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GIORNALE, GIORNALISMO - BREVE STORIA DEL ...

Fonti varie


L’Italia unitaria è un paese agricolo, la scolarizzazione è ancora bassa; il tasso di analfabetismo alto (più di due terzi della popolazione nel 1871) con punte del 80 per cento nel Mezzogiorno (nel 1910, il 39 per cento degli italiani di età superiore ai sei anni non è in grado di leggere e scrivere); non pochi sono poi gli analfabeti di ritorno. Il basso tenore di vita, soprattutto nelle regioni meridionali della penisola, sono fra le principali cause della povertà del mercato di lettura dei quotidiani mentre la quota di lettori si stima attorno al due per cento circa dei cittadini e corrisponde agli aventi diritto di voto (Gozzini g., 2000).
Il tempo e la spesa per la lettura di un quotidiano sono comunque considerati un lusso domenicale .

L’emergere di grandi interessi economici e finanziari e le lotte politiche sono all’origine della nascita dei principali giornali dell’epoca. In Italia i processi di industrializzazione cominciano alla fine dell’Ottocento mentre le iniziative editoriali di matrice industriale iniziano a partire dal secolo successivo. L’industrializzazione della stampa comporta l’apporto di capitali estranei all’editoria che non diventa mai una gestione professionale ed esclusiva . Nella maggior parte dei casi si è trattato dell’intervento di grandi famiglie che nell’editoria del nostro paese sono quasi una costante. La commistione tra editori e altri imprenditori rafforza il rapporto di contiguità e intreccio tra giornali e attività politica. Solo nei quotidiani locali c’è l’editore “puro” privo di altri interessi (Murialdi P. 1998).

La stampa si conferma come strumento di una comunicazione d’élite: i periodici riflettono una gestione artigianale e personalistica, con tirature e circolazione limitate. La costosa carta ricavata dagli stracci non è ancora stata sostituita dalla pasta di legno, i torchi non sono ancora meccanizzati e le operazioni di composizione dei caratteri si svolgono interamente a mano, (Stainberg S. H.,1962).

I giornali sono formati da quattro pagine a due o tre colonne, di cui la prima dedicata all’editoriale, la seconda e la terza alle informazioni di carattere locale, l’ultima alle notizie estere. I giornalisti sono uomini politici o letterati che considerano la stampa un’attività accessoria, intesa a divulgare e popolarizzare i contenuti della propria occupazione principale (Sorrentino, 1995).

La pubblicità occupa uno spazio limitato e residuale, relegato in ultima pagina e il suo contributo al bilancio delle entrate è modesto. Il prezzo oscilla tra i cinque e i 15 centesimi (il salario giornaliero medio di un operaio è pari a due lire); formule di abbonamento favoriscono la diffusione postale dei periodici, che prevale largamente rispetto alla vendita nei locali pubblici o nelle strade.
Il primo quotidiano italiano stampato nell’Italia unita è L’Osservatore romano , segno di un’attenzione alle forme moderne di comunicazione, che contraddistingue lo sforzo delle autorità ecclesiastiche di mantenere una base di consenso all’interno dell’Italia laica, nonostante il carattere esplicitamente reazionario del pontificato di Pio IX.

Nell’ambito dell’Italia laica il primo quotidiano ad affermare la propria leadership è

Il Secolo, diretto dal 1869 dall’ex garibaldino Teodoro Moneta , cha assegna maggior spazio alla cronaca della vita cittadina. All’inizio degli anni settanta Il Secolo, in vendita a 5 centesimi per quattro pagine a cinque colonne e grande formato (57 x 40, come i maggiori quotidiani stranieri) e una tiratura di 30 mila copie, diventa il giornale della borghesia colta e riformatrice (Gozzini G., 2000).

Nel febbraio del 1867 nasce a Torino la

Gazzetta Piemontese, che dal 1895 muta il nome in La Stampa cui collaborano deputati come Silvio Spaventa e Ruggero Borghi; nel 1900 il giornale viene rilevato dall’imprenditore siderurgico senatore del regno Alfredo Frassati che ne potenzia le vendite.
A partire dalla metà degli anni Settanta, il primato del Secolo viene insidiato dalla nascita de Il Corriere della Sera (5 marzo 1876) che polarizza la stampa quotidiana milanese sotto il profilo di forma e contenuti. Il modello di riferimento non è rappresentato (come per il Secolo) dai grandi quotidiani francesi attenti per vocazione a cronaca e feuilleton ma si ispira al modello anglosassone dei due Times (londinese e newyorkese) con una attenzione particolare per la notizia e la tradizione per la credibility e fairness. Per quanto riguarda i contenuti, il Corriere difende il versante conservatore e socialmente privilegiato della buona società milanese mentre Il Secolo si sposta a sinistra, svolgendo campagne in favore degli operai.
Nel 1904 il Corriere, che è il primo quotidiano ad avere una rete stabile di corrispondenti esteri, si trasferisce nella sede di via Solforino, dove ancora opera; passa da sei otto pagine e dà vita alla terza pagina, dedicata ad avvenimenti culturali e la pagina sportiva e tutti i supplementi .

A Roma, nel 1878 nasce

Il Messaggero, che nel giro di due d’anni raggiunge le 35 mila copie di tiratura grazie anche al basso prezzo di cinque centesimi. La formula del nuovo giornale punta direttamente al grande pubblico: tutti i cittadini sono invitati dal direttore Luigi Cesana a fornire notizie di cronaca cittadina, dietro il compenso di mezza lira.
Nel novembre 1883 nasce a Roma La Tribuna, per opera di un gruppo di deputati di opposizione e dell’industriale laniero veneto Rossi. E’ un giornale che non smentisce una contiguità con il mondo politico. Colpito da uno scandalo, si risolleva grazie alle sue due edizioni giornaliere (una chiusura in tarda mattinata, l’altra alle nove di sera) e al supplemento settimanale La Tribuna illustrata; il quotidiano raggiunge le 160 mila copie nel 1896. La Tribuna è uno dei pochi giornali filogovernativi, in un panorama della stampa quotidiana avversa all’esecutivo.

Nel marzo 1885 esce a Bologna

Il Resto del Carlino , giornale della borghesia cittadina laica, anticlericale e filocrispina. Vi collaborano nomi illustri della letteratura come Carducci e Pascoli, tocca le 20 mila copie nel 1890 e alla vigilia della prima mondiale raddoppia la tiratura. Nel marzo del 1886 l’industriale Ferdinando Maria Perrone, proprietario dei cantieri Ansaldo, fonda a Genova Il Secolo XIX, quotidiano che utilizza per sostenere con forza una politica doganale protezionistica a difesa dalla nascente industria italiana.
Nel marzo 1891 nasce a Napoli Il Mattino, diretto da Edoardo Scarfoglio con il proposito di farne un organismo del conservatorismo italiano, attento al profilo culturale: chiama a collaborare scrittori come D’annunzio e Serao di cui rimangono famosi i “mosconi”, gli scorci letterari quotidiana napoletana .

I primi anni del secolo vedono l’affermarsi di un genere giornalistico del tutto nuovo: la stampa di partito, che riprende in forma diversa la tradizione risorgimentale del giornalismo educativo e politico. Nel dicembre 1896, dalla sottoscrizione di tre mila abbonati, nasce l’Avanti!, quotidiano del partito socialista (costituito a Genova nel 1892), diretto da Leonilda Bissolati. Costituisce una doppia novità nel panorama giornalistico italiano. Da un lato presenta la caratteristica nuova di essere strettamente legato all’organizzazione centrale e periferica di un partito politico, e quindi è il primo quotidiano effettivamente nazionale, distribuito in un pubblico che ricalca la distribuzione geografica degli iscritti al partito e il gradi di consolidamento delle strutture locali. Dall’altro rappresenta un caso di editoria pura, non finanziato da interessi economici estranei all’impresa giornalistica ma sostenuto attivamente da lettori-militanti che hanno con il giornale un rapporto assai più ristretto e vitale di altri.

Un’altra novità è la stampa sportiva. Nell’aprile del 1896 comincia le sue pubblicazioni

La Gazzetta dello Sport, dapprima bisettimanale su carta verde, poi trisettimanale su carta rosa dal 1908 ; diventa quotidiano nel 1913 e resta per l’ungo tempo l’unico quotidiano sportivo italiano.
Nel novembre 1901 Alberto Bergamini, fonda nella capitale un nuovo quotidiano: Il Giornale d’Italia. Notevole è il suo sforzo di diffusione e copertura informativa dedicato al meridione, così come l’invenzione di una terza pagina interamente dedicata alla cultura: l’avvenimento viene infatti coperto non solo con una recensione, ma anche con altri tre articoli relativi alla scenografia, alla musica e alla cronaca mondana. La terza pagina diventa, una consuetudine dei quotidiani, che richiama scrittori affermati ( Verga, Pirandello, Deledda) a comporre gli “elzeviri” : pezzi letterari - racconti, divagazioni sui fatti di cronaca, note di costume - che aprono sulle prime due colonne della terza pagina .

Da una sorta di continuità con il passato risorgimentale derivano diverse conseguenze, destinate a rivelarsi delle peculiarità di lungo periodo. La prima, è una vocazione politica della stampa italiana, che emargina e lascia sullo sfondo i processi di mercificazione della notizia. In Italia tarda a manifestarsi il fenomeno, cruciale negli Stati Uniti, di una stampa popolare e di intrattenimento, attenta alla cronaca e alle tirature. La seconda conseguenza è la frammentazione del mercato dei lettori su scala regionale che riflette i confini degli stati preunitari (Gozzini G., 2000).
Il processo di industrializzazione soffre non solo della divisione tra nord e sud, che interessa gli assetti economici e civili, ma anche di un vincolo persistente che impedisce il nascere di quotidiani e riviste effettivamente nazionali, capaci di proporsi come strumenti di omogeneizzazione culturale (Forgacs D., 1992)


Il Novecento nei giornali.

Trasformazioni decisive subisce fin dai primi anni del secolo la struttura economica e del quotidiano, che acquista il carattere di una vera e propria impresa industriale. Se alcune testate vengono finanziate da holding, in alcuni grandi quotidiani come il

Corriere della Sera di Albertini, La Stampa di Frassati e Il Giornale d’Italia di Bergamini, il direttore – manager accentra potere economico e operativo.
Il primo conflitto mondiale è caratterizzato dal monopolio delle agenzie di stampa governative e militari cui sono sottoposti i giornali. Le norme di censura in Italia precedono l’entrata in guerra nel 1915 per notizie di carattere militare, dopo l’intervento di divieto di pubblicazione si estende alle informazioni su caduti, feriti e prigionieri . Il risultato è l’appiattimento invariato sul tono retorico del patriottismo di maniera che accomuna la maggioranza dei giornali italiani. Dopo la guerra, il ritorno alla normalità produce le condizioni per un riequilibrio, restituendo autonomia e libertà al cronista d’assalto a caccia di notizie tra le diverse funzioni (Bonomi ).

L’esperienza della guerra rende la stampa più forte rispetto il 1914. Il

Corriere della Sera sale a 600 mila copie e nel 1920 Albertini entra far parte della società per azioni che detiene la proprietà del giornale; il Giornale d’Italia tira tra le 200 e le 300 mila copie; la Stampa 200 mila e cresce la quota azionaria in mano alla famiglia Agnelli, proprietaria della Fiat; Il Mattino 100 mila; il Popolo d’Italia (che dal 1918 assume il significativo sottotitolo di “organo dei combattenti e dei produttori”) 50 mila, ma guadagna il sostegno finanziario dei fratelli Perrone proprietari dell’Ansaldo, che con la guerra è diventata un trust dalle acciaierie alla cantieristica. All’inizio dei anni Venti tutti i maggiori quotidiani sono in mano a editori impuri: industriali, possidenti terrieri, banchieri.

Dall’inizio del nuovo secolo condizioni innovative concorrono a determinare un rilevante mutamento nella configurazione del giornalismo: dall’ampliamento del quotidiano al suo allargamento a contenuti nuovi; da trasformazioni che investono la struttura economica ed organizzativa dei giornali agli avvenimenti politici. Grafica e impaginazione diventano strumenti per caratterizzarsi e rendersi visibili su un mercato sempre più affollato e concorrenziale. Acquista sempre più importanza il processo di esaltazione della notizia attraverso la sua presentazione. Titoli, immagini e articoli diventano componenti fondamentali del processo di gerarchizzazione delle informazioni non più soltanto nell’ordine della foliazione interna ma anche nell’ambito della stessa pagina.
La foto in prima pagina sconvolge i criteri di impaginazione. Mentre il titolo rispetta la naturale gerarchia visiva dell’optical point , la posizione della foto concentra su di sé lo sguardo. Nasce l’impaginazione simmetrica, che ponendo la foto al centro della pagina, la divide in due parti e con uguale numero di colonne, facilitando la stesura di diversi titoli con spazi e caratteri simili nei quattro quadranti in cui si suppone idealmente divisa la pagina (Westley, 1953).

All’inizio degli anni trenta compare nelle redazioni una macchina (la teletypesetter) un sistema a banda di carta perforata per telescriventi che consente la composizione a distanza degli articoli, facilitando la moltiplicazione dei luoghi di stampa di uno stesso giornale.
Il periodo tra le due guerre vede mutamenti all’interno delle redazioni: i giornalisti cominciano a dividersi tra chi scrive il giornale e chi ne gestisce la struttura e il contenuto. In redazione emerge la figura del capo-servizio, incaricato di seguire in modo continuativo un settore di attività del giornale: esteri, interni, nera, sport ecc.. si sviluppa la tendenza alla specializzazione dei giornalisti in particolari campi dell’informazione. Aumenta il peso assunto da anonimi cronisti e redattori a scapito delle grandi figure di letterati che circoscrivono la propria collaborazione alla terza pagina. Prende sempre maggior corpo la figura del giornalista professionista che spesso assomma nella scrittura una componente schiettamente giornalistica ad una squisitamente letteraria, come nel caso degli inviati speciali.

Dagli anni Venti, fino alla metà degli anni Trenta, innovazioni tecnologiche si susseguono, contribuendo a determinare significativi mutamenti nella realizzazione del giornale. Il telefono, usato regolarmente dai primi del Novecento, continua e consolida la tendenza alla trasmissione diretta delle notizie avviata dal telegrafo. Mentre la stampa in rotocalco conosce un grande successo assieme alla radio e al cinema, si avviano le prime sperimentazioni della televisione, del magnetofono su nastri d’acciaio, del cinema a colori (Ortoleva P., 1995).

La nomina di Mussolini a presidente del consiglio nell’ottobre 1922 ha ripercussioni quasi immediate sul mondo della carta stampata. L’attacco frontale e violento condotto dal partito fascista nei confronti dei giornali non allineati (il numero delle testate passa da 110 a 77 nel periodo tra il 1926 e il ’33) si combina ad una “fascistizzazione” sotterranea della stampa attraverso manovre nella composizione dei consigli di amministrazione di volta in volta concertate con gruppi di potere privati (Gozzini, 2000). Un decreto del luglio 1923 accorda ai prefetti la facoltà di diffidare e destituire il gerente di un periodico in caso di intralcio all’azione diplomatica del governo in politica internazionale, turbativa dell’ordine pubblico, ingiustificato allarme alla popolazione, istigazione all’odio di classe e disobbedienza alle leggi, favoreggiamento degli interessi stranieri, vilipendio della patria, della famiglia reale, del papa, della religione di stato, delle istituzioni e delle potenze amiche (Bonomi ).

Nel processo di fascistizzazione, in cui ha un ruolo fondamentale Arnaldo Mussolini, direttore dal 1922 del

Popolo d’Italia, si inseriscono l’istituzione di un albo professionale al quale potevano essere iscritti solo giornalisti allineati, gli unici ad esercitare la professione; l’istituzione delle prime scuole di formazione per giornalisti; la sostituzione della Federazione della stampa, che aveva manifestato la propria contrarietà al regime, con un sindacato fascista; la pratica delle “disposizioni” alla stampa, che diventa frequente dopo il 1926 sfociando a partire dal 1937-38 nelle “veline” o note di servizio diramate ai giornali dal Ministero della Cultura Popolare. Delle grandi testate liberali, le prime ad essere asservite al regime sono Il Secolo, Il Resto del Carlino, Il Giornale d’Italia, La Nazione, Il Messaggero. Nel 1925 cedono anche Il Corriere della Sera e La Stampa, antifasciste solo in seguito al delitto Matteotti.
(vedi "Il Corriere, megafono del fascismo")

Ai giornali viene imposto, attraverso reiterati inviti e suggerimenti, uno stile preciso, sobrio con l’abbandono della retorica, oltre ad imposizioni concernenti il formato (dal ’26 le sei pagine) e modalità tipografiche. La cronaca nera viene limitata fino all’eliminazione , nell’intento di offrire un’immagine “pulita” del Paese, e la pagina di cronaca cittadina si riduce a una monotona sequela di notizie ufficiali e celebrative. Lo sforzo delle redazioni si concentra sulla terza pagina dedicata alla cultura, alla ricerca di un prestigio settario o scientifico che compensi la piattezza informativa: è la terza pagina che il corriere degli anni trenta apre a disegni e foto. Assumono spazio e importanza le sezioni non politiche del giornale: si sviluppano in particolare le rubriche di intrattenimento e di evasione (moda, varietà, cinema) e lo sport.

Nell’aprile del 1937 esce

Omnibus, settimanale edito dalla casa milanese Rizzoli e diretto da Leo Longanesi, in grande formato, uguale a quello dei quotidiani: in Italia è il primo esempio di settimanale moderno, improntato ad una logica di approfondimento delle notizie ed alla vivacità dei criteri di impaginazione e titolazione. Raggiunge le 70 mila copie ma viene chiusa d’autorità nel 1939, il suo posto è preso da Oggi, diretto da Arrigo Benedetti e Mario Panunzio, soppresso nel ’41. Nel ’39 esce il Tempo, diretto da Alberto Mondadori, con la collaborazione di Indro Montanelli; propone uno stile molto vicino al Life: stampa in rotocalco a tutta pagina, scritto con criteri giornalistici e meno letterari. Incalzato dal fascismo che intende forgiare una nuova italia, funzionale alle politiche demografiche del regine, si sviluppa un settore particolare di stampa periodica dedicato al mondo femminile; nascono: Amica, 1929, Rakam, Annabella e Grazia nel 1930 e Gioia nel 1938.

Dallo stile fascista i quotidiani si liberano man mano che passano attraverso l’intervento degli alleati, nelle mani di nuovi direttori e nuovi giornalisti Dopo il 1945 fiorisce una nuova stagione della stampa quotidiana e periodica, variamente legata ai gruppi antifascisti, che nel giro di pochi mesi raddoppia il numero di quotidiani italiani degli anni Trenta. Nel 1946 infatti sono 150 i quotidiani (contro gli 80 del 1936), diffusi secondo una mappa geografica che rispecchia quella della Resistenza: più di venti a Roma, diciotto a Milano, nove a Torino, otto a Genova. . Il capofila dei quotidiani è ancora il Corriere della Sera, con una tiratura di 500 mila copie e un nuovo direttore Mario Borsa.
Nel gennaio 1945 il posto dell’agenzia di stampa Stefani viene preso dall’

Associazione Nazionale Stampa Associata (ANSA), formata da una cooperativa di editori di quotidiani.

Nel 1946 la ricostruzione della Federazione nazionale della stampa conduce l’anno successivo alla stipulazione di un contratto nazionale che prevede il praticantato come via obbligata di accesso alla professione; la Costituzione, entrata in vigore nel 1948, sancisce all’articolo 21 la libertà di stampa, nel febbraio 1963 viene istituito l’Ordine dei giornalisti (organismo assente nella maggior parte delle nazioni, che si limitano a riconoscere le associazioni sindacali di categoria), come ente unico cui si accede per esame di stato.
La fisionomia prevalente è quella del giornale “generalista”, con pochi titoli e poche foto, centrato sul cosiddetto “pastone” politico: un riassunto delle principali prese di posizione dei partiti e delle istituzioni. Il caso italiano continua a sfuggire alla partizione, tipica degli altri paesi, tra una stampa popolare e una stampa d’élite: la tipologia di quotidiano che vi domina è infatti un ibrido tra due generi, che tuttavia non riesce mai a superare le ridotte tirature della seconda (Murialdi P. 1980).

Il giornalismo italiano continua a conservare il proprio tratto distintivo di fondo: una congenita e perdurante ristrettezza del mercato dei lettori di stampa quotidiana, testimoniata dal numero di copie di giornali che si mantiene stabilmente tra un terzo e un quarto rispetto quello degli altri paesi sviluppati
I settimanali conoscono una crescente fortuna nonostante il rapido moltiplicarsi delle testate e vanno in parte ad occupare lo spazio di una stampa popolare, assente tra i quotidiani. In testa è

La Domenica del Corriere, che nel 1957 tocca le 350 mila copie assestandosi sulle 600 mila fino agli anni Settanta; seguono Oggi, Tempo, Epoca e L’Europeo .

I cambiamenti in atto nel giornalismo.

L’esistenza di un mercato mediale comporta la crescita della competizione nelle imprese editoriali, con una conseguente ricaduta sui contenuti presentati, caratterizzati dall’allargamento dello spazio sociale rappresentato. Tutto questo si traduce nell’apertura, più o meno deliberata, dei giornali ad un pubblico più vasto (Sorrentino C., 2002). In Italia, negli ultimi anni, si è prodotta una forte concorrenza giornalistica, causata dalla televisione commerciale nonché dalla nascita, negli anni Ottanta, del giornalismo locale (Buonanno M., 1999).
In un paese dove tradizionalmente il giornalismo si è coniugato con ottiche elitarie e intenzioni pedagogiche, si assiste oggi a fenomeni di popolarizzazione. Questo processo segue una strada differente da quella che ha caratterizzato i paesi dove l’allargamento dei media, ha sempre prodotto una netta differenziazione nella tipologia dei contenuti tra informazione di qualità e informazione popolare. Nel caso italiano, l’evoluzione del sistema giornalistico ha comportato la definizione di un unico, anche se variegato, modello informativo, un ibrido, dove interventi dotti e raffinati si accompagnano a “pezzi” di evasione adatti al grande pubblico (Sorrentino C., 2002).