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Democrazia guglielmina

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Democrazia Reale

Stato e società civile nell'Europa Occidentale, 2006

Quale democrazia? La democrazia rappresentativa dei moderni è cosa ben diversa da quella diretta degli antichi. Come ricorda Giovanni Sartori (1990, p. 41), confondere queste due forme é a dir poco mistificante. Nel caso degli antichi, i cittadini si radunavano in piazza per esprimere il loro consenso (o dissenso) e prendere decisioni imperative, generalmente raggiunte per acclamazione. L’efficienza democratica era garantita dalla rotazione delle cariche pubbliche assegnate seguendo il criterio del sorteggio. Nella polis greca, lo status di cittadino era riconosciuto a poche migliaia di persone lasciando fuori la moltitudine. Era una forma di governo basata sulla disponibilità di tempo, oltre che sulla bassa specializzazione degli incarichi pubblici. In pratica notava Aristotele, chi per vivere aveva bisogno di lavorare, era fuori dalla presa delle decisioni collettive. Nel caso dei moderni, la situazione è assai diversa. La democrazia, «non è fondata sulla partecipazione» - per dirla ancora con Sartori (ibid) - «ma sulla rappresentanza, non presuppone l’esercizio in proprio del potere, ma la delega del potere; non è, insomma, un sistema di autogoverno ma un sistema di controllo e di limitazione del governo». Ciò che cambia tra gli antichi e i moderni non è tanto la titolarità del potere, che resta del popolo, quanto piuttosto le modalità in cui il potere viene esercitato. Non si tratta soltanto del passaggio da una visione micro ad una macro, quanto di ricongiungere l’idea democrazia (in quanto governo del popolo) con la prassi meno democratica della rappresentanza. Il paralmentarsimo, basato sulla sovranità popolare (Dahl, 1989), è il principio guida delle frange liberali progressiste, poco inclini a celebrare tout-court l’ideale democratico: James Madison e Destutt de Tracy consideravano la rappresentanza e il governo rappresentativo come «una nuova invenzione, sconosciuta ai tempi di Montesquieu […] resa praticabile a lungo e su una grande estensione territoriale» (1811); James Mill padre, aggiungeva che la rappresentanza è «la grande scoperta dei tempi moderni» in cui «forse verrà trovata la soluzione di tutte le difficoltà sia specultive che pratiche» al dilemma di quale sia la migliore forma di governo (1820; entrambi citati da Dahl, 1989, 29). Questa trasformazione, nel caso dell’Europa si è realizzata nelle lotte per il parlmentarsimo e nell’allargamento che dal ristretto suffragio ottocentesco ha condotto a quello universale del ‘900. Pare quindi difficile dissentire da Kelsen (1929, 74) quando afferma che «non si può seriamente dubitare che il parlamentarismo non sia l’unica forma reale di democrazia». Se da sempre la parola ‘democrazia’ denota una forma di governo non si può tacere l’aspetto ideale che essa evoca: il suo dover-essere, o come lo ha definito Sartori (45) ‘normativismo perfezionistico’. Dello stesso avviso è John Dunn (1979, 51-2) che ci ricorda come «oggi in politica democrazia è il nome di ciò che non possiamo avere, e che tuttavia non possiamo smettere di volere». È chiaro, infatti, che l’oggetto in questione si compone delle infinite tensioni ideali e teoriche che lo alimentano e che, qualora venissero meno, finirebbero per consegnarci un’immagine disincantata di democrazia, priva della sua forza persuasiva. D’altro canto, a quanti, vedono nella modernità una progressiva rinuncia degli antichi ideali, ‘alti e nobili’, va ricordato che le prassi degli antichi li raggiunsero solo di rado (o forse mai).

Democrazia e autocrazia

Ciò che è reale è irrazionale? Discutendo con Michelangelo Bovero, Accademia University Press, Turín, 2021

Michelangelo Bovero ha riflettuto diverse volte, a partire da una rigorosa ricostruzione e riformulazione della concezione procedurale della democrazia, sul possibile divario tra la realtà empirica e il modello ideale di democrazia. Secondo Bovero, in più di due decenni le (cosiddette) democrazie reali hanno subito processi di degenerazione che hanno fatto loro assumere i tratti della forma politica contraria, l'autocrazia. Bovero è particolarmente prolifico nell'analizzare i diversi "volti autocratici" che possono adottare i regimi politici alterando, distorcendo e falsificando le regole del gioco o, meglio, le condizioni e precondizioni della democrazia. Non intendo qui affrontare le tesi di Bovero riguardanti le tendenze degenerative e potenzialmente "autocratizzanti" delle democrazie contemporanee. L'argomento è molto complesso e non è possibile ricostruirlo fedelmente in questo spazio. Mi limiterò a mettere a fuoco uno degli strumenti concettuali alla base delle riflessioni di Bovero: la dicotomia democrazia-autocrazia.

Democrazia

Alcuni tra i dibattiti filosofici più vivaci nell’ambito della teoria democratica contemporanea si articolano lungo due questioni: (1) Perché la democrazia è desiderabile? (2) Quali istituzioni sono necessarie per realizzare l’ideale democratico? In risposta alla prima questione, gli strumentalisti sostengono che la democrazia è giustificata esclusivamente se produce buoni risultati; i non-strumentalisti considerano anche i valori che le procedure democratiche realizzano in sé. Quanto alla seconda questione, il dibattito riguarda la forma che le istituzioni democratiche dovrebbero avere – maggioritaria, deliberativa o contestataria – per realizzare l’ideale democratico. Lo scopo di questo contributo è di offrire una presentazione critica di questi dibattiti.

Democrazia e post-verità

ORDINES. Per un sapere interdisciplinare sulle istituzioni europee, 2021

A study on post-truth allows us to think about a classic and fundamental problem in moral and political philosophy, that is the relationship between lie and truth. In this sense, my interest is focused on the position of these two concepts in the political discourse. It is a classic theme, but on this occasion, I am interested in analyzing what we can define today the systemic transcendence of post-truth. The concern for the idea of truth is related to the concern for the foundation of rights, for the possibility and the convenience of thinking about a certain ethical objectivism according to which certain things or certain statements are true from a moral point of view.

DEMOCRAZIA E COSCRIZIONE

Anche le democrazie desiderano vincere in guerra. Tuttavia, sono soggette a vincoli specificidiversi da quelli propri di autocrazie e non-stati -che ne limitano la libertà di azione. Nello scegliere quali conflitti combattere, come combatterli, e a fianco di chi, le democrazie non possono permettersi di tenere conto, coeteris paribus, soltanto di quale sia la strada migliore per ottenere la vittoria. Il loro calcolo deve anche subordinarsi […] a criteri di democraticità, in particolare il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche, incluse quelle di stampo militare, e il rispetto della pubblica opinione. La pena per la violazione sistematica di questi principi è la perdita dell'anima: infatti, come potrebbe dirsi democratico un regime che non li rispetti? 1 La democrazia nel corso della sua storia ha concepito e praticato una forma attiva di partecipazione dei cittadini alla difesa della nazione: il servizio militare obbligatorio. La progressiva rinuncia a questo strumento e la conseguente professionalizzazione delle forze militari può portare gli stati a fare affidamento sulle compagnie private di sicurezza (private security firms), con possibili risvolti di destabilizzazione nell'equilibrio dei poteri democratici. Gli effetti variano a seconda che si tratti di uno stato forte o debole. Mentre in uno stato forte il potere, sottratto massicciamente al parlamento e all'opinione pubblica, resta prevalentemente concentrato nelle mani dell'esecutivo, in uno stato debole sono le compagnie stesse ad assumere il maggior potere 2 . I casi che analizzerò riguardano essenzialmente gli stati democratici forti che da una parte hanno abolito rapidamente la coscrizione (che prima era adottata a intermittenza), come USA e UK, dall'altra hanno abrogato il servizio militare obbligatorio solo dopo il 1989, come la maggior parte degli stati europei, e l'Italia in particolar modo. Dal punto di vista sociologico, Paolo Ceola, in suo saggio 3 , sostiene quanto, nelle democrazie rappresentative, i concetti di cittadinanza e rappresentanza si siano affermati storicamente "grazie alla partecipazione attiva delle masse alle guerre, sia nel senso riguardante il singolo cittadino-soldato sia in quello che a decidere se entrare o meno in guerra sono stati i rappresentanti eletti di fasce sempre più ampie di popolazione" 4 . Egli addita alla rivoluzione tecnologica e alla professionalizzazione degli eserciti contemporanei le ragioni della presa di distanza dell'opinione pubblica nei confronti degli affari militari. Aggiunge che la fine della leva militare obbligatoria ha sancito "la definitiva alienazione dell'opinione pubblica nei riguardi delle decisioni e dei processi che comportano sacrifici e lutti collettivi, portando a compimento la parabola del cittadino-soldato affermatosi stabilmente con la Rivoluzione Francese e il cui apogeo fu la partecipazione collettiva alla guerra antifascista del 1939-45" 5 .

CAPITOLO I: La Democrazia

L'obbiettivo della presente tesi, come è stato già anticipato, è un tentativo di critica alla democrazia di tipo rappresentativo: questa critica prende spunto dalle conclusioni più o meno polemiche a cui alcuni degli stessi teorici democratici sono giunti nel corso del tempo, ma si basa principalmente sui contributi offerti dalle teorie anarchiche.

Democrazia e Referendum

Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica

Precisazioni concettualiGli strumenti referendari rappresentano un tentativo di conciliare i limiti posti dalle grandi dimensioni del corpo elettorale – che rendono impossibili vere e proprie assemblee popolari del tipo Landsgemeinde – e l'esigenza di una partecipazione diretta dei cittadini ai processi decisionali. Di questi strumenti analizzerò in questa sede i più «democratici», quelli cioè che sono il prodotto di spinte «dal basso», frutto di richieste promosse da un certo numero di elettori al di fuori di qualsiasi controllo da parte del potere politico. Non terrò conto, pertanto, né dei referendum obbligatori, imposti dalla costituzione (in generale nei casi in cui si tratta di modificarla o di consentire un parziale abbandono di sovranità), né di quelli organizzati a scopi tattici o di legittimazione, né, a fortiori, dei plebisciti a carattere personale.

Democrazia, una questione aperta

Democrazia una questione aperta, 2005

La democrazia: una questione aperta La democrazia è un valore? In un certo senso si, ma soprattutto appare uno strumento. La libertà è un valore. Ora la questione è semplice: non sempre la democrazia si accompagna alla libertà. Anzi più sovente la democrazia sembra il sistema più adatto a veicolare e mantenere la tirannide. Il conte di Cavour-che è stato uno dei più eminenti ed efficaci artefici dell'unità nazionale italiana-riteneva che il processo verso la democrazia fosse inarrestabile. La democrazia egli vedeva come avversaria e, insieme, continuatrice della mentalità liberale. Continuatrice come passo precedente di uno stesso cammino, avversaria perché capace di configurarsi come negatrice della libertà. "Tutti i sistemi concepiti nei tempi moderni dai più saggi e coraggiosi intelletti possono essere ridotti a due: uno ha fede nel principio della libertà, nel principio della libera concorrenza, nel libero sviluppo morale ed intellettuale dell'uomo; e questa è la scuola economica, con i principi professati dagli uomini di Stato che governano l' Inghilterra. L'altra scuola professa principi differenti e crede che le miserie dell'umanità non possano essere alleviate se non limitando sempre più l'azione individuale, allargando l'azione centrale della società rappresentata da un governo da essere creato con la centralizzazione delle forze individuali; questa è la scuola socialista. Noi non dobbiamo ingannarci: sebbene questa scuola abbia toccato soluzioni sfortunate e a volte atroci, noi non possiamo negare che essa ha nei suoi principi una certa seduzione per le anime alte e generose." Il 1848 parigino, la lotta socialista contro la proprietà, il manifesto del Partito Comunista avevano allarmato l'Europa ed avevano visto anche l'opposizione del Mazzini che era sì democratico, unitario e centralista, ma non socialista. Ma per Cavour "socialismo" vuol dire qualcosa di precedente rispetto all'ideologia socialista. Vuol dire un movimento che porta le masse sul proscenio della storia. Vuol dire irruzione delle masse nella vita politica ed economica delle nazioni. Ma cosa comporta l'avvento delle masse: semplicemente un potenziamento dello Stato: "…ridotte ai loro minimi termini, esse [le teorie socialiste] affermano che il diritto, e di conseguenza il dovere, del Governo [dello Stato] è di interferire nella distribuzione e nell'impiego del capitale e che il Governo ha la missione e il potere di sostituire la sua volontà alla libera volontà degli individui." Più, dunque, si estende la partecipazione politica delle masse e più aumenta l'estensione dei poteri di intervento dello Stato. Più aumentano i cittadini che possono votare e meno vale la loro libertà sempre più minacciata dall'intervento statale in ogni ambito della loro vita (dalla salute, al lavoro, agli affari, all'educazione e alla difesa, etc.). Potenziamento dello Stato vuol dire aumento della pressione burocratica: maggiore peso delle burocrazie e degli apparati sociali che per assicurare la libera partecipazione dei cittadini alla vita politica, ne limitano di fatto la libertà. La pretesa dello Stato assoluto (ab-solutus = sciolto da ogni vincolo che lo legava all'alto-il suo venire da Dio e, quindi, il suo dover rispondere a Dio-e quindi anche al basso dove sta una massa informe che solo Stato può dirigere e salvare dall'abbrutimento e dal caos). Bene, questa pretesa, è ben mostrata, con efficacia e sincerità da Robespierre nel suo famoso discorso alla Convenzione, vero e proprio manifesto della democrazia: «Quale scopo ci prefiggiamo ? Il pacifico godimento della libertà e dell'eguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise, non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega. Vogliamo un ordine delle cose nel quale ogni passione bassa e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione benefica e generosa sia ridestata dalle leggi; nel quale l'ambizione sia il

Democrazia e politica di potenza

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