigere il diritto di passo e di plataetico, di esigere per sepoltura di ciascuno defunto dentro la chiesa un ducato d’oro, e fuori del cimitero quattordici soldi per feretro, e di esigere le decime personali, o industriali, come si faceva nelle altre loro chiese parrocchiali ” (ANTINORI, Ann., XIV, 27-28).

La prepotenza monacale espressa dal documento descritto era ormai alla fine: infatti, precedentemente, nel 1406, gli equilibri sul possesso del Lago Fucino erano stati sconvolti con l’attribuzione da parte della regina di Napoli Giovanna IIa a Nicola, Conte di Celano, della metà del lago Fucino col Molino di Penna, posto a contatto con l’inghiottitoio della Petogna (COLAPIETRA 1998, 30). Viene così a crearsi il presupposto per la creazione di una nuova Stanga baronale nel Casale di Luco che ormai è diventato un paese appetibile per i nuovi feudatari toscani e romani che si affacceranno sulla scena fucense verso la metà del ‘400. A segnare una svolta nella comunità degli homines de Luco è l’istituzione nello stesso castrum nel 1479 della Festa dello Spirito Santo, una festa religiosa, nata in quel secolo per volere popolare al fine di gestire una festività autonoma fuori dallo stretto controllo religioso-feudale dei monaci (ANGELINI 1992, 26).