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Breve storia di Piero Ciampi: cantautore geniale e tormentato - Music Like

  • ️Luca Angotzi
  • ️Sat Mar 25 2017

Con queste poche righe non si vuole sviluppare una specie di biografia di Piero Ciampi ma piuttosto, seguendo le tracce lasciate disordinatamente qua e là per la strada nelle parole dello stesso Ciampi, nelle testimonianze e nelle sue canzoni, raccogliere alcuni nodi essenziali d’una esistenza intensa, contorta, strettamente intrecciata alla sua opera che così poca gloria ebbe in vita.

Piero Ciampi nacque a Livorno il 28 Settembre del 1934, in Via Roma 1-2 nel quartiere Pontino, proprio di fronte alla casa natale di Modigliani. Non finisce gli studi liceali ed inizia a lavorare vendendo olio all’interno del porto di Livorno per conto della ditta “Razzaguti olì”. Richiamato alla leva parte per il CAR a Pesaro, dove incontra Gianfranco Reverberi, col quale stringe amicizia andando a suonare, nelle libere uscite, in alcuni locali della città. Ciampi viene descritto come uno strano tizio, alto, magrissimo che riusciva ad apparire spettinato persino coi capelli tagliati da caserma; Dedito al bere, cerca spesso la rissa coi più grandi e si diverte a declamare poesie in camerata. Reverberi ne parla in questi termini: “Uno dei suoi motori non era, come si potrebbe supporre, la rabbia ( troppo comoda, protettiva ed elegiaca alla fin fine) ma piuttosto il litigio e la bagarre, unico spazio vitale pubblico per un soliloquio alla Ciampi”. Ecco, in queste poche parole, oltre a poter individuare nel soliloquio la conformazione migliore dell’espressione di Ciampi, si può, spiluccando anche qua e là nella discografia, riconoscere un primo tono della sua cifra stilistica e non solo. Questo atteggiamento verso il mondo diventa motore di canzoni come “Il Giocatore”, “ Te lo Faccio vedere io”; senza il litigio, la bagarre canzoni come “Adius”, ma anche “Andare, camminare, lavorare” e la stessa “ Ha tutte le carte in regola” non sarebbero venute alla luce.

Nel 1957 senza una lira in tasca, accompagnato esclusivamente dalla chitarra parte per Parigi. Questa sarà semplicemente la prima d’una lunghissima serie di fughe che lo accompagneranno durante tutto l’arco della vita. A Parigi scrive poesie sui tovagliolini per poi cantarle anche in tre locali a sera per duemila franchi ad esibizione. Conosce Céline e Brassens e nei locali che frequenta iniziano a chiamarlo “l’italianò” grazie alla somiglianza tra la sua voce e quella d’un altro cantante, allora molto di moda, Felix Léclerc. Nel 1959, sempre squattrinato, torna a Livorno dove medita di mettersi a fare il pescatore; portato in mare però viene preso da un attacco di panico mandando così all’aria il suo progetto. Successivamente parte con Reverberi per Milano che assieme a Franco Crepax e Antonio Casetta è alla Ricordi. Inizia così tra il 60’ e il 61’ ad incidere; prima per la Bluebell poi con la CGD insieme a Crepax. Nel 63’ esce il suo primo LP che prende il nome dal suo soprannome nato in Francia “Piero Litaliano”. L’album passa assolutamente in sordina. La critica lo stronca duramente parlando di “aria crepuscolare e sonnolenta”, di “musiche lentissime e snervanti” di “nulla di allegro”, di “stile nebbioso”, di “motivi eccessivamente diluiti per restare in mente”. In effetti questo disco non rappresenta il meglio della produzione ciampiana, nonostante canzoni come “Fra cent’anni”, “Fino all’ultimo minuto”, “Confesso” ma anche “Lungo treno del sud” e “Autunno a Milano”. C’è in più da tener presente che Ciampi si formò definitivamente durante il periodo parigino, sotto l’influenza degli chansonnier francesi, in un momento storico in cui sulla scena italiana si cercava di adattare le canzoni allo stile inglese ed americano. Le atmosfere crepuscolari e nebbiose evocate dalla musica di Ciampi in realtà ricordano a tratti il lavoro di un altro livornese, Luchino Visconti, che ambienta le sue “notti bianche” proprio tra i vicoli, ma soprattutto sul porto di Livorno. Il film racconta di una città fumosa, malinconica in cui è il chiaroscuro a caratterizzare la scena avvolgendo le vicende dei due protagonisti. Da qui, facendo un passo più in là, si arriva, spogliando l’esperienza di Ciampi d’ogni sua stratificazione, a toccare il suo più forte, profondo ed intenso legame. Legame viscerale con una città, la sua città ed il suo porto, porto sul quale, come canterà, “lascerà il suo cuore”. Nel 1976 in un intervista a Lina Agostini del Radiocorriere TV parla così di Livorno:

“Livorno è un’isola, è la città più difficile per tutti, anche per me. Perchè a Livorno c’è tutta la contraddizione di questo mondo: ci sono gli americani, c’è il più grande Monte di Pietà che si possa immaginare, io ne so qualcosa. C’è anche una delle più numerose comunità ebraiche in Italia. A Livorno sono nati il partito socialista e quello comunista e c’è anche una squadra di calcio che milita in serie C ma che meriterebbe lo scudetto in A. Ecco, io sono il Robinson Crusoe di questa isola che poi è un mondo”

Questa città malinconica, contorta, talvolta amara, vissuta da Ciampi in tutte le sue lontananze, in tutte le sue contraddizioni è ciò che trasuda, riverbera dalla sua stessa voce  bruciata dal vino, dallo stesso ciondolare delle sue musiche. Cantata splendidamente in “Livorno” ma soprattutto in “Sul porto di Livorno” ( canzone che verrà ben interpretata anche da Nada) rimarrà per sempre l’approdo d’ogni suo vagabondaggio, il porto prediletto nel quale perdersi, il tutto o niente d’un esistenza inquieta e sfuggente.

Durante il periodo romano strinse amicizia con Gino Paoli, uno dei pochi cantanti a riconoscere il valore del lavoro di Ciampi. Di lui incise qualche canzone, ma soprattutto cercò di fargli produrre un LP dalla RCA. Il risultato fu pessimo, Piero si bevve tutto il corposo anticipo datogli senza neppure produrre un pezzo; così facendo il contratto venne immediatamente rescisso. Nello stesso periodo conosce Gianni Marchetti; tra i due nasce una profonda amicizia ed una collaborazione artistica che permetterà la nascita del 45 giri contenente “Barbara non c’è” e “Tu no”, forse il miglior lavoro di Ciampi. Marchetti sembra essere l’unico a riuscire, con le sue composizioni, a tenere il passo dei versi rotti di Ciampi. Nel 1971  lo stesso Marchetti gli fa avere un contratto con la Amico, un’etichetta sussidiaria della RCA; il direttore di quest’ultima, Ennio Melis, prende a cuore il “caso Ciampi” sostenendolo per anni, contro tutto e contro tutti. Nel medesimo anno esce un album con testi, poesie, un album fotografico e quattordici tempere di un pittore calabrese (di Cosenza) scelto da Ciampi, Aldo Turchiaro. Nel 1974, impressionata dalle canzoni di Ciampi, Ornella Vanoni, contatta Gianni Marchetti e gli chiede di produrle un album intero con canzoni di Ciampi, ma il progetto sfuma anche questa volta causa sparizione dello stesso Ciampi, sempre più irrequieto, sfuggente e dedito all’alcool. Continuano infatti i suoi vagabondaggi ed anche le poesie che scrive nei suoi viaggi iniziano a riflettere questa crescente agitazione. Di ogni poesia inizia adesso a scriverne più versioni, per poi riprenderle, spezzettarle dandone vita ad altre. I versi sono sempre più stentati, poveri, aspri proprio come la sua voce e le sue pubbliche apparizioni. Ad esempio spesso va a cantare per soldi in salotti d’élite, dove attacca regolarmente briga insultando il pubblico di ricchi borghesi. Nel 1975 va addirittura via da una di queste feste senza neanche finir di cantare il primo pezzo per poi successivamente vantarsi d’essere il “cantante più pagato d’Italia, trecentomila lire per mezza canzone”.

“Ha amato tanto due donne, erano belle, bionde, alte, snelle. Ma per lui non esistono più”, canterà Piero in “Ha tutte le carte in regola”. La sua prima moglie, di nome Moira, è irlandese. I due resistono insieme meno di un anno quando la donna sparisce definitivamente portandosi dietro il figlio Stefano, avuto insieme. La seconda si chiama Gabriella, è romana e anche da lei avrà una figlia, che chiamerà Mira. La convivenza con Gabriella dura ancor meno del matrimonio con Moira: otto mesi. Sposa così definitivamente l’alcool, l’alcool non scappa mai. Il rapporto di Ciampi con le donne è esemplarmente riassunto in “Tu no”: “Tu no, aspetta, no…Se non so farti felice, anche se continuo a bere, Tu no, amore, no”, “anche se ti ho fatto male, anche se ti ho esasperata, tu no, tu no, tu no”, “ Tu mi devi star  vicino, perchè ormai io sono fuori. Tu no, tu no, tu no.” D’amore parlerà in buonissima parte della sua opera, amore che verrà vissuto, però, costantemente in travaglio, un amore segnato inevitabilmente dall’abbandono e dalla solitudine. Recita all’inizio di “Ma che buffa che sei”: “Per sapere cos’è la solitudine bisogna essere stati in due, altrimenti, bisogna che qualcuno ti racconti che cos’è, la solitudine”.

Il rapporto di Ciampi con la religione è strettamente legato all’aspetto politico della sua esistenza. Nella stessa intervista del 1976 con Lina Agostini si definisce arrabbiato perché livornese, anarchico e comunista. Successivamente alla domanda: “Che cosa crede d’avere, come livornese, anarchico e comunista, in più degli altri?” risponde: “Niente, è questo il mio equilibrio, la mia politica. Cercare di non offendere gli altri avendo qualcosa in più dell’uomo più povero di questa terra. La poesia è la sola cosa che ho.”. L’intervista si conclude con la domanda: “Che cosa le manca per sentirsi ricco?”. Alla quale Piero risponde semplicemente: “Tante cose; una frittata di cipolle, un bicchiere di vino, un caffè caldo e un taxi alla porta. Non ho mai avuto tutte queste cose insieme.” Se è vero che, definendosi anarchico e comunista, Ciampi si distacca con chiarezza dall’istituzione Chiesa e da tutto ciò che essa rappresenta in assoluto, è altrettanto vero che con le altre sue due risposte egli ci spalanca le porte di un universo altro, che strizza, con dolce ironia e altrettanta chiarezza, l’occhio agli insegnamenti ed alla figura del Cristo. Un universo dove non si possiede “nulla di più dell’uomo più povero della terra”, dove si è e ci si dimostra radicalmente nudi; filosofia, questa, che ha radici profondissime nella cultura europea e mondiale, per citarne alcuni: San Francesco, Rimbaud e buonissima parte dei poeti moderni. Canta in “Gesù tra i chitarristi”: “È un uomo che vive di foreste d’aria piene di voli d’aquile, conquista vette e tocca il sole,lui beve neve, parla alle stelle e spazia il tempo. Corre, anela, sta. Devia i ruscelli, veglia e sonno è tutto un sogno. È un uomo solo e senza armi. Un pomeriggio su una salita perse la via. Più niente in quel lungo silenzio turbava la sua anima esperta. Un coro di chitarre infelici cantava per disperdere l’odio… ” Un concerto di chitarre arriva e suona molto amaro. Anche stasera da qualche parte c’è qualche Cristo che sale stanco e senza scampo una salita.” In poche queste righe Piero riesce a sintetizzare perfettamente l’immensa potenza dell’esistere e la tragicità “senza scampo” della morte che nella figura del Cristo raggiungono un’intensità unica. Ne “ Il Natale è il 24” viengono ancora trattati, questa volta con ironia, i rituali religiosi. C’è da aggiungere che Piero aveva una particolare simpatia per le suore alle quali dedicò due canzoni: “Canto una suora” e “Quaranta soldati quaranta sorelle”. Quest’ultima, in tutta la sua semplicità e delicatezza, è un piccolo inno alla pace ed alla libertà.

Nonostante nella sua opera non se né parli, probabilmente, Piero, da buon comunista, parteggiava per i movimenti operai. Certo è che non fu mai in prima linea e probabilmente riteneva anche che la rivoluzione fosse solo un’illusione. Il suo apporto alle istanze rivoluzionarie dell’epoca stava  esclusivamente nella forza della sua poetica, unico suo bene, e nella crudele capacità di mettersi completamente a nudo. Del denaro aveva certamente una precisa idea: “il denaro è un porco, rosso e bianco, nero e un po’ marrone. È un bel porco e chi lo tiene stretto ha un viso senza colore.” Uno dei suoi brani più politici è “Andare camminare lavorare” dove un corteo surreale attraversa l’Italia recitando slogan quali “Il vino contro il petrolio”, “I prepotenti tutti chiusi a chiave”, “Il futuro al Totocalcio per sperare”, “La domenica tutti al Pordoi a pedalare”. Ma il suo vero manifesto politico-religioso è “Ha tutte le carte in regola”. In questo brano Ciampi si racconta come mai prima. Gonfia di amara disillusione questa canzone è un “miserere”. Egli chiede pietà per sé, “ormai fuori”, senza speranza, ma anche per tutti coloro i quali, senza lacrime ormai, non s’illudono più.

Gli ultimi anni della vita di Piero sono segnati da un blando successo di stima da parte di alcuni “addetti ai lavori”, anche se il suo nome continua ad essere totalmente (e, spesso, volutamente) ignorato dai più. Il 19 gennaio 1980 Piero Ciampi muore per un cancro alla gola. 

Concludo lasciandovi al racconto dell’ultima apparizione di Piero Ciampi al premio Tenco: “Per parecchi minuti buio in sala e base registrata già partita. Alla fine Piero entra sul palco barcollando, suscitando qualche fischio che, per lui, è come un invito a nozze. Risponde con il suo miscuglio di compostezza e violenza: -Taci tu, parla quando te lo dico io perchè, scusami, se tu vuoi parlare vieni qua: io rischio, te no.– Subito dopo, però, fa seguire la sua immancabile e signorile sollecitudine: –Però non te la prendere come un’offesa, prego-. Seguono degli applausi. Ad un altro isolato fischio, interrompe la canzone e urla in puro livornese: –Dè, ma te perchè ‘un tìompri un sassofono?-, e così via. Canta la sua canzone, si stacca sorridendo dal microfono, fa un passo di lato e si inchina. Così scompare Piero Ciampi; è la sua ultima esibizione davanti ad un pubblico teatrale. L’anno dopo viene invitato al Tenco, ma non si presenta mandando un telegramma del seguente tenore: “Non sono potuto venire. Piero.”