5 da rivedere: l'evoluzione della tattica nel calcio moderno
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- ️Fri Apr 19 2024
Sportellate non vi lascia soli in questa quarantena. Nelle scorse settimane vi abbiamo raccomandato alcuni libri sportivi da leggere e alcuni film sportivi da guardare. Ora è il turno dei consigli relativi ad alcune gare storiche che ogni appassionato sportivo dovrebbe assolutamente recuperare. Abbiamo scavato nella nostra profonda memoria, creando alcune categorie all’interno delle quali troverete 5 eventi da vedervi comodamente online. Oggi ripercorriamo la storia della tattica del nostro sport preferito in 5 tappe fondamentali. Agli albori della sua esistenza, il calcio - a differenza di altri sport creati a tavolino - non aveva un insieme di regole codificate e condivise. Il gioco cambiava da college a college e da città in città anche in maniera abbastanza radicale: basti pensare che fino al 1863, anno di fondazione della Football Association, non esisteva una distinzione ufficiale tra calcio e rugby. Anche in seguito all'introduzione del regolamento ufficiale, difficilmente si può parlare di vera e propria tattica durante quasi tutto l'Ottocento. Lo "schema" maggiormente utilizzato era una sorta di 1-1-8, in cui due uomini restavano indietro a protezione del portiere e tutti gli altri si lanciavano in avanti cercando il gol attraverso azioni individuali o, comunque, attraverso azioni del tutto spontanee e prive di qualsivoglia coordinamento tra gli individui. Non a caso questo tipo di gioco veniva chiamato dribbling game o kick-and-rush ("calcia e corri"). Nei primi anni Settanta gli scozzesi - criticatissimi per l'apparente disonestà della loro strategia - introdussero il passing game, ovvero capirono che passarsi la palla poteva essere un metodo efficace per arrivare con più facilità vicino alla porta avversaria. La prima partita che vorrei consigliarvi, ma di cui non esistono immagini, è Scozia - Inghilterra del 30 novembre 1872, in cui il 2-2-6 dei "passatori" scozzesi si scontrò con l'1-1-8 dei "dribblomani" inglesi, che si concluse con un deprimente 0-0.
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Nei decenni successivi giocatori e allenatori compresero l'importanza di schemi di gioco più razionali e associativi e fu così che iniziarono a svilupparsi diversi stili. Prima fra tutti la cosiddetta "piramide di Cambridge" (una sorta di 2-3-5), primissimo embrione della tattica moderna, che introdusse la distinzione tra linea di difesa, di centrocampo e d'attacco. La "piramide" si diffuse rapidamente in Italia, dove negli anni '20 del Novecento si trasformò nei due schemi che domineranno il calcio fino al secondo dopoguerra: metodo e sistema, o "WW" e "WM", tattiche che portarono rispettivamente al dominio dell'Italia di Pozzo - vincitrice di due mondiali (1934 e 1938) e di un'oro olimpico (1936) - e alla creazione del primo Arsenal degli invincibili, guidato da Chapman, inventore del WM, che si aggiudicò tre campionati in cinque anni. Questa è, nei suoi tratti più generali, la storia della tattica in quelle che potremmo definire epoca arcaica ed epoca classica del calcio. Tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento l'evoluzione del gioco fu lenta ma costante e inesorabile e trasformò qualcosa che ora difficilmente riconosceremmo come calcio nello sport a cui ci siamo tanto affezionati. Purtroppo, per motivi tecnici (non sono riuscito a trovare filmati di partite intere di qualità decente), i miei cinque consigli partono dagli anni '50, con le epoche calcistiche che mi piace definire, per deformazione professionale, "moderna" e "contemporanea". L'ordine in cui vengono presentati è meramente cronologico.
Dopo aver dominato la scena mondiale fino agli anni Venti, la nazionale inglese aveva abbandonato le competizioni internazionali in polemica con la creazione di un campionato mondiale organizzato dalla FIFA e alternativo ai giochi olimpici, che da un lato superava la concezione "decoubertiniana" del calcio e dall'altro oscurava il profittevole sistema delle grandi amichevoli internazionali gestito dalla Football Association. A queste motivazioni si aggiungeva un atteggiamento sprezzante (fino ad allora confermato dai risultati) per cui gli inglesi si ritenevano tatticamente e tecnicamente troppo superiori a qualsiasi altra compagine, anche grazie al Chapman system, il WM, che dominava la scena calcistica dagli anni Trenta. Nonostante la cocente eliminazione subita al primo turno alla sua prima partecipazione in un campionato del mondo, Brasile 1950, l'Inghilterra rimaneva praticamente imbattuta tra le mura amiche e continuava a considerarsi semi-imbattibile. Così nel 1953, venne organizzata una partita amichevole contro la squadra più spettacolare e tecnica del continente, match che avrebbe dovuto dimostrare definitivamente la superiorità del calcio britannico. Tuttavia, le cose andarono diversamente. Davanti agli oltre centomila spettatori di Wembley, i Three Lions furono surclassati da ogni punto di vista ma, soprattutto, da quello tattico. Il 3-2-3-2 (o MM) ideato da Gusztáv Sebes, che schierava Hidegkuti come "centravanti arretrato", una sorta di trequartista di inserimento, mise del tutto in crisi le rigide marcature a uomo del WM. Dopo mezz'ora il risultato era già 1-4 per i magiari e la partita si concluse con un nettissimo 3-6, che rese palese l'arretratezza e la vulnerabilità del Sistema rispetto al calcio moderno.
Fin dagli anni Trenta, e in particolare in seguito al trionfo dei mondiali del 1950, la scuola calcistica sudamericana contestava apertamente la presunta superiorità europea. Mentre Brasile e Argentina prediligevano un calcio anarchico, basato sulle grandi individualità, l'Uruguay si era contraddistinto per la diagonal, uno schema che prediligeva la cura della fase difensiva e il gioco sugli esterni grazie a scambi rapidi tra ala e terzino per risalire il campo e improvvisi tagli diagonali (da qui il nome) che spostavano il gioco al centro del campo, dove mediano e centravanti erano chiamati alla conclusione. Fu grazie a questo schema che l'Uruguay si impose nel Maracanaço e spinse il Brasile a rivedere la propria strategia. Ma, mentre nel resto del mondo si imponeva una tattica più difensiva caratterizzata dal libero fisso, il CT verdeoro Vicente Feola seguì un altro paradigma, più offensivo e basato sulla tecnica degli interpreti: ai mondiali del 1958 si presentò, e trionfò, con un inedito 4-2-4 formato da quattro difensori, due mediani (uno stopper e un regista) e ben quattro attaccanti. Questo schema è considerabile il "padre" di quasi tutti gli schemi attuali. Portato in Europa dal genio ungherese Béla Gutmann, subì alcune correzioni in senso difensivo che portarono prima al 4-3-3, che vede l'arretramento di un'ala a centrocampo, e soprattutto al popolarissimo 4-4-2.
Come raccontato da Federico Aqué in un recente articolo, leggenda vuole che l'idea di inserire un difensore "libero" alle spalle della linea difensiva del WM venne a Giuseppe "Gipo" Viani nel 1946, quando allenava la Salernitana, ispirato dalla rete supplementare usata dai pescatori per non perdere i pesci scappati dalla rete principale. Altri invece ne anticipano l'introduzione di qualche anno, dandone il merito a Ottavio Barbieri nel 1944 o allo svizzero Rappan addirittura negli anni Trenta. Indipendentemente da chi sia stato il creatore primigenio del catenaccio, questo si impose come tattica vincente per le "piccole" nell'Italia del dopoguerra, in primis la Triestina di Rocco e del Modena di Mazzoni. Negli anni Cinquanta, con il passaggio di Viani al Milan, il catenaccio cominciò a diffondersi anche tra le squadre di vertice, ma fu soltanto nel decennio successivo che raggiunse il proprio zenith nel Milan guidato da Nereo Rocco, prima italiana a vincere una Coppa dei Campioni nel 1962. Tuttavia, la definitiva affermazione del "catenaccio all'italiana" sulla scena mondiale, è dovuto all'altra milanese, l'Inter di Helenio Herrera, vincitrice di due Coppe dei Campioni, uno scudetto, una Coppa Italia ed una Coppa Intercontinentale tra il 1963 e il 1965. La Grande Inter era una squadra rivoluzionaria: iper difensiva, proponeva però una manovra elaborata e grande fluidità in fase offensiva. Al libero Picchi furono affidati difficili compiti di costruzione, Jair e Facchetti giocavano a tutta fascia guidando i contropiedi, mentre Mazzola era chiamato a concludere. La finale del Prater di Vienna testimonia il passaggio definitivo tra il calcio spumeggiante del Real Madrid di Di Stefano e Puskás alla concretezza del gioco italiano che, nelle sue diverse declinazioni, avrebbe dominato il decennio seguente. Come 8 anni prima la vittoria dell'Inter sul Real Madrid di Di Stefano, Puskás e Gento fu un simbolico spartiacque per i paradigmi tattici del calcio mondiale, la vittoria dell'Ajax di Neeskens e Cruijff sull'Inter di Facchetti, Burgnich, Mazzola e Jair rappresentò perfettamente un nuovo passaggio di testimone, forse il più decisivo nella storia del calcio, se non altro quello che ha maggiormente e più direttamente influenzato il calcio contemporaneo. L'Ajax di fine anni Sessanta e inizio Settanta, guidato prima da Rinus Michels e poi da Ștefan Kovács, ruppe letteralmente gli schemi sfidando un principio cardine di ogni tattica sviluppata da fine Ottocento fino a quel momento: i ruoli. Secondo i dettami del "calcio totale", i giocatori in campo dovevano essere totalmente intercambiabili e persino il portiere (cosa che neanche oggi sembra accettata da tutti) era chiamato a usare i piedi, uscire dall'area, partecipare alla costruzione dell'azione. L'uomo simbolo di questo Ajax, che vinse consecutivamente tre Coppe dei Campioni, era ovviamente Johannes "Johan" Cruijff, simbolo del giocatore "tuttocampista" nonché della rivoluzione culturale olandese. I lancieri introdussero novità straordinarie e fondamentali, tanto nella preparazione fisica, quanto nella strategia di gioco: allenamenti stremanti per mantenere ritmi altissimi in partita, uso del fuorigioco sistematico, marcatura a zona, posizionamento in campo basato sullo sfruttamento degli spazi e pressing organizzato. Il totaalvoetbal fu, molto probabilmente, la più importante rivoluzione tattica del dopoguerra. Secondo molti addetti ai lavori, dagli anni Settanta in poi, qualsiasi novità - compresi i profondi cambiamenti introdotti da Liedholm e Sacchi negli anni Ottanta - non è stata altro che una derivazione, un perfezionamento o un adattamento dei principi del calcio totale. Nonostante il Barcellona di fine anni duemila non rappresenti una vera e profonda rivoluzione nel modo di intendere il calcio, come invece erano state quella di Chapman all'inizio del secolo e quella di Michels a fine anni Sessanta, ritengo necessaria una menzione alle idee sbocciate da Crujiff, sviluppate da Van Gaal e portate alla loro massima espressione contemporanea da Pep Guardiola. Queste idee, questi principi, sono quelli del "gioco di posizione" - una filosofia basata sulla posizione dei calciatori (sia nel campo, sia del corpo) in relazione al pallone - che, per quanto non una assoluta novità, nel Barcellona di Guardiola hanno trovato la loro massima espressione accompagnate al tiqui-taca, ovvero il gioco costruito su passaggi stretti e rapidi che permettono il controllo della palla e dello spazio. Guardiola ha comunque applicato gli stessi principi, anche se declinati in modo differente a seconda del contesto, nelle sue esperienze al Bayern e al Manchester City. Per introdurre queste novità, ho preso come esempio un match simbolo, quello in cui i blaugrana travolsero il Real Madrid al Bernabeu - mettendo in sicurezza il primo posto in Liga e preparandosi per il trionfo in Champions - principalmente grazie ad una trovata tattica del proprio allenatore: l'introduzione del falso nueve, o meglio, del nueve mentiroso.
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1) Inghilterra vs Ungheria 3-6 (1953): l’affermazione del “calcio danubiano” sul WM.
2) Brasile vs Svezia 5-2 (1958): il 4-2-4 verdeoro, la rivoluzione è oltreoceano.
3) Inter vs Real Madrid 3-1 (1964): il catenaccio "all'italiana" conquista l'Europa.
4) Ajax – Inter 2-0 (1972): il totaalvoetbal e l'invenzione del calcio contemporaneo.
5) Real Madrid – Barcellona 2-6 (2009): juego de posición, tiqui-taca e falso nueve.
Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce in ritardo per lo scudetto ma in tempo per la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio nel 1998, puntuale per la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua imperterrito a seguire il calcio e a frequentare Marassi su base settimanale. Oggi è interessato agli intrecci tra sport, cultura e società.