Trump, Zelensky e la dura lezione di Tucidide sull'Ucraina
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- ️Tue Mar 04 2025
Volti tesi, toni accesi, un presidente ucraino visibilmente in difficoltà davanti alle telecamere mentre Donald Trump, affiancato da un J.D. Vance scatenato lo incalzano senza pause. "Non siete in una buona posizione in questo momento". "Stai giocando con la Terza guerra mondiale". "O accetti un accordo o noi ci tiriamo indietro". La scena che si è consumata venerdì nello Studio Ovale è stata ben definita da Peter Baker del New York Times come qualcosa di del tutto inedito: "Seguo i lavori del presidente dal 1996. Non ho mai visto niente di simile davanti alle telecamere in tutto questo tempo".
Ma dopo l’indignazione – una reazione comprensibile e legittima, perché siamo umani – dovrebbe subentrare la razionalità. Dovremmo renderci conto che questo spiacevole episodio non è solo un attacco personale o una violazione del protocollo diplomatico. Per quanto questa “imboscata” possa sembrarci meschina e sgradevole, rappresenta anche la perfetta espressione di una realtà politica antica quanto la civiltà occidentale. Una verità scomoda per molti, ma che la storia continua a confermare: nella politica internazionale, il potere prevale sempre sui principi. Lo aveva già spiegato con straordinaria chiarezza lo storico greco Tucidide più di 2500 anni fa.
La legge del più forte, allora e oggi
Nel 416 a.C., nel pieno della guerra del Peloponneso, Atene decise di risolvere un piccolo problema con metodi spietati. L’isola di Melo, una colonia spartana, si ostinava a restare neutrale nel conflitto tra le due grandi potenze greche. Per gli ateniesi, non si trattava di una questione militare cruciale, ma di un principio: nessuno poteva sfuggire alla logica del potere senza pagarne il prezzo. Così inviarono una flotta di trenta navi e un esercito di quasi tremila uomini contro una comunità che contava poche migliaia di abitanti. Ma prima che le armi parlassero, ci fu un confronto verbale che Tucidide consegnò alla storia. Gli ambasciatori ateniesi non persero tempo con ipocrisie morali o giuridiche. La loro posizione era brutale nella sua chiarezza: il concetto di diritto esiste solo tra pari, mentre tra forti e deboli comanda solo una cosa: la forza.
Mutatis mutandis, la stessa scena si è svolta venerdì alla Casa Bianca. Una rappresentazione quasi teatrale delle leggi fondamentali della politica internazionale, dove Trump ha recitato grottescamente il ruolo che gli ateniesi interpretarono più di millenni fa. Ma se Trump e Vance hanno condiviso con gli antichi ateniesi la stessa brutale schiettezza nella sostanza del messaggio, manca loro completamente l'eleganza retorica e la dignità diplomatica che persino i più cinici imperialisti dell'antichità sapevano mantenere. Trump e Vance, al contrario, si sono comportati come bulli di quartiere, aggiungendo all'esercizio del potere un elemento di sadismo personale che sembra derivare più dalla reality Ttv che dalla tradizione diplomatica. Ma il culmine dello sfottimento lo si è avuto quando uno dei giornalisti più fedeli a Trump, con tono provocatorio, ha chiesto al presidente ucraino come si fosse permesso di presentarsi all’incontro senza un completo, insinuando che forse non ne possedesse nemmeno uno, suscitando le risate di J.D. Vance e degli altri presenti. Zelensky, con encomiabile aplomb, gli ha risposto che avrebbe indossato un abito quando la guerra sarebbe stata finita.
C'è poi un'altra differenza cruciale: il palcoscenico. Tucidide racconta che il dialogo tra ateniesi e melii avvenne in una stanza chiusa, davanti solo agli oligarchi dell'isola – e questo nonostante gli ateniesi avessero inizialmente chiesto un confronto pubblico. Essendo gli inventori stessi della democrazia, gli ateniesi avevano capito benissimo che questa forma di governo è intrinsecamente mediatica, ancor prima che esistessero i media moderni. La piazza pubblica, infatti, non premia necessariamente la giustizia, la moralità o l’efficacia delle idee, ma chi riesce a presentare “gli argomenti più attraenti”, quelli in grado di catturare l’attenzione e il consenso, e per fare questo – piaccia o non piaccia – è necessario un po’ di teatro. Trump e Vance, invece, hanno potuto condurre la loro umiliazione davanti alle telecamere, trasformando quello che avrebbe potuto essere un duro negoziato a porte chiuse in uno spettacolo pubblico di ludibrio, un roast-show come lo definiscono gli americani. Ma il messaggio non era rivolto solo a Zelensky: era indirizzato a tutti i leader mondiali e al popolo americano. L’America non è più il protettore del mondo libero, ma una potenza che tutela esclusivamente i propri interessi, senza più spazio per le buone maniere.
La trappola del diritto
Che ne fu dei Meli alla fine? Tucidide ci dice che scelsero di resistere fino all’ultimo, convinti che il diritto e la giustizia valessero più della forza. Rifiutarono di piegarsi alla legge del più forte, confidando nella loro indipendenza secolare e sperando nell’aiuto esterno. Ma la realtà della guerra fu implacabile. Gli Ateniesi, determinati a dare un segnale a chiunque osasse sfidarli, non si lasciarono fermare dai principi invocati dai Meli. Dopo averli assediati e sconfitti, sterminarono tutti gli uomini in età da combattimento, ridussero in schiavitù donne e bambini e cancellarono la loro città, rimpiazzandola con coloni ateniesi. La lezione di questa tragedia antica è brutale, ma ancora attuale: i principi, se non sostenuti dalla forza, rischiano di condurre alla rovina. E se i Meli pagarono il prezzo estremo per la loro fede nel diritto, oggi l’Ucraina si trova in una posizione non meno precaria.
Ma in questo caso, chi è il più forte? La partita non si gioca solo tra Mosca e Kyiv, e forse nemmeno tra Mosca e Bruxelles. Il vero confronto di lungo termine sembra essere quello tra Washington e Pechino. Per gli Stati Uniti, allora, l’equilibrio ideale potrebbe essere una Russia contenuta, ma non annientata, abbastanza isolata da non minacciare l’Europa, ma sufficientemente autonoma da non diventare un vassallo cinese. In questo scenario, l’Ucraina non è più il centro della contesa, ma una pedina in un più ampio ricalibramento geopolitico. Il suo destino potrebbe non essere la cancellazione, ma la strumentalizzazione: un mezzo per riaffermare l’egemonia americana, spingere l’Europa a maggiori spese militari e mantenere Bruxelles dipendente da Washington. L’umiliazione pubblica di Zelensky, più che un segnale di abbandono, potrebbe essere un modo per ridefinire i termini della relazione con Kyiv e con l’Europa. L’errore dei Meli fu credere che i principi bastassero a proteggerli. Oggi, l’Europa rischia di commettere lo stesso errore. Indignarsi non basta. Se davvero intende raccogliere la sfida lanciata dall’amministrazione Trump e impedire che l’Ucraina diventi la prossima vittima della legge del più forte, servono meno proclami e più capacità operativa: militare, economica e strategica.