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La storia deturpata su Wikipedia: il caso Presbite

  • ️@Wu_Ming_Foundt
  • ️Sun Jan 31 2016

In entrambi i discorsi si considera la lotta nazionale come una fatalità “naturale” dovuta alla vicinanza tra due etnie o razze. La “naturalizzazione” dei conflitti sta alla base dell’ideologia nazionale imperialista. A una lettura distratta, l’apparente equidistanza passa per obiettività, ma in verità essa afferma la stessa logica dell’apartheid e della pulizia etnica (cfr. John R. Bowen, Il mito del conflitto etnico globale): la guerra accadrà inevitabilmente, tanto vale impegnarsi subito per vincerla. Scelta nazionale, etnia, comunità di destino vengono mescolati come nel gioco delle tre carte, ma a uscire è sempre la carta dell’antislavismo.

Che a Trieste, a Gorizia e in Istria ci sia stata in età contemporanea una contesa nazionale è fuori di dubbio, ma essa fu solo una delle linee di frattura che attraversarono nel tempo la società di quelle regioni, e non sempre la più importante: accanto ad essa si dispiegavano la lotta tra classi e quella fra laici e cattolici, che tagliavano trasversalmente le appartenenze etniche, e a volte finivano invece per determinarle.

Peraltro, quando linee di frattura simili si presentano in epoche storiche diverse, non sempre le si può ricondurre a un’unica tradizione. Ad esempio, la lotta per l’affermazione fra le due borghesie italiana e slovena a Trieste a cavallo fra XIX e XX secolo non ha niente a che vedere con le tensioni nazionali del secondo dopoguerra, subordinate alle divisioni della guerra fredda. Voler individuare una frattura perenne ab origine che si conserva intatta nei secoli è una mistificazione in taluni casi ingenua, un eccesso di “presentismo”, ma il più delle volte corrisponde a una precisa progettualità.

Scrive Presbite nel suo sandbox (pagina di prova) per la voce “Incendio del Narodni dom” su it.wiki:

Le vicende che portarono al rogo vanno inquadrate all’interno della pluridecennale lotta per il predominio sull’Adriatico orientale fra popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene) e italiane, iniziata ancora nell’ambito dell’Impero austro-ungarico.

La storia è nota: il 13 luglio 1920, mentre Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stanno trattando per la definizione dei confini e D’Annunzio è a Fiume coi suoi legionari, a Trieste i fascisti di Francesco Giunta, con l’appoggio dell’esercito, assaltano e danno alle fiamme il grande edificio sede delle principali associazioni culturali ed economiche slovene, e devastano decine di esercizi commerciali e abitazioni private di cittadini appartenenti alla comunità slovena.

Secondo Gaetano Salvemini lo scopo dell’azione congiunta di fascisti e militari era proprio quello di sabotare le trattative che di lì a poco avrebbero portato al Trattato di Rapallo.
Secondo altri storici, ad esempio Annamaria Vinci, lo scopo era quello di disarticolare la borghesia slovena di Trieste, ritenuta incompatibile col nuovo ordine nazionale che si andava imponendo nella “Venezia Giulia”.

In ogni caso, come dice Renzo De Felice, l’incendio del Narodni dom fu «il vero battesimo dello squadrismo organizzato». Il contesto quindi è quello dell’espansionismo italiano nei Balcani, della «vittoria mutilata» nella prima guerra mondiale, del fascismo che dilaga dopo il «biennio rosso» 1919-1920.
Per Presbite, invece, l’incendio del Narodni dom va inquadrato nella «pluridecennale lotta» tra popolazioni slave e italiane per il predominio nell’Adriatico. L’imperialismo italiano scompare, come scompare il razzismo di Stato che di lì a poco sarebbe diventato il marchio di fabbrica del regime fascista sul confine orientale.

12. I «Campi dei Merli» delle nazioni

Nulla come la provata capacità di conquista può rendere conscia una popolazione della sua esistenza collettiva, diceva Eric Hobsbawm. Ma quando questa capacità di conquista non è per nulla provata ma permane la necessità di compattare un popolo dietro una velleità imperiale, essa si esprime sottoforma di vittimismo.

La battaglia del Campo dei Merli in un quadro di Petar Radičević del 1987, anno-chiave nell'uso politico del mito tecnicizzato di Kosovo Polje.

La battaglia del Campo dei Merli (1389) in un quadro di Petar Radičević del 1987, anno-chiave nell’uso politico del mito tecnicizzato di Kosovo Polje.

Ad esempio, l’epopea nazionalista serba ha trovato nell’esaltazione di una remota sconfitta, la battaglia del Campo dei Merli (Kosovo Polje) – collegata al declino e alla successiva scomparsa del medievale Regno di Serbia –, la giustificazione simbolica alle proprie moderne pulsioni nazionaliste più aggressive, paventando in alternativa la minaccia dell’estinzione etnica. Non a caso nel 1997, all’interno di una performance dei Laibach a Belgrado, il filosofo sloveno Peter Mlakar pronunciò uno dei suoi destabilizzanti discorsi žižekiani, che cominciava così:

Dragi Srbi,
Želim da vas pitam: kako to da je Srbija tako mala? Kako to da je posle svega što je dala i kroz šta je prošla – ovako sićušna i mala?

Cari serbi,
desidero chiedervi: come mai la Serbia è così piccola? Come mai, dopo tutto quello che ha dato e dopo tutto quello che ha passato – è così minuta e piccola?

L’irredentismo italiano ha sempre seguito lo stesso dispositivo: la sistematica negazione della dignità culturale dei popoli slavi dell’Adriatico orientale e la conseguente tendenza a negare i loro elementari diritti nazionali in Italia si è accompagnata al mito di una secolare infiltrazione e slavizzazione forzata ai danni degli italiani. Ogni pretesa di tutela avanzata da queste comunità viene restituita come prova patente di tentato annientamento.

È un classico bias di proiezione: si vedono e si temono continui tentativi di sopraffazione da parte dell’altro proprio perché si anela a sopraffare l’altro e viene “naturale” ritenere che l’altro la pensi nella stessa maniera. La mediazione culturale, il meticciato, la natura mutevole dell’identità escono semplicemente dal cono del proprio sguardo. Il vittimismo è inoltre il dispositivo psicologico attivato dalla mancata assunzione di responsabilità: si dà ampio spazio alle reazioni della controparte occultando le azioni che le hanno scatenate.

L'espansione a est dell'imperialismo italiano. Prima mappa: il confine orientale d'Italia fino al 1918. Tratta dal percorso tematico Il confine orientale d'Italia, 1797 - 1918, a cura di Franco Cecotti e Bruno Pizzamei, clicca per accedere.

L’espansione a est dell’imperialismo italiano. Prima mappa: il confine orientale italiano fino al 1918. Tratta dal percorso tematico Il confine orientale italiano, 1797 – 2007, a cura degli storici Franco Cecotti e Bruno Pizzamei, clicca per accedere.

Chi propugna la tesi dello scontro etnico ha quindi un pesante difetto di vista e occulta deliberatamente una volontà imperialistica o di potenza, celando dietro una disputa secolare fatale la responsabilità di una precisa scelta di aggressione.

L’Italia vide nei Balcani il proprio naturale terreno di conquista fin dalla firma della Triplice Alleanza, quando pretese compensazioni territoriali dall’Austria in caso di sue espansioni nei Balcani.
Si capisce così come il confine orientale e il mito della «vittoria mutilata» nella Grande guerra (perché il Trattato di Versailles concesse all’Italia meno territori di quelli che aveva chiesto in cambio dell’intervento) nella Grande Guerra siano diventati il campo dei Merli del nazionalismo italiano.

L’espansione a est dell’imperialismo italiano. Seconda mappa: il confine orientale dopo il Trattato di Rapallo del 1920. N.B. Con il pretesto della «italianità» dell’Adriatico orientale, l’Italia occupa anche parti di entroterra sloveno dove gli italofoni sono pochissimi quando non assenti. Mappa tratta dal percorso tematico Il confine orientale italiano, 1797 – 2007, cit.

Questo fervore nazionalista visse un’estate indiana anche dopo la seconda guerra mondiale con la questione di Trieste, per poi scomparire dopo il 1954, anno del “ritorno” di Trieste all’Italia.

Dopo quella data il nazionalismo sembrò ridursi al tifo durante i mondiali di calcio e alle beghe locali intorno al morente porto di Trieste, città che dopo aver occupato per decenni la ribalta nazionale, quasi scomparve dalle carte geografiche dell’opinione pubblica, assieme ai labari dell’irredentismo; solo i neofascisti seguitarono a mostrare una certa ossessione per l’argomento, fino a farne il loro unico cavallo di battaglia.

Quando negli anni ‘90 i neofascisti cambiarono nome e ritornarono al governo, riportarono il confine orientale all’ordine del giorno nazionale e, con la retorica della verità a lungo sottaciuta, ripresero né più né meno gli stessi slogan di 50 anni prima – un bordone che non avevano mai smesso di suonare. Dopo il primo governo composto da post-fascisti venne il turno del primo governo composto da post-comunisti, il quale, anziché avviare una riflessione sui crimini italiani nella seconda guerra mondiale (mai riconosciuti a livello istituzionale), come forse sarebbe stato lecito attendersi, si affrettò invece ad intonare il bordone degli ex-missini cercando, se possibile, di appropriarsene. Un processo iniziato col famoso discorso di Violante in occasione del suo insediamento alla presidenza della Camera nel 1996, in cui si equiparavano partigiani e repubblichini, e giunto all’apice col discorso del Presidente della Repubblica Napolitano in occasione del “Giorno del Ricordo” nel 2007, in cui si denunciava la pulizia etnica sul confine nordorientale – non in riferimento ai campi italiani di Gonars o Arbe dove di fatto la popolazione civile di interi villaggi sloveni e croati fu decimata, ma in riferimento alle cosiddette foibe, pazienza se la ricerca storica seria ne ha sempre smentito la natura di pulizia etnica.

11. Lo schema Rankovic: wikinazionalismo

Aleksandar Ranković fu comunista, in clandestinità, fin dall’adolescenza e fu imprigionato e torturato sia sotto la Jugoslavia monarchica che sotto i nazisti. Dal 1946, dopo la nascita della Jugoslavia socialista, diresse la famigerata UDBA, la polizia politica che si rese protagonista del cosiddettoperiodo dell’Informbiro, momento di grande incertezza politica e instabilità seguito alla scomunica della Jugoslavia da parte del Cominform nel 1948. Con il disgelo tra Jugoslavia e URSS dopo la morte di Stalin e la destituzione di Milovan Đilas, massimo propugnatore dello scisma da Mosca, l’UDBA di Ranković iniziò a concentrare il suo occhio repressivo sui funzionari di partito, probabilmente con l’intento di eliminare i potenziali rivali del suo direttore. Il potere di Ranković ebbe fine bruscamente nel 1966 quando Tito si accorse che persino il suo telefono era sotto controllo.

Aleksandar Rankovic

Ranković morì nel 1983; Tito l’aveva preceduto di tre anni e in Jugoslavia era già cominciato il processo di disgregazione. I nazionalismi serbo, croato e albanese stavano montando, e proprio al funerale di Ranković, a cadavere ancora caldo, la sua vicenda politica mutò improvvisamente di segno. La sua caduta in disgrazia fu interpretata retroattivamente come un prodromo di faida etnica: il siluramento di un serbo da parte di un croato (cioè Tito). La sua destituzione fu messa in diretta relazione con la cosiddetta “primavera croata” – movimento culturale nazionale croato fiorito ben un lustro dopo la sua caduta. Da parte croata, viceversa, si reinterpretò la sua figura come quella di un accentratore di potere strumentale all’idea della “Grande Serbia” – l’idea dei cetnici contro i quali Tito combatté durante la seconda Guerra Mondiale. Oggi queste interpretazioni, palesemente prive di ragione storiografica, sono entrambe compendiate nella pagina dedicata allo statista jugoslavo nella wikipedia inglese, evidentemente in ostaggio di una guerra fredda fra contributori filoserbi e filocroati.

I fatti storici possono rimanere punti fermi, ma la linea che li unisce si può modificare. Deviare le traiettorie della memoria storica collettiva è più facile di quanto si pensi: basta un po’ di fantasia, un po’ di paranoia, costanza, capacità di individuare le fonti pubbliche diopinion-making, nonché una certa conoscenza delle precedenti mistificazioni, per costruire un’illusoria concatenazione storica comebackground delle proprie bufale.

Si potrebbe obiettare che al cecchino serbo che mirava al passante croato a Vukovar nel 1991, di Ranković non gliene fregasse nulla, ma sarebbe un grave errore. Lo schema Ranković è insieme sintomo e tassello di una narrazione al cui interno una scelta contingente  e obiettabile – premere il grilletto – diventa una necessità in una falsa prospettiva storica di conflitto etnico permanente, per la quale se il cecchino non spara al passante, questi prima o poi sparerà a lui. Proprio l’occuparsi di fatti storici divenuti ormai marginali e inattuali, come la vicenda personale di Ranković, offre una superficiale illusione di profondità e quindi di autorevolezza storica. Più remoti saranno gli episodi storici, più si avrà gioco nel manipolarli impunemente, e più suggestione di realtà acquisterà la mistificazione davanti agli occhi del lettore ignaro. Significativo è anche il fatto che la “riqualificazione” della vicenda Ranković sia scaturita al suo funerale, ovvero alla scomparsa del primo testimone diretto degli eventi, prerogativa di questo genere di manipolazioni radicali.

Ciò spiega come Wikipedia, divenuta fonte primaria di documentazione dell’utente medio su fatti storici marginali e non, sia così permeabile ai nazionalismi e alle sue pesanti mistificazioni, campanello d’allarme di un processo di ri-nazionalizzazione galoppante degli immaginari nel mondooffline, ma anche terreno di scontro su cui in parte si gioca la riscrittura del passato e l’orientamento delle sensibilità dell’opinione pubblica.

La citazione dell’utente Presbite che apre quest’inchiesta è tratta dalla discussione relativa alla voce wikipediana Scontri di Maresego (evento storico che a dire il vero localmente è da sempre conosciuto come “Rivolta di Maresego”). Nel milieu neoirredentista quella che fu una reazione popolare, in un paesino istriano a prevalenza slovena, al violento squadrismo sul confine orientale, viene presentata come una mera aggressione antitaliana contro dei ragazzini che affiggevano manifesti per la campagna elettorale. La posizione di Presbite è apparentemente equidistante. Ma si dia un’occhiata all’intervento da cui è tratta la citazione. Vi è presentato un grottesco bilancio della campagna elettorale del 1921 in Istria:

«19 marzo: due adolescenti italiani a Strugnano – uccisi da fascisti
29 (?) marzo: due comunisti italiani a Buie – uccisi da fascisti
aprile (?): uno sloveno a Caresana – ucciso da fascisti?
15 maggio: tre fascisti italiani a Maresego – uccisi da sloveni
16-17 maggio: due sloveni nei dintorni di Maresego – uccisi da fascisti
Ricapitolando I:
Sette morti per mano fascista (uno dubbio)
Tre morti per mano “slava»
Ricapitolando II:
Sette morti italiani (quattro per mano fascista, tre per mano “slava»
Tre morti “slavi” (per mano fascista)»

Ignorando deliberatamente la duplice offensiva del fascismo di confine contro il movimento operaio e contro i cosiddetti “allogeni”, Presbite riduce il tutto ad un body count tra italiani e slavi: puro Schema Ranković applicato alla storia istriana.

10. Fascisti? Pfui… Dei ve’i igno’antoni, pa’ola mia. L’irredentismo-chic

Presentare le violenze fasciste come episodi “eccessivi” ma comprensibili nel quadro di un secolare conflitto etnico è grave e irresponsabile. Sarebbe tuttavia errato confondere questo tipo di manipolazioni con quelle fasciste tout court – di solito molto più grossolane. Ovviamente chi compie queste manipolazioni non è nemmeno antifascista; semmai ostenta una certa “insofferenza al fascismo”, principalmente per il fatto che il fascismo ha perso, irredimibile smacco al Made in Italy.

Dell’alleanza italiana con Hitler tale approccio disprezza soprattutto l’importazione del barbaro razzismo biologico, tragica trasfigurazione del “nobile” razzismo culturale irredentista. È una posizione che rende plausibile scagliarsi contro i negazionisti della Shoah, e al tempo stesso accusare di negazionismo delle foibe chiunque voglia riportare quel fenomeno ai fatti storici verificabili.

Sono gli irredento-chic, baby! A la page, molto glam, a volte con pose liberal e “di sinistra”. Indossano la giacca blu elettrico di Cristicchi, ma non riescono a scrollarsi di dosso l’odore di muffa dei vecchi volantini della Lega Nazionale. Sono gli interpreti perfetti di una congiuntura di generale revival risorgimentale favorito da anniversari “giubilari” e relative celebrazioni. Il 150° dell’unità è finito pericolosamente a ridosso del centenario della Grande Guerra, riportando in auge un equivoco di vecchia data: la Grande Guerra come compimento del Risorgimento, una continuità promossa dalla propaganda interventista e poi celebrata dal fascismo.

En passant, va fatto notare che nel 2011 è caduto anche il centenario dell’invasione italiana della Libia, avventura imperialistica che aprì la strada a un genocidio conclusosi vent’anni dopo. Di quella ricorrenza si è parlato molto, molto meno. Chissà perché.

9. Un Montenegro al Bar o una Crna Gora ad Antivari? Del perché su wikipedia non si trovano i nomi di certe località

Sta arrivando l’estate e il signor Luigi, un italiano qualsiasi, vuole farsi una vacanza al mare. Da amici che ci sono stati viene a sapere che il mare del Montenegro è particolarmente bello. I suoi amici hanno visitato Herceg Novi, Kotor e Ulcinj. Il signor Luigi chiede come ci si può andare. Gli amici rispondono:
– Prendi il traghetto da Bari e arrivi a Bar, il porto principale del Montenegro. Se vuoi andare a Ulcinj vai a sud, se vuoi andare a Kotor e Herceg Novi vai a nord. Se però hai tempo prosegui per la Croazia e vai a vedere Dubrovnik e Cavtat, la penisola di Pelješac e Ston, che sono bellissime.
Il signor Luigi ringrazia e si ripromette di informarsi meglio per organizzare il viaggio.

Bar, Montenegro

Semplice. Facile da ricordare. Solo che…

Passa qualche mese e i nomi pieni di consonanti straniere sono spariti dalla sua memoria. Si ricorda solo che il traghetto parte da Bari e arriva in una città che ha quasi lo stesso nome. Guarda su internet e sul sito dei traghetti trova la traversata Bari-Bar. Pensa:  visto che sbarco a Bar, vediamo cosa c’è là di interessante. Va su it.wiki e trova: Bar (pubblico esercizio); Bar (unità di misura); Bar di wikipedia (dove i redattori di it.wiki discutono tra loro e confrontano le idee); poi trova: Roll Bar (struttura protettiva in caso di capottamento della macchina); Temple Bar (quartiere di Dublino); Bar Mitzvah; Harry’s Bar; Confederazione di Bar (un’associazione settecentesca di nobili polacchi); e ancora: Bar Le Duc e Bar Sur Aube in Francia, il gruppo soul-funky Bar Kays, la modella israeliana Bar Refaeli, ma di Bar in Montenegro non c’è traccia.

Siccome Luigi non è espertissimo di internet, chiama suo figlio e gli dice:
– Io sul computer sono un po’ baziloto: come trovo questa Bar in Montenegro? Su wikipedia non c’è!
Il figlio gli spiega che su google deve cercare Bar, Montenegro e it.wiki. Luigi guarda il risultato, ma c’è qualcosa che non quadra: siccome è un po’ presbite, allontana il viso dallo schermo e legge:

«Antivari – wikipedia».

Luigi si arrabbia: – Ma io cerco Bar, non Antivari!
– Babbo, e ti calmi? Via,nell’i nternet trovi tutto! Però che ricerche pallojze che fai! Prova a guardare cosa dice il sito!
Luigi clicca e legge: «Antivari (in montenegrino Bar) è un comune sulla costa del Montenegro».

Ma vaffanculo – pensa Luigi –, da dove salta fuori ‘sto nome da supercazzola?
Pazienza. Si legge un po’ di informazioni su Bar/Antivari, poi siccome non ricorda nemmeno una delle altre località, ma a memoria gli sembra che una cominciasse con la cappa, una con l’acca e una con la u, decide di andare sulla mappa del Montenegro e le ritrova: Herceg Novi, Kotor e Ulcinj. Poi va su it.wiki per leggere che cosa può vedere in queste città e, nuova sorpresa: le tre città montenegrine appaiono come Castelnuovo, Cattaro e Dulcigno. Continua la ricerca con le località croate di Dubrovnik, Cavtat, Pelješac e Ston: le trova come Ragusa, Ragusa Vecchia, Sabbioncello e Stagno. Insomma, un casino: i nomi usati e conosciuti dai turisti non corrispondono a quelli su it.wiki.

Il signor Luigi a questo punto decide di cambiare la destinazione e il periodo delle sue vacanze: sceglie la Slovenia. Già ha delle difficoltà a trovare Cerkno, che it.wiki si ostina a chiamare Circhina, poi quando passando dalla Slovenia all’Austria sente sul bollettino meteo che il passo del Vršič è transitabile solo con le catene pensa: E a me che me ne importa? Io vado in Austria per il passo della Moistrocca! …e si ritrova bloccato e sommerso dalla neve.
A questo punto Luigi lascia definitivamente perdere wikipedia e per le vacanze future si compra la Lonely Planet.

Quello che è successo al signor Luigi è ciò che capita a chiunque cerchi una qualsiasi località della Dalmazia, dell’Alto Adige, molte località della Slovenia, del Montenegro e addirittura dell’Albania e della Grecia. Con un’opera tanto certosina quanto inutile (anzi, dannosa, in quanto un’enciclopedia dovrebbe puntare a facilitare più possibile la ricerca), i nomi di centinaia se non migliaia di luoghi nei Balcani sono stati italianizzati, rendendo decisamente più complessa la consultazione dell’enciclopedia libera.

È chiaro che qui non si vuole mettere in discussione l’utilizzo di nomi italiani quando questi sono in uso nel parlato comune: al pari di Londra o Parigi, che nessuno esprimendosi in italiano chiamerà mai London o Paris, è assolutamente sensato che città come Spalato, Sebenico, Lubiana, Pola, Capodistria, Bolzano o regioni come l’Istria e la Dalmazia appaiano in it.wiki con il nome italiano.
No, l’assoluta illogicità e scomodità si palesa in centinaia e centinaia di nomi di località che nessun italiano usa nel presente o addirittura che da secoli non hanno più quella denominazione, con risultati paradossali: Pirovac viene chiamato Pirovazzo o Slosella, nomi che nel parlato non si sentono più dai tempi della Repubblica di Venezia; il monte Jalovec e il Kanjavec si trovano sotto i nomi di Gialuz e di Cima degli Agnelli (un amico rocciatore ci ha spiegato che usare in ambito alpinistico questi nomi corrisponde a chiamare l’Inghilterra Albione). Con risultati finali al limite del comico: il porto greco di Igoumenitsa appare come Gomenizza; Iraklion, capoluogo di Creta, viene chiamata Candia (nome che la città ha smesso di avere dal 1669, quando Creta fu conquistata dai turchi); la macedone Ohrid è presentata come Ocrida. E addirittura ci furono feroci discussioni perché qualcuno sosteneva che il Kosovo dovesse essere inserito in it.wiki come Cossovo

Sono nomi che non hanno più alcun uso pratico, in certi casi le località non sono più chiamate così dalla peste del 1347 che spopolò la Dalmazia, in altri il nome italiano fu imposto durante l’italianizzazione forzata attuata dal fascismo, per cancellare la presenza slovena e croata (e tedesca) dal territorio, in altre ancora sono denominazioni militari mai usate nella pratica. Il redirect permette comunque (nella maggior parte dei casi) di trovare la località cercata anche digitando su google il nome attualmente in uso, ma il fatto che la denominazione italiana appaia come quella principale dimostra che lo scopo di quest’operazione è pericolosamente nazionalista e neoirredentista. Di più: il redirect acquista la sinistra funzione di restituire nella “giusta forma italiana” il toponimo “erroneamente digitato in lingua allogena”.

L’obiettivo finale di questa operazione è dimostrare che tutto l’Adriatico orientale (e, perché no, la parte della Grecia appartenuta alla Repubblica di Venezia) è storicamente italiano, delegittimare storicamente la presenza sul territorio di chi vi abita oggi, e rendere familiari ai lettori queste denominazioni obsolete.

Una conferenza di storia istriana e dalmata intitolata Sulle tracce della Serenissima, 2010.

«Sulle tracce della Serenissima», una conferenza come tante, «duecento anni di storia istriana e dalmata», Isola, 2010. Passa anche in consessi formalmente non diversi da questo, mimetizzata in discorsi “innocenti” e di pura divulgazione, la tecnicizzazione del mito che sta alla base di nuovi revanscismi.

Considerando che, come si è già osservato, la maggior parte degli italiani informatizzati per fare una qualsiasi ricerca si documenta su wikipedia, il potenziale propagandistico di una scelta come questa è enorme, pericoloso e fondamentalmente antistorico, in quanto la rivendicazione degli ex domini della Serenissima parte dall’equivoco – costruito ad arte durante il Risorgimento e ulteriormente sfruttato dal fascismo – che l’Italia sia la legittima erede della Repubblica di Venezia, laddove sia come struttura statale, sia come entità culturale e linguistica questa consequenzialità è tutta da dimostrare.

Il gruppo che si è dato da fare per questa vasta quanto pericolosa operazione include, tanto per cambiare, il solito Presbite, che si è autoproclamato per acclamazione massimo esperto del confine orientale su it.wiki. Contraddicendo le linee guida dell’enciclopedia libera secondo cui l’italocentrismo è da evitare, e ignorando la raccomandazione di utilizzare per le località relative all’Adriatico orientale i nomi italiani qualora vi sia una popolazione italofona autoctona (anche se minoritaria), questi wikinazionalisti hanno italianizzato tutto il territorio, a prescindere dall’attuale presenza italiana, anche località e zone dove la popolazione italofona è estinta da secoli, oppure territori greci (le isole del Dodecaneso), sloveni o croati in cui la popolazione italiana fu una minoranza risibile durante il periodo di amministrazione italiana.

Per questa italianizzazione toponomastica Presbite & Ca. si sono basati su fonti parecchio discutibili. In primis i due libri di Dario Alberi Istria, storia, arte, cultura e Dalmazia, storia, arte, cultura (Lint Editoriale, Trieste) e quello di Alberto Rizzi Guida alla Dalmazia. Arte, storia, portolano (Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata). Nell’introduzione alla guida sull’Istria, l’autore Dario Alberi scrive:

«ciò che mi ha spinto a questa fatica […] è stata la consapevolezza che tante persone […] non sono in grado di poter conoscere l’Istria un po’ più profondamente di quanto riportato dalle scarse, scarne e non sempre obiettive pubblicazioni turistiche iugoslave in lingua italiana; l’editoria italiana […] sembra abbia considerato l’Istria non facente più parte del nostro mondo. Fa rabbia a un triestino o a un giuliano sentire un padovano o un friulano che chiede la strada per Koper o per Motovun, mentre quasi mai un italiano parla di London, Paris, Beograd o Athina. Perciò alla fine dell’opera ho ritenuto opportuno inserire un glossario che riporta in italiano i nomi delle località, anche per futura memoria.»

È evidente l’inopportunità di usare un testo con queste premesse proprio per dirimere le questioni che riguardano l’obsolescenza degli esonimi italiani d’oltre confine! Di fatto però il glossario in appendice alla guida di Alberi diventa la bibbia per it.wiki grazie a Presbite, che ripeterà a spron battuto, come un mantra, che queste pubblicazioni sono il non plus ultra per quanto concerne l’adriatico orientale, senza accettare obiezioni.

Nella loro ossessione italianizzatrice i neoirredentisti informatici, oltre che sui libri di Alberi e Rizzi, si basano su pubblicazioni di epoca austro-ungarica (del tutto tabù invece quando riportano nomi esclusivamente slavi), su mappe catastali asburgiche, su portolani veneziani, su documenti fascisti, alla faccia delle linee guida di wikipedia che, rispetto ai toponimi italiani al di fuori dell’Italia, consiglia l’uso di enciclopedie, atlanti o carte geografiche edite non prima del 1950.

Ad ogni modo, anche questi documenti antichi dimostrano ben poco della composizione etno-linguistica del territorio. Solo per fare un esempio, Imotski, cittadina al confine tra Croazia ed Erzegovina, da sempre a maggioranza croata, viene italianizzata Imoschi sulla base di una mappa tavolare austriaca della prima metà dell’800, fatto che dimostra unicamente l’italianità di chi redasse la mappa, visto che i rilevatori si limitavano a scrivere i nomi delle località nella grafia che era loro più familiare.

Interessante è pure il fatto che questi collaboratori di wikipedia, acerrimi sostenitori dell’italianità dell’Adriatico orientale e dell’Alto Adige, si guardino bene dal modificare le voci relative alla Val d’Aosta, ad esempio Courmayeur in Cormaggiore e Saint Vincent in San Vincenzo della Fonte, ben consapevoli del ridicolo a cui andrebbero incontro se fossero veramente coerenti nella loro opera di paladini dell’italianità.

A una ricognizione di massima nelle varie wikipedia europee si nota che solo in quella italiana è presente uno zelo così ossessivo nel voler nazionalizzare il nome di località che appartengono ad altri Stati. Situazioni simili sono reperibili soltanto nella wikipedia ungherese, in quella greca e ancor più in quella polacca, dove il nome magiaro di paesi della Transilvania, della Slovacchia e della Vojvodina, quello greco di paesi della Turchia e quello polacco di paesi ucraini viene utilizzato come prima denominazione con lo stesso fine revanscista-nazionalista di Presbite e combriccola.
I neoirredentisti ungheresi, greci e polacchi, tuttavia, non sono ancora riusciti a spingersi alla magiarizzazione, grecizzazione o polacchizzazione di qualsiasi località con il parossismo degli italiani.
Per fortuna, invece, estranea al nazionalismo on line sembra al momento de.wiki che si limita, seguendo correttamente le indicazioni dell’enciclopedia libera, a segnalare con il nome tedesco solo le città più grandi (Breslau, Danzig, Posen), fornendo invece come primo indirizzo il nome attuale (polacco o russo) delle cittadine e dei paesi più piccoli passati sotto la Polonia o la Russia dopo la seconda guerra mondiale. Addirittura Memel, città anseatica e all’epoca del Reich guglielmino porto più a nord della Germania, appare con il nome lituano di Klaipeda.

Il confine orientale è stato uno dei terreni di coltura del fascismo delle origini e una delle sue armi di propaganda. L’attuale utilizzo di wikipedia a fini nazionalisti e neoirredentisti sembra quasi una replica in salsa tecnologica degli stessi mezzi di propaganda che furono usati dopo la Grande Guerra per realizzare un senso di appartenenza italiano di massa, e contemporaneamente creare una massa di manovra favorevole al regime autoritario che veniva a profilarsi.

Diversi contributori sono insorti nel tempo contro questi assurdi esonimi e il loro criterio, sia nelle singole voci, sia al Bar di wikipedia, sia nella discussione sulle linee guida degli esonimi, ma tutto si è risolto sempre con un nulla di fatto. A fare ostruzionismo con lo specifico intento di smontare qualsiasi soluzione troppo conciliante con la toponomastica slava o non italiana sono stati nel tempo diversi contributori di evidente estrazione nazionalista, ma unlandmark preciso lo stabilì il solito Presbite in una delle discussioni relative al porto dalmata di Dubrovnik e alla liceità dell’uso del desueto Ragusa come titolo della voce. Qui Presbite proclamò le summenzionate guide di Rizzi ed Alberi, ma soprattutto la toponomastica da esse adottate, come fonti imprescindibili a cui adeguare l’attualità della toponomastica nell’Adriatico orientale, fiancheggiato in questo da un gruppo di contributori che trovano un ideale punto di incontro nel Progetto: Storia/Venezia Giulia e Dalmazia.

Tale progetto nasce da un’idea dell’utente Barba Nane – il quale tenta prima di chiamarlo “Istria Fiume Dalmazia”, poi, contrastato da Crisarco, vira verso la meno compromettente denominazione attuale – e porta a costruire l’omonimo portale nel giro di un anno.
All’inizio Crisarco denuncia la gratuità e il POV del progetto, ma attorno a Barba Nane si crea un gruppetto di supporter che insieme riescono a respingere le accuse. In breve tempo Presbite diviene il punto di riferimento del progetto.

Eppure il POV è immanente allo stesso progetto anche per il solo fatto di mettere sotto la propria lente le voci riguardanti le terre “un tempo italiane” dell’Adriatico orientale, proponendo “un’omogenità di stile” per la loro compilazione. Il gruppo si configura come una task force che monitora le voci strategiche, ritrovandosi spesso a discutere e segnalare “manipolazioni slavocomuniste” al wiki-Bar Cafè Tommaseo.

8. Sapevate che Tito era il comandante in capo della RAF? Sapevatelo su it.wikipedia

La Dalmazia è una regione meticcia di forte e storica impronta slava, croata ma con presenze significative serbe, montenegrine e bosgnacche – questo almeno prima della catastrofe delle guerre etniche degli anni ’90. La regione vantava pure minoranze albanesi e valacche che ne impreziosivano il peculiare melting pot, nel quale rientrava anche una minoritaria presenza costiera veneta, l’unica componente non autoctona o non conseguente a processi migratori bensì a una dominazione coloniale, ancorché radicatasi nel corso di tre secoli, non diversa da quella esercitata dalla Repubblica di San Marco su Creta, Cipro e tante altre terre che nessuno, si spera, oggi si sognerebbe di rivendicare come italiane.

Nell’antichità la regione fu la terra degli oscuri illiri, lontani avi degli odierni albanesi. In seguito alla dominazione romana e bizantina si sviluppò una cultura neoromanza che tuttavia si estinse in epoca premoderna, sopravvivendo fino al XIX secolo solo in alcune oasi, analogamente alla cultura ladina sulle Dolomiti. Proprio come la cultura ladina è estranea alla cultura nazionale italiana così questa antica radice neolatina non ebbe nulla a che fare con la cultura veneta. Ciononostante la pubblicistica non scientifica italiana, specie se vicina ad associazioni di esuli, mischia volentieri coloni veneti e antichi dalmatici al fine di presentarli come una continuità nazionale italiana millenaria, totalmente priva di riscontri storici, volta a dare alla regione il carattere di un’italianità mai esistita. Effetto prodotto anche da guide e studi storico-artistici che capziosamente associano Istria e Dalmazia – due regioni storicamente e pure geograficamente molto distanti. Proprio il carattere slavo e misto di questa terra ne farà nell’ottocento la culla ideale del movimento illirista, primo bocciolo dello jugoslavismo, l’ideale di fratellanza dei popoli slavi del Sud.

Se, per dirla con lo storico Federico Chabod, già l’irredentismo di per sé costituì una territorializzazione degli ideali universalistici di libertà dei popoli propri del Risorgimento repubblicano, è pur vero che al principio, nella seconda metà dell’ottocento, esso si configurava ancora come un movimento antagonista, antimonarchico e antisistema con addentellati persino nel mondo anarchico. Proprio l’obiettivo Dalmazia costituì lo spartiacque, il punto di non ritorno, nel passaggio dall’irredentismo mazziniano al nazionalismo imperialista alla Timeus.

L’espansione a est dell’imperialismo italiano. Terza mappa: nel 1941 l’Italia fascista, insieme alla Germania hitleriana, attacca il Regno di Jugoslavia e, tra le altre cose, annette parte della Dalmazia. N.B. In Dalmazia gli italofoni – quasi tutti abitanti a Zara – non superarono mai il 5% della popolazione. Nel 1910 nella regione si contavano 18.000 italofoni e ben 677.000 slavofoni (parlanti il croato o il serbo come prima lingua). Eppure, anche oggi, c’è chi dice che la Dalmazia (tutta) «fu sempre italiana». Mappa tratta dal percorso tematico Il confine orientale italiano, 1797 – 2007, cit.

Se la rivendicazione di Trento e Trieste, o finanche del litorale istriano occidentale, data la nutrita comunità italiana presente in quei luoghi, poteva ancora essere ricondotta all’ideale dell’unificazione nazionale – seppur con qualche forzatura per l’altrettanto cospicua presenza non italiana – la pretesa della Dalmazia, territorio quasi esclusivamente slavo, sancì lo slittamento ideologico dal diritto all’autodeterminazione alla volontà di potenza nazionale/imperiale, destinato a permanere come preciso marcatore: anche allo scoppio della prima guerra mondiale la Dalmazia costituì la discriminante netta fra nazionalisti-imperialisti e interventisti democratici.

La parola «Dalmazia» rimarrà una spia nascosta dell’imperialismo di ieri fino ai giorni nostri: «Istria Fiume Dalmazia – ritorneremo» diventerà un classico slogan delle tifoserie neofasciste, e anche il suffisso «-dalmata» nelle associazioni di esuli istriani e fiumani fu da subito molto ambiguo, specie per la mancata accettazione del trattato di pace di gruppi come l’ANVGD (Associzione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia). Tale suffisso era unicamente giustificato dall’inclusione degli zaratini nelle categorie dell’esodo, pur essendo stati questi ultimi sfollati da Zara in seguito ai bombardamenti angloamericani del 1943-1944, quindi per ragioni molto diverse da quelle politiche, sociali ed economiche che spinsero all’esilio parte degli istriani e dei fiumani nel dopoguerra.

L’inclusione della vicenda zaratina nel bordone degli esuli sfuggiti al genocidio slavo portò alla formulazione della tesi più delirante fra quelle partorite in seno all’associazionismo esule istriano: i bombardamenti alleati sarebbero stati comandati nientemeno che da Tito in persona al preciso scopo di sterminare gli italiani di Zara, spina nel fianco nel corpo slavo della Dalmazia.

Queste farneticazioni furono compendiate nel libro I bianchi binari del cielo di Antonio Cattalini (1965). Già nel 1980 l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli – Venezia Giulia nel saggio Storia di un esodo (pp.46-47) liquidava così le tesi di Cattalini:

«È un dato di fatto però che l’affermazione di Cattalini sull’esistenza di un piano preordinato da parte degli jugoslavi per distruggere Zara, non fornendo prove concrete, costituisce una presa di posizione aprioristica portata alle estreme conseguenze, che ha il suo perno nel disprezzo e nell’odio verso le popolazioni di nazionalità slava; egli probabilmente riprendeva e faceva sua una voce corrente nella cittadina in quei giorni, forse diffusa e alimentata dalle autorità fasciste locali, per rafforzare il consenso fra la popolazione. Sono affermazioni le sue che non si basano infatti su un materiale documentario che sia conosciuto, ma sembrano derivare soprattutto da una concezione che vede nella lotta dei popoli slavi una innata volontà snazionalizzatrice nei confronti dell’elemento italiano.»

La tesi del piano preordinato slavo messo in atto dalla RAF e dall’USAF, come se britannici e americani fossero sprovveduti e ignoranti garzoni di bottega degli “slavocomunisti”, rimase confinata al mondo esule, finché Enzo Bettiza la presentò all’inclito nazionale nel suo bestseller Esilio del 1996. Si tratta di un libro di memorie, un’opera letteraria senza pretese storiche dove l’autore si è limitato a esporre la tesi senza farla propria – peraltro poche pagine prima aveva anche vagheggiato l’idea che la distruzione di Zara fosse stata causata nientemeno che da una maledizione lanciata sulla città da sua madre…
Su wikipedia Presbite ha però preso Bettiza e Cattalini come fonti, accanto ad altre simili (per esempio il missino Oddone Talpo e oscure traduzioni dalla pubblicistica croata), per confezionare quello che doveva essere il suo gioiello, la voce “Bombardamenti di Zara ”.
Osserviamolo da vicino.

L’autore, anziché inquadrare l’oggetto nel suo contesto storico immediato – la seconda guerra mondiale e l’invasione della Jugoslavia -, allarga il background temporale fino al termine della prima guerra mondiale, parlando di vecchie contese nazionali incomprensibili, allo scopo di spiegare uno scenario bellico che vedeva contrapposti bombardieri angloamericani contro caccia nazisti – come se si volesse redigere una voce sulla Battaglia di Stalingrado partendo dalle campagne napoleoniche. Ovviamente lo scopo di questa premessa si palesa nel paragrafo “Cause dei bombardamenti e controversie ” dove viene citata la famosa tesi del genocidio titino a mezzo bombardieri alleati.

Da notare che ufficialmente l’autore prende le distanze da suddetta tesi affermando come essa sia «spesso stata presentata in modo semplicemente declamatorio», sottile escamotage che attribuisce unicamente al tono e non al contenuto stesso l’inammissibilità di tale teoria.
Da notare anche che l’intera sezione si snoda attorno a un presunto dibattito sulla liceità o meno di tale ipotesi “genocidiaria”, di fatto attribuendole una rilevanza surreale. Peraltro la presunta tesi opposta – “motivi militari” – viene squalificata come tesi “giustificazionista” di parte ultra-nazionalista croata. Quella che potrebbe essere la più rilevante tesi opposta – il progetto di uno sbarco alleato in Dalmazia rimasta sul tavolo almeno fino all’ottobre 1944 – non è nemmeno menzionata. Invece Presbite si dilunga in altre varianti inconsistenti, parla di una presunta informazione ingannevole fornita dai partigiani all’aeronautica alleata, come se ai suoi comandi ci fossero stati dei completi fresconi.

In generale l’assunto secondo il quale la città sarebbe stata spazzata via dai bombardamenti su mandato titino non viene contestata (anzi viene avvalorata dalla riproduzione di un radiomessaggio alleato nel quale è riportata una richiesta di Tito, come se ciò bastasse). Solo il “movente” è messo in discussione: genocidio o… buh? Peraltro, come abbiamo ricordato sopra, la stessa struttura della voce a partire dall’impostazione del contesto storico è architettata per fornire background e motivazioni proprio alla prima ipotesi.

Nel gennaio del 2009 l’autore stesso propone «immodestamente” (cit.) di inserire la voce nella vetrina di wikipedia, ovvero un riconoscimento di qualità che permette alla voce di essere linkata in modo ciclico direttamente sulla homepage della wikipedia italiana. L’istanza ha successo ma dopo poco più di un mese un utente (WlaFoca) apre nella talk una contestazione per ingiusto rilievo (vedi link) relativa alla sezione “Cause”. L’utente, senza approfondire le fonti, si limita a sottoporre al vaglio del buonsenso i dati sciorinati nella voce. I presupposti della presunta controversia storica riguardo a Zara sarebbero infatti dovuti, secondo Presbite, all’irrilevanza strategica del porto dalmata, in contrasto con l’entità della distruzioni che farebbe di Zara, a sua detta, la città italiana più devastata nell’intera guerra.
Tutto parte insomma dal quesito: come mai tanto accanimento da parte dei bombardieri alleati?

L’utente WlaFoca si limita a rilevare come il complessivo quantitativo di bombe sganciato su Zara nell’arco di due anni (poco più di 500t) corrisponda alla metà del quantitativo sganciato su Roma nel corso  del solo 19 luglio 1943; anche la cifra complessiva dei suoi caduti, 400 portati fino a 1000 (e dagli esuli, manco dirlo, a 4000!) confrontati ai 20.000 morti di Foggia nel ’43 non gli «sembra talmente eccezionale dal poter invocare il crimine massimo dell’umanità, il genocidio”. Pure l’entità della distruzione (80% della superficie edificata) rapportata alla scarsa importanza della città viene smontata con il semplice paragone con il bombardamento di Treviso, dove lo stesso effetto si sarebbe prodotto nel corso di una singola giornata.

Ai rilievi dell’utente, Presbite risponde con attacchi personali, vaghe minacce disciplinari e giochetti retorici. Soprattutto stronca la contestazione con la puerile contro-accusa di «non aver letto nulla di nulla sull’argomento», e di non aver portato alcuna nuova fonte ma di essersi unicamente basato sulla ragione! «vuoi modificare la voce? Modifica la voce, seguendo per cortesia le regole di WP, e cioè: fa’ parlare le fonti! Non hai fonti a disposizione? Mi dispiace, ma allora non credo tu abbia gli strumenti sufficienti per modificare alcunché”. Nonostante l’inconsistenza della difesa la controversia viene archiviata, e anche grazie al sostegno di altri wikipediani, la voce rimarrà in vetrina per ben cinque anni.

Ma wikipedia cresce e con essa gli standard qualitativi della vetrina. Un moderatore (Pèter) avvia una segnalazione per togliere alla voce il riconoscimento di qualità. Presbite, promettendo consistenti miglioramenti alla voce (che non arriveranno mai), inizia a contrastare la procedura difendendo la sua “creatura” con i denti, alzando progressivamente i toni, mettendo in scena il solito repertorio di creativistraw man arguments, e arrivando ad insinuare un accanimento personale del moderatore Pèter (evidentemente la faida etnica è una scusa buona anche per le diatribe su wikipedia…).
Gli utenti Pèter e Stonewall, curatori del portale Guerra, rispondono con pazienza illustrando accuratamente

«la non adeguatezza alle convenzioni di stile, la superficialità del contesto storico, il nullo o quasi approfondimento del lato militare (che in una voce del Progetto Guerra appare quanto meno bizzarro) e la mancanza di verificabilità di diverse note inserite.»

Presbite risponde lamentandosi di non aver inserito lui la voce nel progetto Guerra (Pèter gli risponde: «dove avrebbe dovuto essere inserita una voce relativa a bombardamenti? Nel Progetto Cucina?»), inizia a vacillare e a pronunciare profonde dichiarazioni apodittiche che fanno quasi tenerezza («tutte le fonti dicono che…»,«non esistono altre fonti oltre a quelle da me riportate…»). Ma Stonewall va giù duro: da navigato contributore di voci a tema bellico chiede tipo di forze aeree e reparti (wing, squadron) impegnate nelle missioni di bombardamento su Zara (come ad esempio è fatto in altre voci: Operazione Tidal Wave),

«chi le comandava, come si svolgevano (da dove partivano, che rotte seguivano, che contrasto affrontavano, non solo su Zara ma anche lungo i pericolosi percorsi di accesso agli obiettivi), da chi erano decise. Quest’ultimo sembra un punto centrale; se erano auspicate da Tito come ovviamente gli irridenti anticomunisti viscerali sbandierano, queste richieste di Tito a chi arrivavano? Da chi erano discusse? Da chi approvate? Quale era la catena di comando? Quale il ruolo dei politici anglo-americani? Perché le (ipotizzate) richieste di Tito furono approvate?».

Presbite va in crisi, chiede aiuto a un altro utente (Demiurgo) che per un po’ gli fa da spalla, ma perlopiù balbetta, dice che i dati richiesti sono ignoti, arriva persino ad ammettere che sono gli aspetti politici e non quelli militari ad essere realmente rilevanti sull’argomento!

Mentre Presbite bercia insulti, accusa gli altri di non conoscere le fonti e si autoproclama massimo esperto del confine orientale, i suoi avversari iniziano a recuperare dati: numero identificativo degli squadroni operativi nella zona, rotte, basi di partenza, perdite, tutti dati palesemente ignorati da Presbite e facilmente reperibili da chi sa dove cercare (significativo il fatto che Presbite dichiarasse con assoluta sicumera l’assenza di contrasto aereo tedesco, quando nel giro di qualche ora ne viene facilmente reperita la contraria evidenza nelle fonti pubblicamente consultabili).
Emerge soprattutto come ogni bombardamento alleato scaturisse da una pianificazione effettuata sulla base di «una serie di fonti diverse, ufficiali di collegamenti alleati, ricognizioni aeree, decrittazioni Ultra», un complesso dove le richieste dei partigiani venivano prese cum grano salis, com’è lecito attendersi.
Salta fuori che alcuni bombardamenti segnalati meticolosamente in voce risultano farlocchi . Presbite sbraita contumelie, ma è bloccato, sa che aggiungere dettagli significa evidenziare sempre di più l’assoluta cialtroneria con la quale è stata redatta la voce e soprattutto il suo assurdo POV fondante.

Morale della favola: nel giro di poco tempo la voce viene sbattuta fuori dalla vetrina. Ma quella che potrebbe apparire come una vittoria di Wikipedia per Presbite è una “sconfitta di Pirro”: la voce rimane pur sempre lì e soprattutto rimane in vetrina nel Portale Venezia Giulia e Dalmazia. Non solo, ottiene il massimo dei voti nel monitoraggio di qualità di detto progetto, che si rivela essere il feudo personale di Presbite.

Soprattutto all’inizio della procedura di segnalazione, nel subdolo tentativo di annullamento della segnalazione di Pèter da parte dell’utente Pigr8 si evidenzia una delle funzioni del relativo Progetto: presidiare le voci sull’Adriatico Orientale. Presbite dirige gli altri, disciplinandoli ad una forte idea di progettualità, per esempio respingendo l’irredentismo“un tanto al chilo”. Come dichiara in questa discussione sui Dalmati italiani, il suo scopo “è sempre stato quello di scrivere delle cose inattaccabili sulla Dalmazia“. Attenzione, non cose vere, non cose ragionevoli, non cose eque o problematiche: cose inattaccabili. Da qui la sfida personale che ha lanciato proprio su Giap a ricercare sue patenti falsificazioni, come se il problema non fosse il suo POV pushing, ma lo stile mediante il quale lo impone. Falsificare è perdente quando con l’interpolazione e l’omissione si ottengono risultati ben più efficaci.

7. Come la nonna di Tuco divenne irredentista a sua insaputa. Storia di un campo profughi

Probabilmente, a chi legge, il nome Wagna non dice niente. Si tratta di una piccola località della Stiria in cui tra il 1914 e il 1919 fu allestito un grande campo profughi per gli sfollati dal fronte dell’Isonzo e dalla piazzaforte di Pola (base della marina austro-ungarica). Il campo giunse a contenere fino a 20.000 persone, in gran parte di nazionalità italiana, ma anche di nazionalità slovena (circa il 10% del totale). Faceva parte di una rete di campi sparsi nelle zone centrali dell’Impero, che ospitarono complessivamente diverse decine di migliaia di rifugiati di tutte le nazionalità (italiani, sloveni, croati, rumeni, ucraini, polacchi…) privi di mezzi di sostentamento. Oltre ai campi profughi, in varie località dell’Impero furono costruiti un certo numero di campi di internamento, destinati ai sospetti politici e agli stranieri abili alle armi (in questo caso i numeri sono molto più piccoli: per quanto riguarda gli italiani siamo nell’ordine di alcune migliaia, contro i circa 40.000 profughi ospitati nei campi e i 100.000 profughi sistemati presso abitazioni private).

Il campo profughi di Wagna in una foto del 1914. Prima dell’arrivo di italiani e sloveni, era già stato usato per accogliere profughi polacchi.

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che nei campi profughi la mortalità fu molto alta, soprattutto durante la prima caotica fase di evacuazione e di smistamento, a causa delle frequenti epidemie di tifo e di colera. Nell’autunno 1915 la mortalità raggiunse in diversi campi picchi del 100‰/anno, contro una media del 20‰/anno riferita all’intera popolazione dell’Austria. Negli anni successivi, grazie a una più attenta profilassi delle malattie, si stabilizzò intorno al 30‰/anno, contro una media riferita all’intera popolazione dell’Austria salita nel frattempo al 26‰/anno. Inoltre i profughi erano sottoposti a un regime di semi-segregazione e la loro forza lavoro veniva sfruttata largamente nel contesto dell’economia di guerra. La struttura gerarchica, l’onnipresenza della polizia e i criteri classisti utilizzati nell’assegnazione degli alloggi contribuirono a trasformare i campi in una sorta di prefigurazione della società a venire nel dopoguerra.

Perchè parliamo di Wagna? Perché Wagna – o meglio: una ricostruzione falsa e mistificatoria di ciò che fu Wagna – ha un ruolo importante nella mitografia neoirredentista. Secondo la vulgata, gli austriaci deportarono in massa a Wagna la popolazione di Pola, “in quanto italiana”. Alcuni si spingono a parlare di “genocidio asburgico”, di un progetto secolare di annientamento degli italiani dell’Adriatico orientale, portato avanti dagli austriaci con la complicità degli “slavi”. Slavi che poi avrebbero completato l’opera con le foibe, ecc.

Il “problema” di questa vulgata è che a Wagna non c’erano solo italiani, ma anche sloveni.
Un altro “problema” è che solo una parte degli italiani di Wagna proveniva da Pola: gli altri provenivano dal Monfalconese e da Gorizia.
E un altro “problema” ancora, è che oltre a Wagna nell’Impero c’erano decine di campi analoghi, alcuni destinati esclusivamente a sloveni e croati, altri agli ucraini della Galizia, e così via.
In particolare, visto che a Pola la popolazione era mista, per i croati di Pola fu allestito un campo specifico a Bruck an der Leitha. Questi fatti sono ben noti praticamente da sempre a chi vive sul confine orientale, anche se la storiografia si è occupata solo di recente in modo sistematico della questione dei profughi durante la grande guerra (si veda ad esempio: F. Cecotti “Un esilio che non ha pari”. 1914-1918. Profughi, internati ed emigrati di Trieste, dell’Isontino, dell’Istria, Goriziana editoriale, Gorizia, 2001).

Ma la “storiografia” parallela dei neoirredentisti è, e deve restare, impermeabile alle ricostruzioni fattuali. Così, quando nel 2012 RossanaBianchi – uno dei tanti “sockpuppet” (identità fittizie) dell’utente Brunodam – scrive su wikipedia una voce dedicata a Wagna, la intitola “Campo di concentramento asburgico di Wagna”. E poi la infarcisce di falsità. Infine, la abbellisce con citazioni farlocche, per dare una parvenza di autorevolezza all’“opera”. Il risultato si può ammirare qua.

[N.d.R. Brunodam è un utente bloccato da Wikipedia ad infinitum per le sue numerose manipolazioni. Si è spinto talmente in là che altri utenti con POV più o meno simile al suo – tra i quali Presbite – hanno dovuto scaricarlo. Di ciò si è molto lamentato, dicendo peste e corna degli ex-sodali. Come in questa breve ma molto interessante discussione, dove a partire dal settimo commento Presbite viene attaccato con violenza.]

Chi avesse letto quella pagina su Wagna si sarebbe convinto che in Stiria, tra il 1915 e il 1918, fu attivo un campo di concentramento per italiani – non molto diverso da quelli nazisti – in cui avvenivano esecuzioni sommarie di civili; e che quel campo fu concepito dagli austriaci nel contesto di una pulizia etnica a danno degli italiani dell’Istria. E non gli sarebbe quindi sembrato strano ritrovare Wagna nella pagina “Massacri delle foibe”:

L’ostilità slava (e soprattutto slovena) all’annessione già palesata con il boicottaggio nei confronti dei civili italiani di ritorno dai campi di concentramento di Wagna e Tapiosuly, si esprimeva con l’accumulo di armi provenienti dal confinante Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e con attentati

Passa un po’ di tempo e nel gennaio 2013 Presbite, rendendosi conto che un titolo come “Campo di concentramento asburgico” è talmente assurdo da far apparire già di per sé inaffidabile la voce, decide di modificarlo in “Campo di internamento”. Anche questa dizione è sbagliata, perché Wagna fu un campo profughi. Campo di internamento fu invece, ad esempio, Katzenau presso Linz. Presbite si premura anche di correggere la forma e la punteggiatura di alcune frasi, senza toccare però il contenuto della voce.

Poi nel giugno 2014 succede qualcosa. Succede che un giorno TBPJMR, su Giap più noto come Tuco, legge la voce sul campo di Wagna e salta sulla sedia. Sua nonna ci è stata, a Wagna. Ci ha passato tre anni. TBPJMR si accorge subito che niente di quel che c’è scritto in quella voce corrisponde al vero. Così decide di apportare alcune modifiche alla voce, molto limitate. In pratica elimina il clamoroso fake delle fucilazioni di civili, e aggiunge una frase in cui dice, indicando una fonte, che a Wagna c’erano anche degli sloveni.

Da quel momento, e per circa una mese, Presbite si scatena nella pagina di discussione (come dire: la sala macchine della voce) e ci fornisce – suo malgrado – un bignami in 114mila battute delle sue strategie ostruzionistiche preferite, strategie che vale la pena studiare in dettaglio.

6. Filibustering

Presbite esordisce così:

Apprezzo il lavoro svolto finora nella voce, ma adesso domina la confusione. Credo a causa del fatto che le uniche fonti prese in considerazione da chi ha modificato la voce in tempi recenti siano quelle internettiane.

Bisogna diffidare sempre di chi esordisce con una concessione. La “confusione” di cui parla Presbite in realtà dipende dal fatto che la voce, come compilata da RossanaBianchi, era costruita su dati falsi. In particolare, RossanaBianchi aveva copiaincollato in voce un post comparso sul forum “Patriottismo”, attribuendolo falsamente allo storico Franco Cecotti. Quando TBPJMR è intervenuto nella voce riportando dati provenienti da fonti vere, era abbastanza logico che quei dati sarebbero entrati in conflitto con quelli già presenti. Per Presbite però il problema non sono i dati falsi di RossanaBianchi, bensì le “fonti internettiane” utilizzate da TBPJMR.

Cosa sono le “fonti internettiane”? Sostanzialmente sono le fonti reperibili in formato digitale su internet utilizzando un motore di ricerca. Ad esempio: un articolo di Giovanna Procacci reperibile sul sito dell’Università Ca’ Foscari è una “fonte internettiana”; un articolo di Marta Verginella pubblicato in formato digitale sulla rivista “Storia delle donne”, edita dall’Università di Firenze, è una “fonte internettiana”.
Invece un passo copiaincollato dal forum “Patriottismo” può essere una fonte “non internettiana”, a patto che sia attribuito – anche falsamente – a un libro reperibile soltanto in formato cartaceo.

Ecco quindi un primo esempio della tattica ostruzionistica adottata da Presbite: gettare discredito sulle fonti altrui, anche a costo di inventare categorie ridicole come quella di “fonte internettiana”. La discussione sull’autorevolezza delle “fonti internettiane” è andata avanti per parecchi giorni. Wikipedia è fatta così: ogni edit deve avere un adeguato consenso all’interno della comunità. Basta che qualcuno sollevi un dubbio sull’autorevolezza di una fonte, anche con argomenti pretestuosi, perché una voce resti bloccata per giorni e giorni.

Nel frattempo TBPJMR comincia a riscrivere la voce utilizzando come fonte principale la monografia dello storico Paolo Malni. Altro giro, altra corsa. Secondo Presbite le fonti sono insufficienti. Non solo: secondo lui la voce andrebbe ampliata in modo da coprire il periodo 1914-1963. Infatti nel 1941, nello stesso luogo in cui era stato costruito il campo profughi durante la prima guerra mondiale, i tedeschi avevano allestito un campo per prigionieri di guerra. E poi nel ‘45 le baracche avevano ospitato i profughi tedeschi fuggiti dai paesi occupati dai sovietici. E più tardi, nei primi anni sessanta, i fuoriusciti jugoslavi.

A sostegno della sua tesi, Presbite porta una “fonte austriaca”. Si tratta di una pubblicazione interessante, in lingua tedesca, dello storico Heino Halbrainer. Il punto però è che si tratta di una pubblicazione del polo museale della municipalità di Wagna, dedicata alla storia appunto di Wagna e dei “suoi” campi nell’arco di 50 anni. Ma il campo per POW del ‘41 è materialmente un altro campo rispetto a quello del ‘14.

L’obiezione di Presbite è quindi un secondo esempio di tattica ostruzionistica: allargare il campo a dismisura in modo da far sfumare il focus e creare un’impasse. Soprattutto perché intanto a dare man forte a Presbite è intervenuto Bramfab, che propone di scorporare dalla voce tutta la parte che riguarda la descrizione del contesto storico in cui fu allestito il campo. Il combinato disposto delle due proposte ha come effetto quello di bloccare i lavori per alcuni giorni.

Per di più, lo stesso Bramfab mette in atto una manovra diversiva, sollevando dubbi sull’affermazione di Paolo Malni che tra i profughi trentini ci fossero anche dei tedeschi. Nella foga polemica tuttavia Bramfab ci regala suo malgrado un’epifania:

«Sarebbe a dire che in previsione della guerra gli austriaci si fecero una pulizia etnica alla rovescia in casa?»

Finalmente ci siamo: la posta in gioco, in questa voce, è il frame della pulizia etnica.

La discussione si sposta sul titolo della voce: campo profughi o campo di internamento?
Le fonti parlano chiaro: campo profughi. Ciononostante, parte un lungo botta-e-risposta sul fatto che le autorità austriache avevano predisposto l’internamento degli stranieri abili alle armi e dei sospetti politici; fatto che TBPJMR aveva già riportato correttamente in voce. Ma i campi di internamento erano strutture diverse rispetto ai campi profughi, e Wagna era un campo profughi.

Ora però Presbite si concentra sul numero degli internati. Tira fuori dal cilindro una nuova fonte austriaca. Tale fonte cita un rapporto (Bericht) dell’Ufficio di sorveglianza di guerra al Ministero dell’Interno. TBPJMR recupera il testo del rapporto, che, con buona pace di Presbite, non contraddice, ma integra i dati già inseriti in voce. A Presbite non resta che montare una stucchevole polemica sulla corretta traduzione dal tedesco della forma verbale “sollte”. Secondo TBPJMR è “dovrebbe”, secondo Presbite “deve”. A sostegno della sua tesi Presbite afferma perentorio che in un’ “Ordnung” non si usano forme dubitative. TBPJMR obietta che il testo in questione non è tratto da un’ “Ordnung” bensì un “Bericht”. Niente da fare, la discussione si impantana nuovamente.
Questo è un terzo esempio di tattica ostruzionistica: attaccare su un punto secondario, cercando in tutti i modi di aver ragione su quello, per aver ragione su tutto. Presbite comunque ha torto, e l’unico effetto che ottiene è quello di far perdere un sacco di tempo al suo interlocutore.

Visto che non gli è andata liscia col tedesco, Presbite ricomincia a contestare i numeri. I numeri sono il suo cavallo di battaglia, neanche fosse un promotore finanziario. I numeri di Paolo Malni non gli piacciono. Lui ha dei numeri più belli. I suoi numeri provengono da un articolo di Aldo Gorfer sul portale della Provincia di Trento e dal testo di una conferenza tenuta dallo storico austriaco Hans Hautmann. In entrambi i casi si tratta di sviste, di letture frettolose dei dati d’archivio. In entrambi i casi, il numero totale (114.000) degli sfollati italiani assistiti dallo Stato in Austria viene attribuito erroneamente agli sfollati provenienti dal solo Trentino. Ma Presbite non si scoraggia. Chiama in suo soccorso De Gasperi, forse lo contatta per telefono:

«Aggiungerò che anche De Gasperi era un ignorante pasticcione: ho trovato un suo discorso postbellico nel quale parla di 119.000 profughi trentini. E mi è stata inopinatamente segnalata pure un’altra fonte libresca, nella quale starebbe scritto esattamente l’opposto rispetto a quel che hai scritto tu (mi è stata letta, per cui non ho ancora il virgolettato): gli studiosi presentano numeri molto diversi sul numero dei profughi trentini. Le risate!»

(N.B. In realtà anche De Gasperi, in un suo articolo del 1919, aveva indicato in 111.000 il numero totale dei “profughi trentini e italiani in genere”)

Chissà se un fantomatico documento letto a Presbite da non si sa chi (magari per telefono) può essere considerata fonte autorevole su wikipedia…

Ormai la discussione si trascina da più di un mese. Siamo alla fine di luglio, e fa caldo. Presbite comincia a biascicare sequenze incomprensibili di numeri.

«Sembrava una serie di numeri, una sciarada ritmica di cui non si coglieva sillaba.» (L’Armata dei Sonnambuli, pag.639) Clicca per ingrandire.

Presbite sbaglia i conti e TBPJMR, che di lavoro fa il matematico, glielo mostra. Ma quello che ci interessa, qui, è mettere in evidenza una quarta tattica ostruzionistica di Presbite, quella più efficace, quella riassumible nel motto: perché raccontare balle, se puoi cavartela a furia di stronzate?

5. Sull’uso disinvolto, altrimenti detto “ad minchiam”, delle fonti. Il caso Djilas

Ma come usa le fonti Presbite quando interviene direttamente in una voce? Lo illustreremo attraverso un esempio pesante.

Siamo nella voce “Istria”. Il 25 maggio 2013 IlirilìkIlirik  chiede il controllo fonte su questa frase:

«Purtuttavia, sebbene queste uccisioni sommarie, precedute in alcuni casi da sevizie e maltrattamenti, fossero analoghe (sia numericamente che per metodi) a quelle perpetrate in altre zone occupate dall’armata di Tito, in Istria ebbero il chiaro intento di infondere il terrore nella popolazione italiana, inducendola a lasciare il territorio.»

Il 26 giugno Presbite risponde: “basta chiedere”. E modifica la frase in questo modo:

«Sebbene queste uccisioni sommarie, precedute in alcuni casi da sevizie e maltrattamenti, fossero analoghe a quelle perpetrate in altre zone soggette al controllo dell’armata jugoslava, secondo quanto testimoniò il braccio destro di Tito Milovan Gilas in Istria ebbero l’intento di indurre la popolazione italiana a lasciare il territorio

indicando come fonte una risposta di Indro Montanelli a un lettore, sul Corriere della Sera.

Milovan Đilas ci mise il cappello nel ’91 e da allora tutti citano l’attaccapanni, ma il cappello non era suo e l’attaccapanni nemmeno esiste.

La “testimonianza” a cui si riferisce Presbite è un’intervista rilasciata da Đilas a Panorama nel luglio del 1991 (PDF qui). Sono i giorni in cui la Jugoslavia comincia a disgregarsi, e Đilas parla dei confini tra Serbia e Croazia. Poi infila questo suo ricordo sull’Istria:

«[…] Ricordo che nel 1946 io ed Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alla commissione alleata che quelle terre erano jugoslave e non italiane: ci furono manifestazioni con striscioni e bandiere. Giornalista: Ma non era vero? Certo che non era vero. O meglio lo era solo in parte, perché in realtà gli italiani erano la maggioranza solo nei centri abitati e non nei villaggi. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni d’ogni tipo. Così fu fatto.»

In un’intervista rilasciata al Giornale di Brescia nel 2006, lo storico Raoul Pupo, che di certo non può essere sospettato di essere filo-jugoslavo, ha definito questa dichiarazione una «bufala sparata da Đilas».

Le dichiarazioni rilasciate dallo storico Raoul Pupo sulla falsità della testimonianza di Milovan Đilas

Le dichiarazioni rilasciate dallo storico Raoul Pupo sulla falsità della “testimonianza” di Milovan Đilas presa per oro colato da Petacco, Montanelli, Presbite e – buon ultimo ma con un bacino di pubblico incomparabilmente maggiore e quindi più (ir)responsabile degli altri – Cristicchi. Clicca per aprire il pdf dell’intera intervista.

Pupo dice che una ricercatrice di Lubiana (Nevenka Troha, N.d.R.) ha dimostrato «senza ombra di dubbio» che nel 1946 Đilas non mise piede in Istria. E che in quei mesi Kardelj andò sì in Istria, ma per convincere gli italiani a restare.

Ciononostante la “testimonianza” di Đilas continua ad essere un cavallo di battaglia dei neoirredentisti, che da anni la spammano ovunque in tutti i forum e i social network.
Non solo: questa “testimonianza” è citata con grande enfasi nello spettacolo di Cristicchi, Magazzino 18, ormai parte integrante del curriculum scolastico in tutte le scuole del Regno.

L'uomo del Partito della Nazione

L’uomo del Partito della Nazione distaccato sul confine orientale. Di lui e del suo spettacolo ci siamo già occupati nell’articolo (e dibattito) «Quello che Cristicchi dimentica: Magazzino 18, gli “italiani brava gente” e le vere larghe intese». Clicca sulla foto per leggerlo. Di recente, Cristicchi ha annunciato che farà uno spettacolo su Franco Basaglia. Potrebbe usare come consulenti Presbite, The Irrules e Jose Antonio (vedi il capitolo 2 della presente inchiesta).

Ma lasciamo perdere per il momento ciò che dice Pupo e concentriamoci sulle date: 1946 – visita della commissione interalleata. Come si può vedere, Đilas non sta parlando di foibe e di uccisioni, ma di manifestazioni e di “pressioni”. Nell’intervista a Panorama dice esattamente questo: «andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana». Come mai su Wikipedia questa dichiarazione diventa un’“ammissione” sui massacri e una “testimonianza fondamentale” sul presunto legame foibe-esodo?

Arrigo Petacco, al quale si deve il cambio di data nella "testimonianza" (già falsa di suo) di Milovan Đilas presa per oro colato dai fascisti e neoirredentisti.

Arrigo Petacco, al quale si deve il cambio di data nella “testimonianza” (già falsa di suo) di Milovan Dilas presa per oro colato da fascisti, veteroirredentisti e irredento-chic.

Innanzitutto perché Arrigo Petacco nel suo libro L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia (Mondadori, 2000) ha citato la frase in modo, diciamo così, creativo, spostando la data a cui si riferisce Đilas dal 1946 al 1945, cioè a un contesto completamente diverso. Nel libro di Petacco infatti c’è scritto, in esergo e addirittura nella quarta di copertina:

«Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto. (Milovan Gilas)»

È proprio questa la versione della dichiarazione di Đilas che viene commentata da Montanelli. Il lettore gli scrive:

«Caro Montanelli, “Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto” diceva Milovan Gilas. Ho letto parecchi articoli di Gilas e mai più avrei creduto che prese parte alla tragedia dell’esodo degli italiani dal suolo patrio se non ordinò massacri mediante l’infoibazione. Gilas non fu un dissidente che condannò le mostruosità di Tito? Le sarei grato di un breve profilo per comprendere con chiarezza la vera storia della sua vita. Ha avuto personali contatti con lo scrittore?»

Montanelli, che conosceva personalmente Đilas, risponde con una serie di considerazioni sull’ambivalenza della vita degli uomini, ecc. A un certo punto dice:

«Che in quel periodo Gilas, da molti ritenuto addirittura il “Delfino” di Tito, abbia cercato di “disitalianizzare” tutta la costa adriatica – di cui era egli stesso originario – lo sapevo e mi fa male al cuore, ma posso capirlo. Che per farlo sia ricorso anche lui alle foibe, qualcuno me lo aveva detto senza però fornirmene prove

Quindi questa frase, in cui Montanelli dice di apprendere in quel momento dal lettore (che cita la versione della dichiarazione di Đilas con la data sbagliata) dell’esistenza di “prove” sull’attività di Đilas come infoibatore, per Presbite diventa la conferma autorevole (da parte di Montanelli!) del fatto che Đilas su Panorama abbia “ammesso” di aver organizzato infoibamenti per cacciare gli italiani. Niente male, come corto circuito logico.
Detto senza giri di parole: Presbite ha manipolato le fonti.

L’utente IlirikIlirik il 12 giugno chiede di nuovo la conferma della fonte, proprio sulla base del contenuto reale dell’intervista a Đilas.

«Nella dichiarazione di Đilas, citata in riferimento a fondamento della affermazione evidenziata, non viene fatta menzione alcuna di uccisioni, di altre azioni violente e tanto meno di collegamento alle foibe (v. anche citazione seguente).»

E Presbite risponde così:

«Lo dice l’articolista citato, in nota (Montanelli), e tanto basti.»

4. E allora le foibe??!!

Nel repertorio di Presbite c’è anche questo, ça va sans dire. Nel capitolo della voce “Storia di Gorizia” dedicato alla seconda guerra mondiale, dopo aver inserito un paragrafo sulla famigerata Circolare 3C del generale Roatta, l’ utente TBPJMR fa il seguente edit:

«Casi di esecuzioni sommarie e incendi di villaggi si ebbero comunque già prima dell’emanazione della Circolare 3C. Ad esempio l’8 agosto 1942 un gruppo di alpini della Divisione Julia, reduci dalla Grecia, incendiarono il villaggio di Ustje, situato a una ventina di chilometri da Gorizia, e fucilarono 8 persone, come rappresaglia per l’uccisione del comandante dei Carabinieri di Aidussina, il maresciallo Pasquale Marrone. In realtà Marrone era stato ucciso dagli alpini stessi, perché aveva difeso gli abitanti del paese dalle loro scorrerie. Gli alpini avevano poi addossato la colpa agli abitanti del villaggio.»

E immediatamente Presbite aggiunge:

«Nella stessa località, nel mese di marzo del 2002 venne esplorata e svuotata una fossa comune contenente i resti di 67 soldati – 15 tedeschi e 52 italiani – uccisi dopo la fine della guerra e qui sepolti.»

Chiosando così il suo intervento:

«Occhio: ad ogni notiziola se ne può aggiungere una uguale e contraria. Mi pare che si stia perdendo il senso generale di questo paragrafo…»

Superfluo osservare che se “si sta perdendo il senso generale del paragrafo” è proprio a causa dell’intervento di Presbite.

3. Qui (non) lo dico e qui lo (rin)nego

Altrettanto importante di quello che scrive, è quello che Presbite non scrive. Prendiamo come esempio la voce “IX Korpus”, una delle 123 da lui create. Prima dei recenti interventi correttivi da parte di altri utenti, nella voce si leggeva:

«Fondato a dicembre del 1943 riunendo una serie di brigate precedentemente operanti in modo indipendente, il IX Korpus ha giocato un ruolo fondamentale per la liberazione della Primorska (il Litorale sloveno), che prima della guerra apparteneva quasi interamente al Regno d’Italia. All’interno di questa regione – dichiarata annessa alla Jugoslavia fin da settembre del 1943 – le località principali erano Gorizia e Trieste, ugualmente reclamate dalla Jugoslavia, che vennero occupate militarmente dal IX Korpus dal 1 maggio fino al 12 giugno del 1945, nell’intento di mettere gli Alleati di fronte al fatto compiuto.»

Manca qualcosa?


Nell’ordine, manca:

1) Il fatto che il 6 aprile 1941 l’Italia e la Germania invasero la Jugoslavia.

2) Il fatto che nel 1941 l’Italia si annesse la Provincia di Lubiana, vi impose un commissario speciale, e di fronte all’esplodere della resistenza slovena mise in atto una serie di rappresaglie contro la popolazione civile culminate nella recinzione col filo spinato dell’intera città di Lubiana e nella deportazione di 20.000 civili nei campi di concentramento italiani.

3) Il fatto che dal 10 settembre 1943 al 1° maggio 1945 la Primorska fu annessa di fatto al III Reich all’interno della Zona di Operazioni Alto Adriatico (OZAK) sotto il comando del Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, che prendeva gli ordini direttamente da Hitler.

Lo spostamento a est dell'imperialismo italiano. Quarta mappa: nel 1941 l'Italia, insieme alla Germania nazista, attacca il Regno di Jugoslavia e, tra le varie cose, occupa e annette la provincia di Lubiana. Ibidem.

L’espansione a est dell’imperialismo italiano. Quarta mappa: sempre nel 1941, l’Italia occupa e annette la provincia di Lubiana, mai stata italofona. Mappa tratta dal percorso tematico Il confine orientale italiano, 1797 – 2007, cit.

Per contro, Presbite ci informa che nel settembre del 1943 la Primorska fu dichiarata annessa… alla Jugoslavia. Di cosa si tratta? Dopo l’8 settembre la Primorska fu attraversata da un ampio moto insurrezionale, e il 16 settembre l’OF (Fronte di liberazione del popolo sloveno) emanò il seguente proclama:

«Il comando supremo del fronte di liberazione del popolo sloveno, dando seguito a una rivendicazione fondamentale del popolo sloveno, derivante da diritti naturali e storici, proclama l’annessione del litorale sloveno alla Slovenia libera e unita nell’ambito di una Jugoslavia libera e democratica. Alla minoranza italiana sui territori annessi è garantita l’autonomia. Le modalità di attuazione dell’autonomia saranno discusse da rappresentanti delegati delle popolazioni slovena e italiana del Litorale non appena le circostanze lo consentiranno.»

In questo caso quindi Presbite, con una miscela di omissioni e di forzature, riesce a far passare su it.wiki la seguente ricostruzione del contesto storico in cui operò il IX Korpus: di punto in bianco nel settembre del ‘43 la Jugoslavia [che nel 1943 non esisteva più – o non esisteva ancora – come entità statuale, N.d.R.] dichiarò annessa la Primorska (appartenente al Regno d’Italia) e istituì il IX Korpus per rendere effettiva tale annessione. La fonte indicata da Presbite è una tesi di laurea in sloveno – Jernej Alič,9. korpus NOV-a Slovenije. Od ustanovitve do osvoboditve Trsta, Lubiana 2008 – , ma ovviamente nella tesi la “notizia” dell’invasione italiana della Jugoslavia nel ‘41 c’è, così come la “notizia” dell’occupazione tedesca nel ‘43. Forse gli sono sfuggite perché non conosce lo sloveno e si affida a gogol tranzlejt per leggere testi scritti in questa lingua così “semplice“…


Ma anche in italiano esistono svariate fonti che attestano entrambe le “notizie”. Se a Presbite nessuno l’ha fatto notare, è perché in Italia la storia del confine orientale è poco conosciuta, e come abbiamo detto, lui a furia di filibustering nelle pagine di discussione si è costruito il ruolo di “esperto di confine orientale”.

2. Non solo confine orientale. Come l’antifascista Franco Basaglia divenne repubblichino su it.wikipedia

È capitato anche che Presbite, dall’alto del suo ruolo di “esperto”, si sia prestato a “coprire” operazioni sporche di altri utenti. Per capire in che modo il futuro psichiatra Franco Basaglia (1924 – 1980), incarcerato per antifascismo già all’età di 19 anni, su it.wikipedia sia diventato… repubblichino grazie all’utente Theirrules e con l’imprimatur di Presbite, ecco la storia dell’inserimento in it.wiki della “notizia”.

Franco Basaglia (1924 - 1980) Da: Mario Colucci – Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori Editore, Milano 2001, pag.1: «Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924, da una famiglia agiata. Secondogenito di tre figli, trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene nel caratteristico quartiere veneziano di San Polo. Conclusi gli studi classici, nel 1943 si iscrive alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Padova. Qui entra in contatto con un gruppo di studenti antifascisti e, a seguito del tradimento di un compagno, viene arrestato e detenuto per sei mesi, fino alla fine della guerra. Esperienza che lo segna profondamente e che rievocherà anni dopo parlando del suo ingresso in un’altra istituzione chiusa: il manicomio.» width=

«Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924, da una famiglia agiata. Secondogenito di tre figli, trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene nel caratteristico quartiere veneziano di San Polo. Conclusi gli studi classici, nel 1943 si iscrive alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Padova. Qui entra in contatto con un gruppo di studenti antifascisti e, a seguito del tradimento di un compagno, viene arrestato e detenuto per sei mesi, fino alla fine della guerra. Esperienza che lo segna profondamente e che rievocherà anni dopo parlando del suo ingresso in un’altra istituzione chiusa: il manicomio.» (Mario Colucci – Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori Editore, Milano 2001, pag.1)

6 agosto 2011: nella talk di Presbite Sandro_bt chiede se si può “chiudere” sulla voce “Eccidio di Vercelli”, alla quale una nutrita compagnia – coordinata da chi? Da Presbite, naturalmente – sta lavorando da molto tempo.
Theirrules chiede qualche giorno di tempo dicendo di avere una notiziola interessante da inserire.

11 agosto 2011: Theirrules annuncia nella talk della voce di aver trovato una fonte che indica Basaglia come repubblichino della colonna Morsero. La fonte è un libro di Bruno Vespa,Vincitori e vinti (2005).

4 novembre 2011: l’utente Jose Antonio inserisce nella voce “Franco Basaglia” la “notizia” su Basaglia repubblichino, indicando come fonti Bruno Vespa e il defunto “foibologo” di estrema destra Marco Pirina. L’inserimento viene subito perfezionato da Theirrules.

Bruno Vespa. In un suo libro la notizia falsa su Basaglia repubblichino, poi ripresa dai wikinazionalisti.

Bruno Vespa. In un suo libro del 2005 la notizia falsa su Basaglia repubblichino, poi ripresa dai wikinazionalisti. Ecco la citazione: «Al termine della guerra, i militi dei reparti Pontida e Montebello si arresero e vennero trasferiti al campo sportivo di Novara (tra essi, il giovane Franco Basaglia, che sarebbe divenuto negli anni Settanta il capostipite della psichiatria progressista).» La fonte di Vespa (o chi per lui) sembra proprio essere il “foibologo” Marco Pirina, oggi scomparso. Conoscendo il lavoro di Pirina, quest’ennesimo esempio di storiografia “creativa” è ben lontano dal sorprenderci.

5 novembre 2011: l’amministratore Piero Montesacro smonta la bufala portando in talk come fonte autorevole una monografia su Basaglia di Colucci e Di Vittorio. Provvede anche a rimuovere dalla voce “Franco Basaglia” la falsa notizia su Basaglia repubblichino.

1 maggio 2012: Theirrules inserisce la falsa notizia su Basaglia repubblichino nella voce sull’eccidio di Vercelli, asserendo falsamente che tale notizia è già presente nella voce su Basaglia.

21 luglio 2012: Presbite propone di avviare la procedura per il riconoscimento della voce sull’eccidio di Vercelli come voce di qualità.

20 agosto 2012: la voce sull’eccidio di Vercelli viene riconosciuta voce di qualità col voto favorevole del proponente Presbite, di Jose Antonio, di Arturolorioli e del “referee” Adert.

E così diventa “di qualità” anche la bufala sul passato repubblichino di Basaglia. Un’autentica calunnia che verrà rimossa solo nel 2014 dopo una segnalazione avvenuta su Giap.

E a proposito di “voci di qualità”, è arrivato il momento di dare un’occhiata al gioiello di famiglia di Presbite: l’“Eccidio di Porzûs”.

1. Porzûs

Guido Pasolini

Guido Pasolini

Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, fu uno dei 17 osovani (partigiani delle Brigate Osoppo) uccisi a Porzûs nel febbraio del 1945 da un gruppo di gappisti friulani della divisione Garibaldi-Natisone. Il 27 novembre 1944 Guido aveva scritto una lettera al fratello, in cui raccontava i rapporti molto tesi tra la sua formazione, che aveva deciso di restare “autonoma”, e le formazioni garibaldine che avevano deciso di essere inquadrate nel IX Korpus.

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che Guido Pasolini è molto critico nei confronti dei Garibaldini. È un azionista, i suoi ideali sono quelli del Risorgimento: per lui la resistenza è esclusivamente lotta contro lo straniero. A noi comunque non interessa analizzare il punto di vista di Guido Pasolini. Ci interessano le informazioni contenute nella lettera. Nella pagina di it.wiki dedicata a Guido Pasolini ne sono riportati ampi stralci. Soffermiamoci su questo paragrafo:

«Si riorganizza la brigata: in breve tempo raggiungiamo i 600 uomini nella vallata Attimis-Subit. Si entra in contatto con i mandanti delle 2 brigate Garibaldi che fiancheggiano il nostro schieramento: si forma la divisione Garibaldi-Osoppo, si firma un patto di amicizia con gli sloveni che, slealmente hanno cominciato la propaganda slovena nel territorio da noi occupato. […] In quegli stessi giorni giunge una missione slovena inviata da Tito: si propone l’assorbimento della nostra divisione da parte della Armata slovena: ci fanno capire fra l’altro che qualora facessimo parte dell’esercito sloveno eviteremmo il disarmo. Il comandante di divisione Sasso (un garibaldino) tentenna, il vice comandante Bolla (Osoppo) pone un energico rifiuto. Gli sloveni se ne vanno scontenti.»

Dalla citazione sembra di capire che gli sloveni avessero posto gli osovani di fronte all’alternativa: o vi unite a noi o vi disarmiamo. Ma cosa c’è scritto nella lettera al posto di quei tre puntini messi tra parentesi? Il testo integrale è il seguente:

«…nel territorio da noi occupato. Giunge per radio una notizia ad aggravare la situazione: gli inglesi nelle terre liberate, disarmano le formazioni partigiane. A noi dell’Osoppo la notizia non ci fa né caldo né freddo: “Una volta che l’Italia è liberata!…) , La cosa sembra invece mettere il fuoco nelle vene in certi commissari garibaldini. Vanni (da nessuno autorizzato), commissario di divisione, nella pubblica piazza di Nimis grida le seguenti parole (in un discorso enfatico quanto vuoto di sostanza): “Io vi assicuro che né Russi (la parola è detta quasi di sfuggita) né Americani né Inglesi (qui la voce tuona) disarmeranno la Divisione Garibaldi-Osoppo.” In quegli stessi giorni giunge una missione slovena…»

Dal testo integrale scopriamo quindi che gli osovani, unendosi al IX Korpus, avrebbero evitato di essere disarmati dagli inglesi. E che però per gli osovani essere disarmati dagli inglesi non costituiva un problema, visto che il loro scopo era esclusivamente quello di liberare l’Italia. Vedremo tra poco che questo “dettaglio” non è secondario nella ricostruzione del contesto in cui maturò l’episodio di Porzûs.

Per completare il quadro, ricordiamo anche che il 13 novembre 1944 il generale Alexander diffuse via radio un proclama in cui richiedeva a tutte le formazioni resistenti del nord Italia di interrompere qualsiasi attività militare, e annunciava una drastica riduzione dei rifornimenti. E che tra l’ottobre e il dicembre del 1944 l’alto Friuli fu sottoposto a pesantissimi rastrellamenti tedeschi – con la collaborazione di unità cosacche e di alcuni battaglioni della X Mas – in seguito alla caduta della Repubblica libera della Carnia.

La pagina su Guido Pasolini è stata creata dall’utente Demiurgo, ma si tratta di uno spin-off della pagina “Eccidio di Porzûs”. In quest’ultima pagina la lettera tagliuzzata era stata inserita da Presbite, con l’accorgimento di riportarne il testo completo in nota – tanto non l’avrebbe letto nessuno. Demiurgo si è limitato a copiarla da una pagina all’altra.

Questo è un tipico esempio di manipolazione per omissione. Se ora ci spostiamo nella pagina “Eccidio di Porzûs”, vediamo che vengono nuovamente omessi dei “dettagli” importanti. Presbite scrive:

«Tutte le terre a est del fiume Isonzo – e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta – furono rivendicate fin dalla fine del 1941 dalla nascente Jugoslavia di Tito, che le dichiarò ufficialmente annesse nel settembre del 1943.»

Come fonte viene indicata una tesi di dottorato: «Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Anno Accademico 2007-2008, pag.13»)

Vediamo allora cosa scrive Karlsen a pag. 13:

«Dopo l’invasione della Slovenia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941, tutte le forze politiche riunite nel Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta – Of) si prefissero lo scopo della liberazione e unificazione della loro nazione. Tra queste anche il Kps, che all’interno dell’Of rappresentava la fazione più organizzata e influente. Già dalla fine del 1941 il Fronte aveva istituito una commissione interna per studiare i futuri confini della Slovenia, e il Comitato centrale (Cc) del Kps aveva dichiarato “irrinunciabili” le città di Maribor e Trieste. […] Contemporaneamente,l’Of cercò di radicare la sua presenza su tutto il territorio da esso ritenuto sloveno.»

Come nella voce “IX Korpus”, Presbite ha omesso il “dettaglio” dell’invasione italiana della Jugoslavia. Inoltre la lotta dell’OF per la “liberazione e unificazione della nazione slovena” dall’occupazione di un paese invasore viene trasformata, con evidente manipolazione della fonte, in “rivendicazione territoriale della nascente Jugoslavia di Tito”, in stile “blut und boden”.

Sempre citando Karlsen (pagg. 16-17), Presbite prosegue così:

«All’interno di questi territori gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari sottoponendo al controllo del NOVJ le altre formazioni combattenti, in accordo con quanto aveva stabilito, a seguito di precisa richiesta di Tito, il segretario del Comintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942: questi aveva disposto per tutta la Venezia Giulia la dipendenza delle strutture del PCI al Partito Comunista Sloveno (PCS) e di tutte le formazioni combattenti nell’area al Fronte di Liberazione Sloveno.»

Ma vediamo cosa dice Karlsen. Innanzitutto, per quanto riguarda i rapporti tra Pcd’I e KPS, a pag. 13 scrive:

«La politica dell’“entrismo”, sostenuta dai vertici del partito centrale come ultima carta per cercare di intaccare la popolarità del fascismo, risultava del tutto inaccettabile per gli iscritti al Pcd’I di origine slovena e croata; per loro, qualsiasi forma di accomodamento verso il regime che mirava alla cancellazione della loro identità di popolo equivaleva a un tradimento.»

Spostandoci alle pagg. 16-17, leggiamo:

«Nel contesto della guerra e dei rivolgimenti politico-sociali giudicati prossimi a venire, il possesso del porto di Trieste era visto dai comunisti sloveni come una delle questioni dirimenti. Chi controllava il porto, per il suo posizionamento strategico e per l’elevata concentrazione della sua classe operaia, era destinato a esercitare un’influenza decisiva sul suo entroterra, in gran parte agricolo.»

Nel 1942 Kardelj, in una lettera a Massola, si espresse così:

«A causa dell’atteggiamento filoinglese di gran parte della borghesia italiana, da una parte, e la debolezza dell’azione politica del proletariato italiano, dall’altra, esiste il pericolo che Trieste in futuro possa diventare il trampolino di lancio degli imperialisti reazionari inglese.»

Continua Karlsen:

«A questo punto, diveniva fondamentale che tali posizioni fossero ufficializzate dall’autorità cui veniva riconosciuta la competenza di stabilire le giurisidizioni e coordinare gli ambiti di azione dei diversi partiti comunisti: il Komintern. […] La risposta tanto sollecitata […] pervenne da Dimitrov il 3 agosto 1942, tramite una lettera a Tito […]. È questo il documento attraverso cui il Komintern accoglieva in toto le istanze slovene e sanzionava un nuovo equilibrio, nei rapporti tra Kps e Pcd’I nel Litorale, a favore del primo.»

Il testo del comunicato di Dimitrov è il seguente:

«Cc Slovenia e Cc Jugoslavia sono tenuti ad esigere dai compagni italiani il rendiconto della loro attività. Costituire gruppi di Kps nei rioni italiani d’un tempo, laddove vivono sloveni e croati – Istria, Trieste ed altrove. Sviluppare colà il movimento partigiano non è soltanto giusto, bensì pure urgente. Così pure è estremamente urgente che il tutto venga condotto a termine dal comando, in contatto con i compagni italiani, nella costituzione delle organizzazioni per la lotta partigiana ed antifascista in Istria, a Trieste ed a Fiume.»

Leggendo Karlsen scopriamo quindi che la corsa verso Trieste dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (EPLJ) non era questione di “blut und boden”, ma di posizionamento strategico in un’ottica rivoluzionaria. Scopriamo che gli antagonisti dell’EPLJ erano gli inglesi, alleati nella lotta contro il nazifascismo, ma considerati avversari nella lotta di classe. E scopriamo che in quest’ottica i comunisti sloveni nel 1942 avevano chiesto e ottenuto dal Komintern la direzione politica e militare della resistenza armata nel Litorale, con i comunisti italiani in posizione subalterna.

Ricapitolando:
1) Presbite omette di dire che l’Italia aveva invaso la Jugoslavia nel 1941 e che se n’era annessa ampie porzioni.
2) Presbite manipola una fonte e presenta la lotta di liberazione slovena contro uno Stato invasore (l’Italia) come rivendicazione territoriale jugoslava nei confronti di quello Stato.

A causa di queste omissioni e manipolazioni, le richieste del KPS al Pcd’I appaiono come dettate da puro sciovinismo nazionalistico, e non dal fatto che il Pcd’I fosse un partito che, seppur clandestino, seppur facente parte del Komintern, era agli occhi dei comunisti sloveni troppo accomodante nei confronti dell’imperialismo e dello sciovinismo italiano. Vale anche la pena sottolineare che quando nel ‘42 Dimitrov attribuì al KPS la direzione politica e militare delle formazioni partigiane combattenti nella “Venezia Giulia”, non esisteva ancora nessuna formazione combattente italiana, né del Pcd’I, né di altri movimenti antifascisti; che dopo l’8 settembre 1943 il Pcd’I organizzò anche nella “Venezia Giulia” le proprie brigate partigiane come parte integrante delle Brigate Garibaldi del resto d’Italia (Karlsen, pag. 26); e che solo nell’autunno del ‘44, anche per evitare che i garibaldini venissero disarmati dagli inglesi sulla base delle clausole armistiziali, Kardelj impose ai comunisti italiani di inquadrare le loro brigate partigiane nel IX Korpus (Karlsen, pag. 32).

Inoltre Presbite omette di dire che la preoccupazione principale del KPS per quanto riguardava Trieste era che quel porto strategico non finisse sotto il controllo diretto o indiretto degli inglesi. Da quel che scrive Presbite, sembra che di punto in bianco nel ‘41 una non meglio precisata “nascente Jugoslavia di Tito” avesse cominciato a manifestare pretese territoriali sull’Italia, e che per questo nel 1942 avesse chiesto e ottenuto dal Komintern di poter sottomettere il Pcd’I e tutte le formazioni combattenti della “Venezia Giulia”. Gli inglesi scompaiono dal quadro, e tutto quanto sembra ridursi a una faida etnica sul confine orientale, con gli italiani ovviamente, sempre e comunque, nella parte delle vittime in quanto italiani – oppure dei traditori della patria.

7 luglio 2012, commemorazione alle Malghe di Porzus.

7 luglio 2012, commemorazione alle Malghe di Porzus.

Noi non abbiamo tesi da proporre su Porzûs: si tratta di una delle pagine più controverse e laceranti della storia della resistenza in Italia. Ma il lavoro di Karlsen è una delle fonti citate da Presbite, e noi abbiamo mostrato come Presbite, attraverso omissioni e manipolazioni di una fonte da lui stesso indicata, abbia falsificato il contesto in cui si colloca l’episodio.

E poi: come mai nella voce i rapporti tra osovani e X Mas restano nel cono d’ombra? Tali rapporti risultano dimostrati dal 2000, da quando sono stati desecretati i documenti dell’OSS (pubblicati poi da Nicola Tranfaglia e Mario Cereghino nel 2004 nel volume Come nasce la repubblica, Bompiani). Gli americani ne erano al corrente: nel gennaio del 1945, in seguito a un lungo colloquio tra il capitano Manlio Morelli del battaglione valanga della X Mas e il sottotenente Cino Bottazzi “Piave” della Osoppo, Morelli stesso, su incarico di Borghese, si incontrò a Vittorio Veneto con Candido Grassi “Verdi” e con “Piave” della Osoppo, per negoziare un eventuale accordo in chiave anti jugoslava. In voce c’è scritto:

«Dalle ricostruzioni del dopoguerra risultò che era sempre stata la Xª MAS a cercare degli accordi con la Osoppo per opporsi alle mire jugoslave sui territori orientali italiani, ottenendone però ogni volta un rifiuto.»

Dai documenti dell’OSS pubblicati da Tranfaglia invece risulta che l’accordo fu discusso in modo abbastanza dettagliato, anche per quanto riguardava la logistica, ma poi non andò in porto soprattutto per le resistenze di una parte dei comandi della Decima.
In ogni caso il fatto stesso che ci fu un tentativo – ad alto livello e non proprio estemporaneo – in tale direzione fa parte del contesto, ed è pertanto oggetto di ricerca storiografica. Non lo si può liquidare, come fa Presbite in pagina di discussione, dicendo che durante la guerra i contatti tra partigiani e fascisti erano abbastanza frequenti, tirando in ballo gli scambi di prigionieri, ecc.

25 aprile 2009, Malghe di Porzus. Il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Ing. Giuseppe Cossiga, ricorda i 17 osovani uccisi nel febbraio 1945.

25 aprile 2009, Malghe di Porzus. Il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Ing. Giuseppe Cossiga, ricorda i 17 osovani uccisi nel febbraio 1945.

Nella voce su it.wiki vengono riportate, in una sezione dedicata, tutte le varie interpretazioni storiografiche dell’eccidio di Porzûs. Tuttavia la falsificazione del contesto fa apparire strampalate e prive di fondamento le interpretazioni in cui il campo si allarga e nell’inquadratura entrano altri attori: gli inglesi, l’OSS, la X Mas, i nuovi equilibri interni e internazionali che si stavano formando in quei mesi. Mentre fa apparire naturale e praticamente ovvia la tesi (fatta propria dalla corte d’appello di Firenze nel 1954) del tradimento e dell’“atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava”. Ma soprattutto, cristallizza la lettura di un evento, situato in uno snodo storico estremamente complesso, nel solito frame della faida etnica.

0. Ha un caratteraccio, però…

A questo punto potremmo chiederci se la multiforme attività manipolatoria che abbiamo finora documentato sia mai stata riconosciuta e sanzionata come tale dalla comunità dei wikipediani.

Il log dei blocchi (l’equivalente wikipediano della “fedina penale”) di quest’utenza è abbastanza eloquente.

A parte un primo blocco di scrittura nell’ottobre del 2008, non rilevante perché irrogato per errore (Presbite fu scambiato per un altro utente già sanzionato con un blocco di scrittura di durata infinita, errore corretto dopo due giorni con la completa riabilitazione), troviamo:

13 ottobre 2010: blocco di 36 ore per «trolling, edit war e comportamento non collaborativo».

18 ottobre 2011: blocco di una settimana per «attacchi personali reiterati e con presa in giro».

7 luglio 2012: blocco di una settimana per «attacchi personali».

11 ottobre 2012: blocco di due ore per «attacchi personali».

24 marzo 2014: blocco di una settimana per «attacchi personali».

Nella discussione relativa all’ultima (finora) delle segnalazioni disciplinari contro Presbite, aperta lo scorso 25 luglio e conclusasi pochi giorni dopo senza che fosse emessa alcuna sanzione, l’utente Stonewall ha dichiarato che Presbite «ha (spesso, forse quasi sempre) ragione nel merito» ma «con il suo comportamento francamente insopportabile nelle discussioni», comportamento improntato al «sarcasmo con tutti» e caratterizzato da «un irritante superiority complex», riesce a passare «sempre dalla parte del torto». Pertanto Stonewall invita Presbite a cambiare registro d’interlocuzione con gli altri utenti, ad accettare «le eventuali critiche con garbo e senza pensare sempre al complotto contro di lui» e ad articolare in maniera più ortodossa le sue discussioni, «da cui uscirà facilmente vincitore vista la sua enciclopedica preparazione nello specifico anche senza cercare di ridicolizzare l’interlocutore».

Questi commenti di Stonewall sintetizzano abbastanza bene quella che è l’immagine corrente di Presbite all’interno della comunità dei wikipediani. Si ritiene comunemente che Presbite sia un utente assai scrupoloso e preparato, fine conoscitore della materia di cui in prevalenza scrive (la storia dell’Adriatico orientale); peccato solo per le sue asperità caratteriali che lo rendono così indisponente.

Lo stesso Presbite aderisce volentieri a questa immagine e ammette senza difficoltà di avere un “caratteraccio”, ma tiene a ribadire che, se a volte si inalbera, è solo perché ha talmente ha cuore l’Enciclopedia da non poter tollerare che la stessa sia rovinata da degli ignoranti.

«Per quanto è in mio potere, ho sempre cercato di scrivere delle voci “decenti”, quando non “ben fatte”. E questo è il mio tratto: scrivere di temi ignorati praticamente dall’universo mondo, quasi sempre in solitudine. E quindi quasi sempre da solo col mio POV. Cercando di tenerlo il più possibile a freno. […]»

«Che cos’è che mi secca alquanto? Cioè: perché mi vien da prender per i fondelli altri utenti, ogni tanto? La risposta è semplice: qui dentro qualcuno immagina delle baruffe chilometriche su voci come Equazione o Funzione? di Eulero? No. E sapete perché? Perché quelle sono tipiche voci da “iniziati”, cioè da gente che sa della materia. E in generale le fonti che trattano di quel tipo di voci non si trovano a puntate in allegato a “La Repubblica”. Invece qui è “normale” che una voce di storia sia scritta prendendo come fonte una dispensa scritta da Enzo Biagi. O roba del genere.»

Secondo Presbite, la storia dell’Adriatico orientale è materia da lasciare agli “iniziati” in quanto eccezionalmente difficile da conoscere e da capire:

«Benvenuto nella storia delle terre orientali dell’Adriatico, dove per ogni numero bisogna compitare svariate fonti! Ma non solo: per ogni fatto – anche quelli apparentemente “normali” – è necessario dotarsi di santa pazienza e leggere un filino di più.»

Sempre secondo Presbite, solo chi sia arrivato a conoscere bene tutte la letteratura storiografica sull’argomento è in grado di districarsi in questa complicatissima materia, di distinguere le fonti affidabili da quelle che non lo sono, di vagliare e ponderare tutte le innumerevoli versioni di un medesimo episodio trascegliendo quelle più attendibili e scartando le altre. A quel punto, e solo a quel punto, l’utente (divenuto ormai un esperto, se non la massima autorità della materia) può legittimamente scriverne su wikipedia. Naturalmente, Presbite possiede tutti questi requisiti di scienza e di dottrina, laddove i suoi interlocutori quasi sempre, e specialmente quando non la pensano come lui, non li possiedono.

«Oppure vien fuori uno che non ha mai sentito parlare della Muttersprache in Istria fra il 1880 e il 1910 (e chi ha mai sentito parlare della Muttersprache in Istria? Saremo in venti in tutt’Italia ad avere una bibliografia su questo argomento!) e contesta una cosa della quale non sa nulla. E per sustanziar il tutto, magari cala l’asso, sparando un paio di sciocchezze sesquipedali! […] E io mi inc… di brutto. M’inc… per queste forme di cialtroneria […] che fanno andare a p…atrasso una bella fraccata di voci.»

A ben vedere, quindi, e secondo quanto ammette lo stesso Presbite, le sue intemperanze verbali e la sua aggressività non sono un mero portato caratteriale, come di chi perda improvvisamente le staffe e, in un impeto d’ira incontrollabile, senza riuscire a dominarsi dica o faccia degli spropositi. Ci troviamo invece di fronte a una precisa strategia volta a difendere wikipedia da apporti ritenuti (da Presbite) dannosi per l’enciclopedia stessa. S’intende che il modo migliore per impedire ai barbari di rovinare un territorio è non permettere loro di metterci piede: di qui la vasta gamma di tattiche dissuasive che Presbite mette in opera per presidiare le sue voci, che vanno dall’ostruzionismo, al sarcasmo, agli insulti più o meno velati fino, in qualche caso, alle minacce.

Ed è così che, parafrasando uno dei nostri classici, le voci di it.wiki correlate all’argomento Adriatico orientale appaiono oggi circondate da reticolati irti di spine erudite, e sorvegliate da una sentinella che urla il “chi va là?” a ogni profano che osi avvicinarsi troppo. Abbiamo visto in che modo Presbite, sulla scorta della sua autoproclamata qualità di “iniziato”, si sia assunto questo ruolo di sentinella posta metaforicamente a guardia del confine orientale. Nasce il dubbio se una dottrina che necessita di tali mezzi difensivi non assuma, già per questo solo fatto, i caratteri inquietanti dell’ideologia.

Ad ogni modo, è inutile sottolineare come il modus operandi di Presbite sia del tutto contrario allo spirito dell’Enciclopedia Libera. Nessuna barriera all’ingresso, infatti, può essere compatibile con il principio del “be bold” e della libertà per chiunque di contribuire; il controllo sui contenuti dev’essere paritario e può avvenire solo ex post e non ex ante. Inoltre wikipedia è per sua natura un progetto collaborativo. Le voci migliori nascono dall’apporto di molti utenti, secondo un metodo che non esclude il conflitto tra utenze portatrici di punti di vista diversi o anche opposti, ma tende semmai a disciplinare tale conflitto in modo da farne un elemento costruttivo, finalizzandolo al miglioramento qualitativo e alla crescita quantitativa dell’Enciclopedia. Una concezione opposta all’elitismo autoritario di cui appare intriso ogni intervento dell’utente Presbite.

Lo stesso Presbite sembra rendersi conto di tale sua estraneità allo spirito di wikipedia quando afferma:

«Adesso dirò una cosa che forse parrà stramba: da un certo punto di vista io mi sento incompatibile con questo progetto.»

Non possiamo non dirci, per una volta, d’accordo con lui.


* Nicoletta Bourbaki è l’eteronimo usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia nato nel 2012. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.

N.d.R. I commenti a questo post saranno attivati dopo il 16 novembre 2014, per consentire una lettura ragionata e – nel caso – interventi meditati (ma soprattutto, pertinenti).