Boy George & Culture Club - Life :: Le Recensioni di OndaRock
- ️Wed Jul 11 2018
Per una band che toccava il massimo della popolarità ormai trentacinque anni fa, i Culture Club mantengono ancora una discreta dose di drammi e scazzi personali più consona a un gruppo di ragazzini. Saranno passati almeno quattro anni dal primo annuncio di questa seconda reunion, ma tra tour cancellati, false partenze e singoli mancati, la genesi di "Life" è stata a dir poco snervante. Nel mezzo c'è stato pure il documentario della Bbc "Karma To Calamity", che ha mostrato le dinamiche interne di un gruppo infatti ancora emotivamente instabile nonostante la terza età sia ormai alle porte per tutti e quattro i partecipanti. Il succo del discorso è forse meglio riassumibile in una mitica vecchia frase pronunciata anni or sono da Roy:
Ero entrato in una band perché speravo di raccattare più figa possibile, e invece mi sono trovato in mezzo a un dramma di froci
I "froci" in questione chiaramente erano Boy George e Jon Moss, le due galline responsabili per il primo collasso del gruppo nell'86, e quelli che a tutt'oggi hanno più problemi a relazionarsi tra loro (con tutto che lo stesso Roy pare avere i suoi momenti). Viene quindi da pensare che il passo disco-funk di "Bad Blood" e la dolente ballata "Oil & Water" qui presenti abbiano più di un richiamo autobiografico - tra recriminazioni, relazioni segrete, droghe pesanti e un morto in casa, di acqua sotto il ponte Culture Club ne è passata fin troppa.
C'è però da dire che Boy George negli ultimi anni s'è dato parecchio da fare per ripulire il proprio corpo dalle tossine e la propria immagine dai drammi del passato, recentemente l'abbiamo visto tornare in Tv in qualità di giudice nel programma "The Voice", sia in Inghilterra che in Australia - fattore solitamente preoccupante dal punto di vista artistico, ma che garantisce una buona esposizione all'ampio pubblico dei talent show. C'è quindi da scommettere che l'inclusione del suo nome d'arte assieme a quello della band sia stata proprio una mossa da frontman (ma chissà quanti altri starnazzi deve aver creato dietro le quinte).
Duole quindi ammettere che dopo tutto questo tempo e tutti questi aneddoti, un disco come "Life" non mostra particolari colpi di scena, ma al massimo riprende placidamente il discorso dov'era stato lasciato diciannove anni fa dal decente ma non eccitante "Don't Mind If I Do". I Culture Club fanno musica per calmare i propri nervi, scrivere canzoni come queste evidentemente è l'unico modo per stare tutti e quattro assieme nella stessa stanza.
Ancora tanto reggae, quindi, e poi filamenti di blues, sprazzi di soul e cori gospel a fare da contorno a cullanti melodie radiofoniche. Punto focale dell'opera oggi più che mai è la voce di George, forte di un timbro fumoso e pastoso ricchissimo di sfumature, uno strumento che gli consente di riempire con efficacia anche gli spazi più vuoti. Sì, perché ci vuole comunque un certo stomaco per digerire il deprimente inno pacifista di "Let Somebody Love You", singolo di lancio che arriva condito da un video capace di inanellare tutti i peggiori luoghi comuni dell'ala queer/no-global internettiana (ma non gli era bastato quel buco nell'acqua di "The War Song" trent'anni fa?).
Anche la title track sul finale, lo scalpitante motivetto da dive bar di "Different Man", o una "Runaway Train" condita da fiati alla Amy Winehouse non fanno che confermare una vena adult oriented da consumati professionisti che sanno fare il proprio lavoro ma che non hanno del tutto ricatturato la scintilla (la già citata "Oil & Water", per dire, finisce col richiamare non poco l'andazzo di "She's The One" di Robbie Williams, ma senza averne la stessa levità).
Il che non significa ovviamente che "Life" non abbia i suoi momenti; l'apertura di "God & Love", per esempio, mostra un interessante andamento a cavallo tra trip-hop ed electro-rock (peccato non sia stato esplorato più a fondo sul resto del disco). Le cullanti frequenze di "What Does Sorry Mean?" inanellano una melodia di rara purezza e dolci richiami lovers rock. Fortunatamente è stata inserita in scaletta anche "More Than Silence", qui riarrangiata in veste vagamente più elettronica rispetto a quella prima versione che era stata abbandonata in rete anni fa - ma si tratta comunque di una gran bella canzone in qualunque veste la vogliano mettere.
Fa piacere ritrovare una storica band degli anni 80 ancora in piedi e con tutta la line-up originale. I Culture Club del 2018 non tradiscono le proprie radici, ma allo stesso tempo non tentano nemmeno di rincorrere a tutti i costi l'irripetibile alchimia di dischi quali "Kissing To Be Clever" e "Colour By Numbers". E forse per molti vecchi fan andrà più che bene così.
Ma a essere sinceri basterebbe guardare un attimo allo schizofrenico ma avvincente percorso solista di Boy George - incluso il sempre molto maturo ma ben più ispirato suo ultimo album di studio ufficiale "This Is What I Do" - per rendersi conto che i Culture Club potrebbero anche fare molto di più, se davvero lo volessero. Il punto è che di questo passo un nuovo accordo potrebbe arrivare quando avranno tutti almeno 80 anni suonati.
07/11/2018