LIBRI & ANNIVERSARI - Il diario di Bobby Sands - Scomunicando
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- ️Wed May 15 2013
Se non si fosse lasciato morire di fame nei “blocchi H” del famigerato carcere nordirlandese di Long Kesh, oggi Bobby avrebbe 59 anni.
Era nato il 9 marzo del 1954 ad Abbots Cross, un quartiere periferico di Belfast, ed era poi cresciuto a Rathcoole, sobborgo a maggioranza protestante dal quale la famiglia Sands dovette andarsene a causa delle intimidazioni.
Se fosse sopravvissuto alla galera britannica -scrive Giorgio Ballario – forse oggi sarebbe al fianco di tanti compagni dell’Ira, che hanno abbandonato le armi per promuovere il processo di pace nell’Ulster. O magari starebbe con quelle frange che ancora lottano contro l’occupazione inglese, nessuno può saperlo con certezza.
Di sicuro c’è che se il cuore di Bobby Sands ha cessato di battere il tragico 5 maggio del 1981, quando lui aveva appena 27 anni, il suo spirito non è morto. Perché, come lui stesso scriveva, «Non c’è nulla nell’intero arsenale militare inglese che riesca ad annientare la resistenza di un prigioniero politico repubblicano che non vuol cedere: non possono e non potranno mai uccidere il nostro spirito».
LIBRI – Il diario di Bobby Sands
Articolo riprodotto inegralmete da http://irlandadelnord.ilreporter.com/il-diario-di-bobby-sands/
”Bobby Sands è un simbolo per la sua gente.
Per questo non morirà mai”. Silvia Calamati, la più grande giornalista italiana esperta della questione nord-irlandese, parla al telefono da Belfast.
E’ appena tornata dal cimitero di Milltown dove, durante una breve cerimonia, ha visto posare sulla tomba dell’Allodola d’Irlanda alcune corone di fiori per ricordare il 29° anniversario della sua tragica scomparsa (5 maggio 1981).
Nel cielo grigio carico di pioggia si sono alzate poi le note dell’inno nazionale irlandese.
Calamati mi racconta della sua ultima pubblicazione: Il diario di Bobby Sands Storia di un ragazzo irlandese, prima edito da Castelvecchi oggi sui tipi de LaFeltrinelli.it
Il libro è un adattamento per le giovani generazioni della biografia di Bobby Sands, Nothing But an Unfinished Song, pubblicato nel 2006 per il 25° anniversario della sua morte.
Scritto dal giornalista di Belfast Denis O’ Hearn, in collaborazione con Laurence McKeown, ex compagno di prigionia di Bobby ed egli stesso uno degli hunger striker del 1981 (70 giorni di digiuno), è stato tradotto in italiano da Silvia Calamati.
Si tratta di un’opera in cui leggere la vita di un ragazzo che, a soli 27 anni, decise di dare la vita per i suoi ideali. “E capirne – mi dice Calamati – il messaggio. Un messaggio che non ha tempo perché è sempre attuale. Il mio obiettivo, attraverso queste pagine, è esprimere i valori che Sands ha saputo trasmettere: nelle condizioni terribili e disumane della prigionia sì è battuto sempre per l’amicizia, la solidarietà, l’amore per la sua comunità, la giustizia e la libertà del suo paese.
Era un giovane che amava tanto la vita. Gli piaceva moltissimo giocare a calcio, andare a pesca, correre sulla collina di Belfast e osservare l’allodola, l’uccello che più di tutti secondo lui incarnava il simbolo della libertà.
E, una volta rinchiuso in carcere, suonare la chitarra, scrivere canzoni per i suoi compagni di prigionia, per sollevare il loro morale nell’inferno di Long Kesh. E non avendo cosa più grande da dare per la causa in cui credeva decise di lasciarsi morire di fame, per gridare al mondo il suo desiderio di libertà e di giustizia per sé e la propria gente”.
Sands, tuttavia, non è stato un caso isolato, ma la punta di un iceberg. Assieme a lui, per anni, centinaia giovani detenuti condussero le durissime lotte carcerarie culminate negli scioperi della fame del 1980 e 1981. E lui fu il primo dei dieci giovani repubblicani irlandesi che rifiutarono il cibo fino alla morte, tra il maggio e l’agosto 1981.
Calamati ha accompagnato la versione italiana del libro con preziosi dettagli sulla biografia dei dieci ragazzi. In queste pagine hanno finalmente un volto, un nome, una storia. Fotografie in bianco e nero di vite spezzate, affiancate dalle oltre cinquanta foto della parte iconografica sempre a cura della reporter italiana.
Assieme al testo – mi spiega l’autrice – queste immagini fanno capire le condizioni disumane in cui vissero per anni Sands e i suoi compagni: giovani carni da macello, nelle mani spietate di aguzzini che quotidianamente non risparmiarono loro torture fisiche e morali”.
Oltre a queste foto vi sono quelle a colori che Calamati è riuscita a scattare a Long Kesh nel 2006, visitando le cages e il Blocco H 4, teatro di brutalità e sevizie. Quello stesso carcere che le autorità britanniche hanno deciso di smantellare per farne uno stadio internazionale, con 38.500 posti.
“Mi auguro che ciò non accada mai. Sarebbe come abbattere il campo di concentramento di Auschwitz o di Dachau. Se tuttavia questo dovesse succedere, spero che le mie fotografie servano come documento storico”.
E aggiunge: “E’ giusto cercare di costruire un futuro di pace, dopo più di trent’anni di conflitto e oltre 3.700 morti. Ma la pace deve essere accompagnata dalla giustizia. Tutto questo non è possibile se si negano la storia e le responsabilità di ciò che è stato commesso in Irlanda del Nord”.
Perché ciò non accada e la memoria sia preservata, Calamati firma un altro libro da consegnare come messaggio alle generazioni future.
Come quelle cui appartiene la bimba dai capelli rossi e dalle lentiggini che con la foto di Bobby Sands in mano appare in copertina.
”Sands e i suoi compagni sono ancora vivi tra la gente della comunità nazionalista dell’Irlanda del Nord. Il tempo del dolore è diverso da quello cronologico: a Belfast si parla di loro e di ciò che hanno rappresentato come se tutto fosse accaduto ieri”.
E quella stessa gente, giovani e giovanissimi compresi, che, ancora oggi, nei pub ascolta le ballate scritte da Sands durante gli anni della prigionia, come Back Home in Derry o McIlhatton. Le vergava con refill di biro, sulla carta igienica o su pezzetti di carta di sigaretta. Poi, insieme ai suoi pensieri e a suoi articoli, le faceva uscire di nascosto dal carcere. Si firmava con lo pseudonimo di Marcella, il nome della sorella. Lo stesso nome cui è dedicato il libro.
Quattro di queste ballate si trovano nel volume di Calamati, accompagnate da altre tre, altrettanto famose: The H-Block Song, The Ballad Joe of McDonnell e Song for Marcella scritta dal suo compagno di prigionia Bik McFarlane.
“Queste canzoni fanno da cornice all’ultima pagina del diario di Sands, che volle scrivere in gaelico. Durante la detenzione Sands studiò con passione e insegnò ai suoi compagni la sua antica lingua – mi spiega l’autrice -. Era un modo per ribadire la propria origine, la propria identità, la propria cultura. Un modo per essere libero”.
nella foto: Bobby Sands in un murales di Belfast © Andrea Lessona
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continuando a leggere l’articolo di Ballario pubblicato su http://www.barbadillo.it/anniversari-bobby-sands-patriota-irlandese-martire-per-la-liberta-contro-ogni-occupazione/
……. A distanza di 32 anni da quella primavera di sangue, il suo volto sorridente campeggia ancora sui murales colorati della Belfast cattolica e compare su decine di libri, dedicati a lui e agli altri martiri irlandesi dello sciopero della fame nelle carceri britanniche. Il suo nome è ancora cantato nelle ballate che si ascoltano nei pub di Dublino e Derry e gli sono stati dedicati ben tre film, l’ultimo dei quali – Hunger di Steve McQueen – è uscito pochi anni fa.
Ma l’esempio di Bobby va al di là dei confini, vive anche nel ricordo di migliaia di giovani che in quel lontano 1981 si affacciavano al mondo della politica, in un’Italia ancora dilaniata dal terrorismo e dalla violenza degli opposti estremismi, dalle stragi di Stato e dalla lotta di classe. Nel clima avvelenato della strategia della tensione, del “tutti contro tutti”, della guerra civile permanente, l’esempio di quel giovane irlandese che si lasciava morire per svelare al mondo il volto brutale dell’imperialismo in tailleur e cappellino della signora Thatcher, sembrava una boccata d’aria pulita.
«Prati e scogliere dell’Irlanda lassù a Nord, gente come roccia di Belfast, e la croce d’oro di una fede che vivrà, cornamuse e mitra son per Sands», cantava la Compagnia dell’Anello. E nelle sezioni missine e nei circoli della destra radicale, all’epoca non troppo diverse dai “covi” repubblicani di Belfast circondati da filo spinato e telecamere a circuito chiuso, molti accostavano il nome di Bobby a quello dei caduti “neri” nei tristi Anni Settanta. Non che si volesse dare la patente di “fascista” a chi non lo era, ma in qualche modo il microcosmo degli “esuli in patria”, per usare una felice espressione di Marco Tarchi, si riconosceva pienamente nella lotta dei repubblicani irlandesi: cattolici, socialisti, nazionalisti e tradizionalisti.
Ci fu persino chi, nel periodo confuso e caotico dello “spontaneismo armato”, provò ad avvicinare l’Ira per offrire collaborazione militare e logistica. Collaborazione cortesemente respinta al mittente, anche perché la principale organizzazione guerrigliera d’Europa non aveva certo bisogno dell’aiuto di pochi cani sciolti in latitanza, visto che poteva contare sull’appoggio di un intero popolo e sui finanziamenti della potente comunità irlandese degli Usa.
Bobby Sands se ne andò in una lurida cella del carcere di Maze-Long Kesh, dopo 66 giorni di sciopero della fame. Uno sciopero serio, non alla Pannella. Dopo di lui si spensero nell’ordine Francis Hughes, Ray McCreesh, Patsy O’Hara, Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty, Thomas McElwee e Mickey Devine. Tutti prigionieri politici, arrestati in quanto membri dell’Ira o dell’Inla (Irish National Liberation Army). Era stato proprio Bobby, nominato officer commanding (ufficiale comandante) dei detenuti di Maze, a decidere questa strategia: lui cominciò a rifiutare il cibo il 1° marzo e gli altri prigionieri avrebbero dovuto unirsi allo sciopero ad intervalli regolari, allo scopo di aumentare l’impatto “pubblicitario” dell’iniziativa. Infatti i dieci detenuti politici morirono nell’arco di molti mesi: l’ultimo, Mickey Devine, il 20 agosto del 1981.
Malgrado l’ondata di sdegno internazionale contro Londra, il governo britannico non cedette e lasciò morire i dieci prigionieri repubblicani, che chiedevano solo un trattamento carcerario migliore, il riconoscimento dello status di detenuto politico, la possibilità di indossare abiti civili e non l’uniforme da galeotto e di scrivere e studiare la lingua gaelica. Ma come spesso accade, anche un granello di sabbia alla lunga può inceppare l’ingranaggio. E ora si può tranquillamente affermare che il sacrificio di Bobby Sands e dei suoi compagni non è stato inutile, perché da allora il mondo ha guardato con occhi diversi alla “questione irlandese” e lo stesso governo britannico ha dovuto modificare la propria strategia. Persino all’interno dell’Ira quegli episodi hanno prodotto una nuova concezione politica, dando fiato all’ala più disposta alla trattativa.
Come molti altri nordirlandesi, la palestra politica di Bobby Sands era stata la strada. Abbandonati gli studi, diventa un apprendista capo cantiere, finché non è obbligato a lasciare il lavoro, sempre per le pressioni dei lealisti. A diciott’anni aderisce all’Ira, viene arrestato e rimane in carcere senza processo fino al 1976. Quando esce si trasferisce nei quartieri occidentali di Belfast e diventa attivista della comunità cattolica e repubblicana. Nel ’77 viene di nuovo arrestato e anche se le accuse più gravi vengono lasciate cadere è condannato a 14 anni di prigione per detenzione d’armi: nell’auto su cui viaggiava con altri quattro amici era stata infatti trovata una pistola.
Sconta la pena nel carcere di Long Kesh, chiamato anche Maze, e insieme con gli altri detenuti repubblicani dà vita a una lunga serie di battaglie per ottenere un trattamento migliore. Sono gli anni della “blanket protest” (indossano solo una coperta perché si rifiutano di mettere l’uniforme da carcerato), della “dirty protest” (tutti i bisogni fisiologici vengono espletati in cella) e dei primi scioperi della fame. In questo periodo Bobby s’improvvisa poeta e giornalista, scrive di nascosto su rotoli di carta igienica e con curiosi stratagemmi riesce a far uscire i suoi articoli dalla prigione, rivelando al mondo intero le vergognose condizioni di vita a Maze.
I suoi scritti verranno raccolti nel volume “Un giorno della mia vita”, pubblicato in Italia da Feltrinelli, nel quale denuncia gli abusi cui sono sottoposte le persone arrestate sulla base dello Special Powers Act, che di fatto sospende i diritti civili: «In questi centri di polizia staliniana i sospettati potevano aspettarsi torture psicologiche come la roulette russa, pestaggi condotti al buio, minacce verso i propri familiari e uso di droghe. Più comune era la tortura fisica, come costanti percosse subire calci e pugni senza tregua».
Nel marzo dell’81 i detenuti cattolici cominciano il secondo sciopero della fame. Per salvare Bobby il Sinn Fein (l’ala politica dell’Ira) riesce a farlo eleggere al Parlamento di Westminster, ma il governo di Londra si rifiuta di scarcerarlo, sancendone di fatto la condanna a morte. Al suo funerale partecipano 100 mila persone e per la Gran Bretagna a livello d’immagine è un’enorme sconfitta: l’Ira fa incetta di nuovi volontari, dagli Stati Uniti affluiscono milioni di sterline raccolti nelle comunità irlandesi d’oltreoceano e in Irlanda anche i nazionalisti più tiepidi e moderati si schierano con le posizioni dell’Ira. A New York i portuali bloccano per 24 ore le navi britanniche, a Milano in 5 mila bruciano in piazza l’Union Jack, a Gand gli studenti irrompono nel consolato britannico e a Parigi in migliaia sfilano dietro l’immagine di Sands. La città francese di Le Mans gli dedica una via, così come Teheran, dove via Winston Churchill viene ribattezzata Bobby Sands. Aveva ragione Bobby: nessuna arma può uccidere lo spirito di un combattente irlandese.
A cura di Giorgio Ballario
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http://scomunicando.hopto.org/che-ne-pensi-di/lira-e-la-thatcher-la-sua-morte-per-anticipare-un-anniversario
L’IRA e la Thatcher – La sua morte .. per anticipare un anniversario
5 maggio 1981, 32 anni fa fra pochi giorni, Bobby Sands aveva 27 anni, morì dopo 66 giorni di sciopero della fame e 5 richieste mai accettate. Altri 9 giovani repubblicani morirono dopo di lui. Ricordiamo Bobby Sands, e la sua carnefice, con alcune sue citazioni e alcune magniloquenti fotografie d’epoca.
“Everyone, Republican or otherwise, has their own particular part to play. No part is too great or too small; no one is too old or too young to do something.”
“Our revenge will be the laughter of our children.”
“They won’t break me because the desire for freedom, and the freedom of the Irish people, is in my heart. The day will dawn when all the people of Ireland will have the desire for freedom to show. It is then that we will see the rising of the moon.”
“They have nothing in their whole imperial arsenal that can break the spirit of one Irishman who doesn’t want to be broken.”
foto e frasi tratte da http://loscrignodellapoliteia.wordpress.com
e se vogliamo saperne di più e vedere un buon film sulla questione irlandese…
“Nel nome del padre” è forse il più bello.
“La moglie del soldato”, anche se sfiora solo l’argomento.
“L’ombra del diavolo”, sì, ne parla, all’americana però.
“Una scelta d’amore”, su una storia vera, così come ‘Nel nome del padre’.
“The boxer”, sempre con Daniel Day Lewis.
“Il vento che accarezza l’erba”, di Ken Loach, è molto bello, ti spiega un po’ la nascita di questo movimento, così come succedeva in ‘Michael Collins’.
“L’agenda nascosta” ..sempre di Ken Loach
“Bloody Sunday”, bellissimo e terribile, sempre basato sulla realtà.
“L’agenda nascosta”, sempre di Ken Loach.
“Le ceneri di Angela” non ha niente a che vedere con l’IRA, si svolge solo in Irlanda.